Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17542 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/08/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 23/08/2011), n.17542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

lo studio dell’avvocato URSINO ANNA MARIA, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.M., GA.AN., C.S., P.

F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CAVOUR 221, presso

lo studio dell’avvocato FABBRINI FABIO, che li rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3933/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/06/2006, R.G.N. 1919/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso,

in subordine il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 3933/06, depositata il 19 giugno 2006, decidendo sul ricorso proposto da Ga.An., C.S., G.M. e P.F., nei confronti di Poste Italiane spa, in ordine alla sentenza del Tribunale di Roma n. 3563/02 del 26/2/2002, accoglieva l’appello, per quanto di ragione, riformando in parte la sentenza impugnata.

2. Il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda dei ricorrenti volta ad ottenere la condanna di Poste spa al pagamento in loro favore di determinate somme, a titolo di quote retributive giornaliere, relative alle festività del 25 dicembre 1994, 1 gennaio 1995, 8 dicembre 1996, 29 giugno 1997, 1 novembre 1998, 25 aprile 1999,15 agosto 1999,26 dicembre 1999, coincidenti con la domenica.

3. La Corte d’Appello riconosceva il diritto alla corresponsione delle somme indicate nel ricorso di primo grado, con conseguente condanna di Poste al relativo pagamento, oltre accessori di legge;

per la sola Ga.An., la Corte romana riteneva che andavano esclusi i compensi per le festività del 15 agosto 1999 e del 26 dicembre 1999, perchè la stessa risultava in pensione dal 1 luglio 1999.

4. Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre Poste Italiane spa prospettando cinque motivi di ricorso.

5. Resistono con controricorso Ga.An., C.S., G.M. e P.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente espone i primi quattro motivi di ricorso, con i soli riferimenti normativi, come segue, effettuando, quindi una trattazione congiunta degli stessi.

1) Violazione e falsa applicazione della L. n. 260 del 1949, art. 5 come mod. dalla L. n. 90 del 1954, in riferimento alla L. n. 93 del 1983, agli artt. 11 e 29;

2) Violazione e falsa applicazione della L. n. 260 del 1949, art. 5 come mod. dalla L. n. 90 del 1954, in riferimento all’art. 3 Cost.

3) Violazione e falsa applicazione della L. n. 260 del 1949, art. 5 come mod. dalla L. n. 90 del 1954, in riferimento alla L. n. 119 del 1958.

4) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dal ricorrente.

Poste Italiane prospetta, quindi, quanto segue:

non sono applicabili al personale della ex amministrazione P.T. le disposizioni delle L. n. 260 del 1949 e L. n. 90 del 1954;

nell’ambito del pubblico impiego non è ammessa l’estensione di istituti non espressamente previsti;

la disciplina ex L. n. 260 del 1949 e succ. modifiche, sulle ricorrenze festive, riguarda i lavoratori non retribuiti in misura fissa;

la L. n. 93 del 1983 ha rimesso agli accordi sindacali ogni statuizione sul trattamento economico del personale;

l’Amministrazione Poste ha sempre trovato una propria disciplina normativa specifica sia per il proprio ordinamento che per il personale;

la disciplina di cui alla L. n. 260 del 1949, art. 5, commi 1 e 2 intendeva non creare disparità di trattamento tra lavoratori retribuiti a misura fissa e lavoratori retribuiti a ore o a cottimo;

quindi, nessuna maggiorazione compete ai dipendenti dell’ex Amministrazione P.T., ora Poste Italiane spa, in quanto gli stessi percepiscono uno stipendio annuo lordo e fisso ripartito in dodici mensilità (oltre 13A e 14A) prescindendosi dal numero di giorni che formano i mesi dell’anno.

Nè può ritenersi che il compenso aggiuntivo in questione competa in tutte le ipotesi in cui le festività cadono nella giornata di domenica.

Inoltre, prospetta la ricorrente, era intervenuto, nelle more del giudizio, l’Accordo tra Poste e le OO.SS. del 19 dicembre 2000, di cui alla circolare n. 45/2000 del 27 dicembre 2000 di Poste Italiane, con il quale venivano individuate, convenzionalmente, le festività religiose che erano cadute di domenica rispetto alle quali riconoscere la retribuzione in questione, stabilendone la liquidazione in favore del personale in servizio a tempo indeterminato, presso la società, alla data del 19 dicembre 2000.

2. Con il quinto motivo di ricorso (indicato, in ricorso, con il n. 7) è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2195 c.c., in riferimento all’Accordo interconfederale 3 dicembre 1954, recepito dalla L. n. 741 del 1959 (recte: recepito, secondo quanto previsto dalla L. n. 741 del 1959, dal D.P.R. n. 1029 del 1960).

Deduce Poste Italiane spa che il suddetto Accordo interconfederale si applica solo agli impiegati ed agli altri lavoratori, retribuiti in misura fissa, dipendenti dalle imprese industriali, precedentemente esclusi, e quindi non si applica al rapporto dei dipendenti di Poste Italiane spa.

3. I motivi 1, 2, 3 e 5, con i quali sono dedotte violazioni di legge, sono tutti privi della formulazione del relativo quesito di diritto.

Pertanto, gli stessi sono inammissibili per violazione dell’art. 366- bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, ed applicabile, nella specie, ai sensi del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2, trattandosi di ricorso contro provvedimento pubblicato dopo la data della sua entrata in vigore (Cass., Sezioni Unite, sentenza n. 7258 del 2007).

Detta norma prescrive infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1,2, 3, e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto.

Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

Questa Corte ha, inoltre, più volte statuito per quanto attiene alla formulazione dei motivi del ricorso avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione che – in ragione del disposto dell’art. 366-bis cod. proc. civ. secondo cui nell’ipotesi di vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione – la relativa censura deve tradursi in un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., n. 4556 del 2009). Il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 quindi, avendo un diverso e specifico oggetto per investire il solo iter argomentativo della impugnata decisione, richiede una illustrazione, che sia libera da qualsiasi rigidità formale, ma che nello stesso tempo si concretizzi in una esposizione chiara e sintentica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza di motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Ciò, soprattutto se si considera che per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, e dunque una specifica individuazione del fatto controverso, nei termini sopra detti, non ravvisabile nel caso di specie.

4. Il ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione a favore del difensore antistatario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, con distrazione a favore del difensore antistatario, che liquida in Euro 20,00 per esborsi, Euro 2500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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