Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1755 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2019, (ud. 17/09/2018, dep. 23/01/2019), n.1755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6158/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ COOPERATIVA RAGUSA LATTE A R.L., in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Del

Stabile e dall’avv. Giuseppe La Scala, con domicilio eletto presso

lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Ombrone, n. 14;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/01/11 della Commissione Tributaria

regionale della Sicilia depositata il 13 gennaio 2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17/9/2018 dal

Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, dott. Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Cooperativa Ragusa Latte a r.l. proponeva ricorsi avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate, in relazione agli anni d’imposta 1998 e 1999, aveva contestato ricavi non dichiarati e costi non inerenti e recuperato a tassazione maggior reddito conseguente all’assenza dei presupposti per l’applicabilità delle agevolazioni tributarie previste dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 14, comma 3.

La Commissione provinciale, riuniti i ricorsi, li accoglieva, rilevando, con riguardo ai presunti ricavi non dichiarati, che gli elementi su cui si fondava l’atto impositivo, rappresentati dai dati estratti dall’agenda rinvenuta presso la ditta individuale C., cliente della società contribuente, erano privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza e, quanto al recupero a tassazione di reddito per mancanza dei presupposti di applicabilità delle agevolazioni tributarie previste per le società cooperative agricole, che il mancato riscontro dell’Assessorato Regionale alla richiesta formulata dall’Amministrazione finanziaria non poteva essere addebitato alla contribuente e, comunque, che la Cooperativa aveva prodotto documentazione da cui si evinceva che essa era in possesso dei requisiti per essere ammessa all’esenzione dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche.

In esito all’appello proposto dall’Ufficio, la Commissione regionale confermava la sentenza di primo grado, osservando che dalla motivazione dell’avviso di accertamento non si desumevano elementi idonei a sorreggere il recupero di presunti ricavi non dichiarati, che i costi risultavano giustificati e che dalla documentazione esibita dalla Cooperativa si evinceva chiaramente che questa era iscritta nel registro prefettizio delle cooperative agricole ed era disciplinata dai principi di mutualità, requisiti richiesti del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 14.

Avverso la suddetta decisione ricorre per cassazione l’Agenzia delle Agenzia con tre motivi, cui resiste la contribuente mediante controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2.

Sostiene che le sintetiche argomentazioni svolte dai giudici di appello non possono ritenersi idonee a soddisfare il requisito motivazionale prescritto dall’art. 132 c.p.c., avendo i giudici omesso di prendere in considerazione le ragioni esposte dall’Ufficio in sede di appello, limitandosi a ritenerle infondate sulla scorta delle stesse argomentazioni utilizzate dalla Commissione tributaria provinciale.

Ritrascrivendo i motivi di appello, in omaggio al principio di autosufficienza, la ricorrente lamenta, inoltre, che la Commissione tributaria regionale ha omesso l’esame di circostanze di fatto decisive che, se congruamente valutate, avrebbero condotto ad una decisione diversa da quella adottata ed oggetto di impugnazione.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione della sentenza per avere la Commissione regionale proceduto ad una ricostruzione dei fatti contraddittoria e palesemente errata, laddove si afferma che in sede di verbale di constatazione il consigliere delegato della Cooperativa ha rilasciato dichiarazioni giustificative, non contestate dall’Ufficio, e che l’Ufficio non avrebbe formulato censure in merito ai costi non inerenti.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate sottolinea che le conclusioni cui è pervenuta la C.T.R. non sono corrette perchè non è stato considerato che il C. aveva dichiarato di avere sempre acquistato il latte fresco dalla Cooperativa Ragusa Latte e che i dati contabili contenuti nell’agenda acquisita presso la ditta C., se confrontati con le fatture d’acquisto e con i documenti di accompagnamento rinvenuti presso la medesima ditta, offrivavano un quadro completo della contestata violazione fiscale;

relativamente poi al riconoscimento delle agevolazioni tributarie di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 14, in capo alla Cooperativa, precisa che detti benefici possono essere applicati ai redditi dichiarati, ma non ai maggiori redditi accertati, per i quali manca la prova della destinazione secondo i principi della mutualità e della beneficenza, propri delle cooperative.

3. Con il terzo motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente sostiene che i giudici di appello, sulla base delle risultanze dei controlli effettuati, avrebbero dovuto far ricadere sulla contribuente l’onere probatorio di fornire il riscontro documentale della sussistenza dei presupposti per la fruibilità delle agevolazioni tributarie, mentre la sentenza impugnata, fornendo una errata interpretazione dell’art. 2511 c.c., era giunta a conseguenze contrarie a quelle previste dalla legge.

4. I tre motivi, essendo strettamente connessi, possono essere trattati unitariamente e sono infondati.

5. In tema di processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (Cass. n. 28113 del 16/12/2013; Cass. 15884 del 26/6/2017).

5.1. Nel caso di specie, le ragioni logico-giuridiche che hanno portato la Commissione regionale al rigetto dell’appello, sebbene sintetiche, sono esaustive, in quanto i giudici di appello hanno proceduto all’esame dei singoli rilievi contestati con gli atti impositivi, ritenendoli infondati per assenza di elementi idonei a supportare le presunzioni su cui si fondava l’attività di verifica.

I giudici di secondo grado non si sono limitati a richiamare acriticamente le conclusioni raggiunte dai giudici di prime cure, ma hanno piuttosto rilevato l’assenza di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni utilizzate dall’Ufficio per giustificare le riprese a tassazione, sicchè non è ravvisabile nullità della sentenza per totale carenza di motivazione, poichè la Commissione regionale ha preso in esame i motivi di gravame formulati dall’Ufficio con l’atto di appello e li ha ritenuti non condivisibili sulla base di argomentazioni che consentono di ricostruire l’iter logico seguito per giungere alla decisione adottata.

6. La sentenza impugnata è esente dalle censure mosse anche sotto il profilo motivazionale.

6.1. Al riguardo, va rilevato che nella sentenza impugnata la Commissione regionale, affrontando in primo luogo il rilievo concernente i ricavi non dichiarati, dopo avere posto in evidenza che l’Ufficio si è limitato a sottolineare che la Guardia di Finanza era giunta alla quantificazione dell’evasione partendo dal rilevamento di vendite superiori agli acquisti e che gli acquisti non dichiarati corrispondevano ai quantitativi annotati nell’agenda sequestrata alla ditta C., principale cliente della Cooperativa, ha ritenuto, alla luce delle risultanze istruttorie, che il relativo recupero a tassazione non potesse trovare giustificazione negli elementi presuntivi evidenziati nella motivazione dell’avviso di accertamento, atteso che in sede di verbale di constatazione il consigliere delegato della Cooperativa aveva rilasciato dichiarazioni idonee a giustificare la rilevata riduzione del quantitativo della materia prima acquistata – non potendo la materia prima costituita dal latte essere considerata omologabile ai prodotti lavorati, quali i formaggi – e considerato che i dati contabili emergenti dall’agenda sequestrata presso la ditta C., sulla base dei quali dovevano ritenersi provati gli acquisti non fatturati, non risultavano riferibili alla Cooperativa contribuente perchè di difficile lettura.

6.2. Con tali argomentazioni la C.T.R. ha escluso che le prove presuntive offerte dall’Amministrazione finanziaria fossero sufficienti a sorreggere l’accertamento, in quanto prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, ed ha al contempo riconosciuto valore probatorio alle prove contrarie fornite dalla contribuente, addivenendo alla conclusione che esse fossero idonee a supportare la conferma delle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado.

6.3. Con riferimento ai costi non inerenti, i giudici di appello hanno sottolineato che l’Ufficio non aveva formulato specifiche censure, nè contestato quanto dedotto dalla Cooperativa con l’atto di costituzione ed hanno quindi ritenuto giustificati sia i costi alberghieri e di ristorazione, sia i costi di manutenzione di automezzi di uso industriale.

6.4. Quanto, poi, al recupero del reddito per inapplicabilità delle agevolazioni tributarie, i giudici di appello hanno ribadito che la mancata risposta dell’Assessorato all’Amministrazione non è di per sè sufficiente a giustificare un recupero di redditi e che in ogni caso la produzione documentale offerta dalla contribuente (certificazione prefettizia, attestato di revisione della ConfCooperative), da cui si evinceva che la società era iscritta nel registro prefettizio delle cooperative agricole ed era disciplinata dai principi di mutualità, non potesse far dubitare della sussistenza dei requisiti richiesti dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 14.

7. Il ragionamento decisorio sviluppato dalla Commissione regionale a corredo del proprio convincimento segue un itinerario argomentativo completo, per cui non è ravvisabile alcuna manchevolezza, ed è immune da vizi logici e da contraddizioni.

Infatti, all’esito della valutazione della rilevanza di tutti gli elementi probatori acquisiti al giudizio, il giudice di merito, con accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che le ragioni addotte dalla società contribuente per spiegare la rilevata discrasia fra quantità di materia prima conferita dai soci, rappresentata dal latte, e la quantità di merce prodotta (formaggi e latticini derivati dalla lavorazione del latte) fosse idonea a superare la ricostruzione di natura presuntiva operata dall’Amministrazione finanziaria e posta a fondamento della pretesa impositiva; ha, parimenti, esaminato i rapporti intercorsi tra la Cooperativa Ragusa Latte e la ditta C., ritenendo irrilevanti i dati contabili estratti dall’agenda di quest’ultima ditta, non sussistendo elementi che potessero far riferire le operazioni alla Cooperativa.

Ha, inoltre, ritenuto, sulla base della documentazione prodotta, giustificati ed inerenti i costi contestati con l’atto impositivo e sussistenti i presupposti di legge per l’applicabilità delle agevolazioni D.P.R. n. 601 del 1973, ex art. 14,escludendo che la mera assenza di risposta da parte degli organi di vigilanza alla richiesta di parere formulata dall’Ufficio fosse sufficiente a negare le agevolazioni.

7.1. La Commissione regionale ha quindi effettuato una analisi puntuale di tutte le risultanze processuali che l’hanno condotta a ritenere la infondatezza delle contestazioni mosse dall’Amministrazione finanziaria, per cui la sentenza impugnata non si presta ad alcuna delle censure motivazionali denunciate dalla ricorrente.

Infatti, risulta integrato il vizio di omessa o insufficiente motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo quando, dal compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione o sia evincibile un’obiettiva carenza dell’ “iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata, mentre, a sua volta, il vizio di contraddittorietà si rende ravvisabile solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” posta a fondamento della decisione adottata (Cass. n. 12967 del 24/05/2018).

7.2. Va, inoltre, ricordato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 19547 del 4/8/2017).

Nella fattispecie, il prospettato vizio non è, dunque, ravvisabile, in quanto la ricorrente non ha indicato alcun “fatto”, dedotto e non adeguatamente valutato nella sentenza impugnata, idoneo a giustificare una decisione diversa da quella assunta, ma si è limitata a denunciare in blocco la valutazione compiuta dai giudice e a proporne una diversa.

8. Anche la dedotta violazione dei principi in materia dell’onere della prova risulta infondata.

8.1. I giudici di appello, facendo corretta applicazione del principio secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo la prova di elementi e circostanze rivelatori dell’esistenza di un maggior reddito, mentre grava sul contribuente, il quale contesta la capacità dimostrativa di quei fatti, fornire le prove contrarie, hanno ritenuto inidonei gli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione a sostegno della pretesa tributaria concernente i ricavi non dichiarati e rilevanti le prove contrarie offerte in giudizio dalla contribuente, non incorrendo, pertanto, nella denunciata violazione dell’art. 2697 c.c..

8.2. Riguardo alla fruibilità da parte della Ragusa Latte delle agevolazioni tributarie, la Commissione regionale, uniformandosi al principio secondo cui l’onere di dimostrare la ricorrenza delle condizioni richieste per l’applicazione di norme agevolative grava sul contribuente che intenda beneficiare del trattamento fiscale di favore (Cass. n. 555 del 21/1/1994), ha ritenuto assolto tale onere da parte della Cooperativa, considerando a tal fine sufficiente la documentazione prodotta dalla contribuente, comprovante la iscrizione della società nel registro prefettizio delle cooperative agricole ed il perseguimento dello scopo mutualistico, ed ininfluente il mancato riscontro dell’Assessorato regionale alla richiesta inoltrata dall’Amministrazione finanziaria, non potendo assumere rilievo, al fine di escludere la sussistenza dei requisiti suddetti in sede di giudizio contenzioso, le valutazioni al riguardo espresse in sede amministrativa dall’autorità di vigilanza e dalla stessa autorità giudiziaria in sede di omologazione (Cass. n. 10625 del 11/08/2000).

9. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 11.000,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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