Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17552 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. II, 28/06/2019, (ud. 25/10/2018, dep. 28/06/2019), n.17552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3458-2015 proposto da:

ENTE ECCLESIASTICO COLLEGIO DI MARIA, rappresentato e difeso

dall’Avvocato GIOVANNI GUERRA per procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI REGALBUTO, elettivamente domiciliata in Roma, via dei

Gracchi 187, presso l’Avvocato MARCELLO MAGNANO DI SAN LIO e

rappresentato e difeso dall’Avvocato SALVATORE TRIMBOLI per procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 268/2013 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 13/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale della Repubblica, Dott. MISTRI CORRADO, il

quale ha chiesto il rigetto del ricorso e del ricorso incidentale.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Nicosia, con sentenza del 19/7/2007, in accoglimento della domanda di rivendica proposta dall’Ente Ecclesiastico Collegio di Maria nei confronti del Comune di Regalbuto, ha dichiarato di proprietà esclusiva del rivendicante la porzione di fabbricato, ivi descritta, sito a (OMISSIS), con ingressi dalla via (OMISSIS) e dalla via (OMISSIS), censito in catasto al foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), condannando il Comune al rilascio dello stesso in favore dell’attore. Il tribunale ha integralmente compensato tra le parti le spese processuali.

Il Comune di Regalbuto ha proposto appello chiedendo che, in riforma della sentenza del tribunale, fosse dichiarata la carenza di legittimazione attiva dell’Ente Ecclesiastico Collegio di Maria e l’infondatezza della domanda di rivendicazione dallo stesso proposta e fosse accertata la sussistenza dei presupposti dell’usucapione dell’immobile in favore del Comune quale soggetto al quale il bene è stato assegnato con decreto assessoriale 30 ottobre 1998, n. 329.

L’Ente appellato, costituitosi in giudizio, ha contestato le doglianze avversarie ed ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.

La corte d’appello di Caltanissetta, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello, ha rigettato la domanda proposta dall’Ente Ecclesiastico Collegio di Maria nei confronti del Comune di Regalbuto ed ha integralmente compensato tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

La corte, per quanto ancora rileva, dopo aver respinto l’eccezione, che il Comune ha reiterato, di difetto della capacità processuale dell’Ente Ecclesiastico in quanto privo del riconoscimento dello Stato Italiano, “non potendosi attribuire rilievo determinante al fatto che non risulta alla Prefettura di Enna il suo inserimento nell’apposito registro, come da nota trasmessa dal Prefetto su richiesta dell’appellante, ma che non contiene una certificazione al riguardo”, ha ritenuto fondato il primo motivo d’appello proposto dal Comune. La corte, in particolare, dopo aver richiamato il contenuto del titolo che la parte attrice aveva invocato, e cioè la Tavola di Fondazione del 1781, redatto in forma pubblica dal Vescovo di Catania che aveva acquistato l’immobile per cui è causa Collegio degli espulsi Gesuiti, che lo avevano edificato nel 1740, evidenziando che con tale atto pubblico è stato costituito il “(OMISSIS)” ed è stato allo stesso attribuita la proprietà dell’immobile in questione, la corte ha rilevato che, alla luce della documentazione prodotta dall’attore, risulta smentito l’assunto attoreo secondo cui, nonostante l’identità della denominazione, l’ente costituito nel 1781, proprietario dell’immobile, non coincide con quello dichiarato estinto con il decreto assessoriale n. 329 del 1998. Innanzi tutto, ha osservato la corte, emerge che, con decreto prefettizio del 22/7/1875, l’amministrazione del Collegio di Maria (istituito nel 1781) è stata provvisoriamente affidata ad un commissario di nomina governativa e, poi, il 16/12/1880, alla (OMISSIS). Di tale gestione, ha aggiunto la corte, è fatta menzione nei due statuti prodotti al fine di dimostrare l’assunto relativo all’esistenza di due diversi enti denominati (OMISSIS): in realtà, entrambi gli statuti, nella premessa, individuano il relativo atto costitutivo nella Tavola di Fondazione del 31/3/1781 ma mentre il primo, vergato a mano, reca in calce la data dell’1/1/1882 e, in basso, la data della sua approvazione da parte del rappresentante del consiglio comunale (22/3/1882), il secondo, dattiloscritto, è privo della data ma fa riferimento all’aumento del patrimonio conseguente alle riscossioni degli anni 1924, 1925 e 1928. Entrambi gli statuti, il secondo predisposto a distanza di cinquant’anni dal primo, riguardano, quindi, ha concluso la corte, il (OMISSIS) di cui alla tavola di fondazione.

La corte, quindi, considerati irrilevanti i successivi passaggi della detenzione del bene da un ente ad un altro e ritenuta nulla o comunque inefficace la donazione dell’immobile dall’Ente Comunale di Assistenza (che era subentrata in forza della L. n. 847 del 1937 alla (OMISSIS), poi estinta) alla Gioventù Italiana del Littorio sul rilievo, da un lato, che l’atto di accettazione del 2/12/1939 è stato redatto in forma pubblica e trascritto mentre la proposta è stata formulata dal donante mediante deliberazione del comitato di amministrazione del 3/11/1939 in mancanza della prescritta forma pubblica e, dall’altro, che la donazione, in quanto effettuata dall’Ente Comunale di Assistenza, che era un semplice amministratore del patrimonio del collegio, è stata effettuata a non domino non essendo il donante titolare della proprietà, ha rilevato che l’Assessore (Regionale) agli Enti Locali, con decreto 30 ottobre 1998, n. 329 ha disposto, in attuazione della L.R. n. 22 del 1986, l’estinzione dell’Opera Pia (OMISSIS) e la devoluzione del sul residuo patrimonio, non specificamente indicato, al Comune di Regalbuto, e che, in esecuzione del predetto decreto, in data 1/2/1999, si è proceduto alla consegna al Comune dei residui beni di proprietà del (OMISSIS), indicati dettagliatamente nel relativo verbale, sottoscritto dal Presidente e dal Segretario del Consiglio di amministrazione: compreso l’immobile per cui è causa, che il (OMISSIS) ha, quindi, provveduto a consegnare al Comune, quale suo nuovo proprietario.

La corte, dopo aver evidenziato che i suddetti atti e provvedimenti amministrativi non sono stati impugnati, ha ritenuto, in definitiva, che, alla luce di quanto esposto, l’Ente Ecclesiastico (OMISSIS) non avesse dimostrato, secondo quanto previsto dall’art. 948 c.c., di essere proprietario del bene immobile controverso.

La corte, infine, in ragione della speciale complessità della fattispecie, ha ritenuto la sussistenza di giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio, così rigettando il motivo d’appello con il quale il Comune aveva chiesto la condanna dell’Ente Ecclesiastico (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali del primo grado.

L’Ente Ecclesiastico (OMISSIS), con ricorso spedito per la notifica il 28/1/2015, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

Il Comune di Regalbuto ha resistito con controricorso notificato in data 9/3/2015, proponendo, per tre motivi, ricorso incidentale al quale il ricorrente, a sua volta, ha resistito con controricorso notificato il 14/4/2015.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 167 c.p.c., comma 1, art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, rigettando la domanda di rivendicazione, ha ritenuto di dover evidenziare che, alla luce della documentazione prodotta dall’attore, risulta smentito l’assunto difensivo dell’attore secondo cui l’ente costituito nel 1781, proprietario dell’immobile, non coincide con quello dichiarato estinto con il decreto n. 392 del 1998, laddove, in realtà, tale diversificazione soggettiva è stata esplicitamente ammessa dal Comune nella comparsa di costituzione in primo grado, con la conseguenza, ha aggiunto il ricorrente, che, trattandosi di fatto pacifico, la corte di merito avrebbe dovuto articolare le proprie valutazioni muovendo dal postulato inderogabile che cristallizza la sussistenza di due distinti soggetti: l’ente costituito nel 1781, proprietario dell’immobile, e quello dichiarato estinto con il decreto n. 392 del 1998.

2.Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando l’omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’Ente Ecclesiastico (OMISSIS) non avesse dimostrato di essere proprietario dell’immobile controverso sul rilievo che tale ente, costituito nel 1781 e proprietario del fabbricato in ragione delle tavole di fondazione, è stato dichiarato estinto con decreto assessoriale n. 392 del 1998, con la conseguente devoluzione al Comune, ai sensi della L.R. n. 22 del 1986, art. 34, u.c., dei relativi beni patrimoniali, laddove, al contrario, per fatto pacifico, il soggetto colpito dall’estinzione e che ha subito la devoluzione patrimoniale non è l’Ente Ecclesiastico (OMISSIS) ma l’Opera Pia (OMISSIS), rispetto alla quale, tuttavia, ha aggiunto il ricorrente, la sentenza impugnata non spende alcuna argomentazione per dimostrare l’acquisto del bene, in via autonoma o derivativa.

3.Il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Il ricorrente, intanto, cade nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016). Quanto al resto, se è vero che l’art. 167 c.p.c., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti (Cass. n. 5356 del 2009; conf., Cass. n. 3727 del 2012; Cass. n. 25516 del 2010; in precedenza, Cass. n. 5659 del 1999), è anche vero, però, che tale principio (già operante per effetto della previsione dell’art. 167 c.p.c., comma 1, ed, infine, espressamente riconosciuto dall’art. 115 c.p.c., comma 1, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009 ed applicabile ai procedimenti instaurati successivamente al 4/7/2009: tra i quali, pertanto, non è compreso quello di specie) presuppone la specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati: l’onere di contestazione, infatti, dev’essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi (Cass. n. 22055 del 2017). Ne consegue che il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione negata dal ricorrente (Cass. n. 20637 del 2016; Cass. n. 15961 del 2007, per la quale, “ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza”; conf., Cass. n. 17253 del 2009; Cass. n. 10853 del 2012; Cass. n. 24062 del 2017; Cass. n. 17474 del 2018). Nel caso di specie, invece, le censure del ricorrente, come in precedenza esposte, sono state articolate in difetto della preliminare trascrizione dei passaggi dell’atto introduttivo a mezzo del quale lo stesso, in qualità di attore, aveva a suo tempo compiuto le proprie allegazioni, ossia delle deduzioni che hanno concorso alla delimitazione del thema decidendum e del thema probandum. D’altra parte, come può desumersi dall’art. 232 c.p.c., comma 1, l’ammissione di fatti ad opera della parte non vincola il giudice il quale, infatti, può considerarli come dimostrati solo se la loro sussistenza è suffragata da altri elementi di prova. La corte d’appello, pertanto, pur a fronte dell’esplicita ammissione da parte del Comune, non era affatto obbligata a ritenere effettivamente sussistente la diversificazione soggettiva tra l’ente costituito nel 1781, proprietario dell’immobile, e quello dichiarato estinto con il decreto n. 392 del 1998, rimanendo, quindi, libera, come poi ha fatto, di affermare la coincidenza tra l’ente costituito nel 1781, proprietario dell’immobile, e quello dichiarato estinto con il decreto n. 329 cit.. Nè, infine, può ritenersi sussistente il denunciato vizio di omessa motivazione (rectius, di omesso esame di fatto decisivo). La sentenza impugnata, infatti, è stata depositata dopo l’11/9/2012, trovando, dunque, applicazione l’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo in vigore successivamente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con modificazioni con la L. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ed è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 del 2014), la norma consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 7472 del 2017). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Nel caso in esame, invece, il ricorrente non ha indicato il “fatto storico” che la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare. L’omesso esame di elementi istruttori, peraltro, non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora, com’è accaduto nel caso in esame, il fatto storico, rilevante in causa (vale a dire la coincidenza, o meno, tra l’Ente Ecclesiastico (OMISSIS) e l’Opera Pia (OMISSIS)) sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile, infatti, ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (Cass. n. 11176 del 2017). Ed è noto che non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176/2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.

4.Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto di accogliere il secondo motivo d’appello articolato dal Comune, rigettando la domanda di rivendicazione, in assenza di prova, alla quale era tenuto il Comune, che l’Ente Ecclesiastico (OMISSIS) avesse perduto la proprietà dell’immobile controverso.

5.Il motivo è infondato. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da tale disposizione (Cass. n. 1606 del 2017) e non anche quando, come è accaduto nel caso in esame, abbia semplicemente ritenuto dimostrato il fatto che, per effetto del decreto del 329 del 30/10/1998, il (OMISSIS) avesse perduto, in ragione della sua estinzione e della conseguente devoluzione del suo residuo patrimonio al Comune di Regalbuto, la proprietà dell’immobile controverso.

6.Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, art. 45 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha rigettato il gravame ed, in applicazione dell’art. 91 c.p.c., posto a carico del Comune le spese di lite.

7.Il motivo è infondato. In tema di spese processuali, infatti, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. n. 24502 del 2017).

8.Con il primo motivo di ricorso incidentale, il Comune di Regalbuto, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, nonchè l’insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha respinto l’eccezione, che il Comune ha proposto in primo grado e reiterato in appello, di difetto della capacità processuale dell’Ente Ecclesiastico in quanto non iscritto nell’apposito registro presso la Prefettura di Enna, sul rilievo che non si può attribuire rilievo determinante al suo inserimento in tale registro, senza, tuttavia, spiegare per quale ragione così debba ritenersi. L’ente in questione, del resto, ormai privo del riconoscimento e, quindi, della personalità giuridica per effetto della L. n. 3848 del 1887, non è tra gli enti che, a norma dell’art. 29 del Concordato, hanno conseguito il riconoscimento dello Stato italiano nè tra quelli che, avendo finalità di religione e di culto, sono riconosciuti dalla Repubblica a norma dell’art. 7 del nuovo Concordato e della L. n. 222 del 1985, che vi ha dato attuazione e che impone agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti di iscriversi, entro due anni, nel registro delle persone giuridiche.

9.Il motivo è infondato. Costituisce, infatti, orientamento giurisprudenziale pressochè costante di questa Corte che gli enti ecclesiastici, privi di personalità civile, siano comunque soggetti di diritto “rilevanti” per l’ordinamento giuridico statuale e soggetti alle norme di diritto comune (Cass. n. 14247 del 2018, in motiv.) e, come tali, senz’altro dotati di capacità processuale.

10. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il Comune di Regalbuto, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, rigettando il quarto motivo di appello proposto dal Comune, ha ritenuto di compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio, laddove, al contrario, applicando la regola della soccombenza, avrebbe dovuto, conformemente all’art. 91 c.p.c., condannare la controparte al pagamento delle spese del giudizio di primo grado ed, al contempo, delle spese del giudizio d’appello nel quale è stato soccombente.

11. Il motivo è infondato per le stesse ragioni indicate nell’esame del quarto motivo del ricorso principale.

12. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, il Comune di Regalbuto, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non si è pronunciata sul motivo con il quale lo stesso Comune aveva censurato la sentenza con cui il tribunale aveva rigettato la domanda di accertamento dell’acquisto della proprietà dell’immobile controverso per intervenuta usucapione.

13. Il motivo è fondato. Gli atti del giudizio di merito, ai quali la Corte, in ragione della natura processuale del vizio invocato, accede d’ufficio, dimostrano, in effetti, che il Comune, con l’atto di appello (p. 28, 29 e 31), aveva censurato la sentenza appellata nella parte in cui il tribunale aveva rigettato la domanda di accertamento dell’acquisto della proprietà, per effetto dell’usucapione, sull’immobile controverso. La corte d’appello, tuttavia, non si è pronunciata neppure implicitamente su tale domanda, o meglio, sull’appello proposto nei confronti del relativo rigetto, così incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c..

14. Il ricorso principale dev’essere, quindi, rigettato.

15. Il ricorso incidentale, invece, in relazione al terzo motivo, dev’essere accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata in parte qua con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Caltanissetta che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

16. La Corte dà atto, relativamente al ricorso principale, della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso principale; rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale; accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale ed, in relazione a tale motivo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla corte d’appello di Caltanissetta che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio; dà atto, relativamente al ricorso principale, della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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