Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17554 del 27/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 27/07/2010), n.17554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24528/2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO Roberto, che la rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4308/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/09/2005 r.g.n. 1610/06;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

08/07/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso per quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 24.5/7.9.2005 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede il 25.2.2003, impugnata dalle Poste Italiane, che dichiarava sussistere fra queste ultime e C.F. un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per effetto della nullità della clausola di durata apposta al contratto stipulato nel periodo dall’11.10.1997 al 31.1.1998, ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, cui aveva fatto seguito ulteriore contratto, dal 7.10.1998 al 30.1.1999, avente analoga causale.

Osservava in sintesi la corte territoriale che, anche nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi ai sensi della L. n. 56 del 1987, applicabile nella fattispecie, pur non richiedendosi la presenza di esigenze di carattere straordinario od occasionale, l’apposizione del termine poteva ritenersi giustificata solo in presenza di un’esigenza obiettiva, concreta ed effettivamente riferibile alla singola assunzione, laddove, nel caso, la mera trasposizione in seno al contratto di lavoro della generica formulazione riportata nell’accordo sindacale non soddisfaceva tali condizioni.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con tre motivi.

Resiste con controricorso, illustrato con memoria, C. F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed il secondo motivo la società ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23, dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle già stabilite dall’ordinamento, poteva essere esercitato senza limiti di tempo, non prevedendosi alcun limite temporale al riguardo, con la conseguenza che agli accordi c.d.

attuativi del contratto del 25.9.1997 non poteva che riconoscersi una funzione meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla necessità di stipulare ulteriori contratti a termine.

Con il terzo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata, prospettando violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., per aver omesso di verificare se vi fosse stata effettiva costituzione in mora da parte della lavoratrice e per aver, comunque, omesso di accertare se e in che misura la stessa avesse svolto attività lavorativa successivamente alla cessazione dei rapporti di lavoro a termine, non potendo l’aliude perceptum che essere genericamente dedotto dalla società datrice di lavoro.

1. Con riferimento ai primi due motivi, vanno ribaditi i principi, ormai acquisiti, che questa Suprema Corte ha affermato con riferimento alla disciplina dell’istituto nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001. In primo luogo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, questa Corte ha più volte affermato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23/8/2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, come questa Corte ha più volte rilevato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1/10/2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Rilevato, quindi, che, in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, hanno reputato che con tali accordi le parti avessero convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998) della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo.

Questa Corte ha anche osservato che tale interpretazione non viola alcun canone ermeneutico, atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di una più diffusa argomentazione ai fini della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).

Inoltre, è stato rilevato che tale interpretazione si palesa rispettosa del canone ermeneutico dell’art. 1367 cod. civ., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi (in considerazione della loro idoneità ad introdurre termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano previsti ex ante), laddove, diversamente opinando, gli stessi risulterebbero “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Infine, corretta è apparsa, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del lavoratore si era già definitivamente perfezionato.

Ed infatti, anche ad ammettere che le parti fossero mosse dall’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni effettuate senza la copertura dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza delle convenzioni attuative), si dovrebbe, comunque, richiamare la regola dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già acquisiti, con la conseguente esclusione per le parti stipulanti del potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (cfr, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

2. In base agli esposti criteri interpretativi, ormai consolidati, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti l’interpretazione di norme collettive, deve, quindi, accogliersi parzialmente il ricorso, con conseguente conferma della legittimità del primo contratto; resta assorbito l’esame del terzo motivo.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa rimessa ad altro giudice di pari grado, il quale, attenendosi ai criteri di interpretazione specificati, provvedere a riesaminarla, statuendo anche in ordine alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2010

 

 

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