Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1755 del 27/01/2020

Cassazione civile sez. I, 27/01/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 27/01/2020), n.1755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25223/2018 proposto da:

O.L., elettivamente domiciliato in Roma piazza Cavour

presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avv.to Daniele Accebbi con studio in

Vicenza, piazzetta Palladio 11, giusta procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Commissione Territoriale per il

riconoscimento della Protez Internaz di Verona;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

02/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2019 da Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. O.L. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Venezia che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Verona di diniego della domanda di protezione internazionale, declinata in via gradata nelle fattispecie di “stato di rifugiato”, “protezione sussidiaria”, “protezione umanitaria”.

2. Il Ministero dell’Interno intimato non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione delle norme disciplinanti i presupposti per la protezione internazionale ed umanitaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e, artt. 5, 7 e 14 nonchè al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 ed D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, lett. C-ter.

1.1. Assume che:

a. quanto al mancato riconoscimento dello stato di rifugiato, il Tribunale aveva ritenuto che non ne ricorressero i presupposti, assumendo immotivatamente che il racconto fosse inverosimile;

b. quanto alla protezione sussidiaria era stato ingiustamente escluso che ricorresse la persecuzione dedotta, non essendo stato considerato come la violenza indiscriminata avviluppasse tutta la Nigeria;

c. quanto alla protezione umanitaria non era stato affatto valorizzato il passaggio in Libia e le sofferenze ad esso collegate, riconosciute come ragione valida a giustificare la condizione di persecuzione e la vulnerabilità.

1.2. Il motivo è complessivamente inammissibile perchè con esso il ricorrente chiede, genericamente, una rivalutazione di merito delle circostanze di fatto già compiutamente esaminate dal Tribunale) che ha respinto la domanda sulla scorta della affermazione che la vicenda narrata che aveva determinato la fuga del ricorrente – consistente nell’aggressione subita da parte dei fratelli di una bambina con l’accusa, infondata, di averla spinta a terra; nella successiva fuga dapprima presso un amico e successivamente al di fuori del paese, per difendersi da temute aggressioni a scopo punitivo – oltre ad essere poco verosimile, era comunque “di natura privata” perchè la minaccia denunciata non proveniva da organi statuali del paese ma da altri cittadini per una questione personale.

1.3. Al riguardo, questa Corte ha affermato che “le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b).(cfr. Cass. 9043/2019).

1.4. Nel caso in esame ricorre proprio l’ipotesi sopra richiamata e la Corte ha esaminato, sulla base delle informazioni raccolte, le emergenze della situazione politica denunciata e l’assenza di elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità per il ricorrente di avvalersi della protezione, in loco, delle autorità competenti.

1.5. La censura, pertanto, prospetta la richiesta di un non consentito ulteriore grado di merito (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 13721/2018) 2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto, anche quale vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione fra le parti, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a) ed e), in punto di onus probandi, la mancata cooperazione istruttoria del giudice e la mancata valutazione degli elementi di prova e delle dichiarazioni rese dal richiedente.

2.1. Contesta altresì che la Nigeria possa essere considerato un paese immune da rischi, tenuto conto delle Country Origin Information, e critica la valutazione del giudice che si è riferito solo alla zona di provenienza e non a tutto il paese.

2.2. La censura riguardante il vizio di motivazione è inammissibile perchè l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è stato modificato (cfr. al riguardo Cass. SU 8053/2014) e non consente più la critica del percorso argomentativo sviluppato dal giudice di merito, al di fuori dei casi in cui emergano carenze ed illogicità tali da rendere la motivazione apparente, da escludersi nel caso in esame.

2.3. Ma anche il profilo riguardante la violazione di legge, da una parte, non coglie l’aspetto di maggiore rilievo, e cioè che il ricorrente ha descritto una vicenda privata e non una condizione di persecuzione da parte di organi statuali, e dall’altra che la critica è del tutto generica e si limita ad illustrare, senza alcuno specifico collegamento con il caso concreto, le vicende dell’intero paese di provenienza.

3. Con il terzo motivo, infine, si deduce la violazione del principio di non respingimento di cui all’art. 3 CEDU e art. 33 Convenzione di Ginevra. La censura – che ricalca le argomentazioni spese per i precedenti motivi, richiamando genericamente il principio di “non refoulment” ed omettendo di considerare che nel caso di specie non è configurabile il fumus persecutionis – è assorbita dalla inammissibilità già dichiarata in relazione ai precedenti motivi (cfr. al riguardo Cass. 9043/2019).

4. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2020

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