Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1754 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2019, (ud. 17/09/2018, dep. 23/01/2019), n.1754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23435/2011 R.G. proposto da:

INITALY S.R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentata e

difesa dall’avv. Cataldo D’Andria, con domicilio eletto presso il

suo studio in Roma, viale Regina Margherita, n. 262/264;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 56/03/10 della Commissione Tributaria

regionale dell’Umbria depositata il 28 giugno 2010;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17/9/2018 dal

Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott. Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Cataldo D’Andria;

udito il difensore della parte controricorrente, Avv. Gianna

Galluzzo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate, a seguito di verifica fiscale ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, emetteva avvisi di accertamento, per gli anni d’imposta 2000 e 2001, nei confronti della Initaly s.r.l., società operante nel mercato della produzione di capi di abbigliamento.

In particolare, dal controllo del conto “provvigioni passive” l’Ufficio rilevava la indebita deduzione di costi relativi a fatture emesse dalla società inglese Wishingform Limited – che riportavano la seguente descrizione delle prestazioni: “commissions for agency services” (provvigioni per prestazioni di agenzia) – a supporto delle quali la società contribuente aveva esibito un contratto, denominato “contratto d’opera”, redatto in lingua italiana e stipulato in data 28/7/2004.

Assumendo che le operazioni previste in contratto non erano mai state eseguite dalla società inglese, l’Ufficio procedeva al recupero a tassazione di maggiore imponibile ai fini Irpeg, Irap ed Iva.

La contribuente proponeva ricorso avverso i suddetti atti impositivi, deducendo, come emerge dalla sentenza impugnata, che la società inglese aveva effettivamente eseguito le prestazioni cui si riferivano le fatture oggetto di contestazione e che “…la vicenda si spiegava con il fatto che i rapporti con tale società erano sorti in seguito alla cessione alla Initaly da parte della C&S s.r.l. del rapporto di produzione con la società Dresmann s.r.l. al prezzo stabilito e che gli intermediari, quali la società Wishingform, venivano pagati direttamente dal produttore sulla base di quanto già in precedenza pattuito”.

La Commissione tributaria provinciale respingeva i ricorsi riuniti, ritenendo che non fosse stata offerta prova delle prestazioni e che il contratto esibito non potesse assolvere a tale scopo.

In esito all’appello proposto dalla Initaly s.r.l., la Commissione tributaria regionale confermava la sentenza impugnata, osservando che gli elementi presuntivi offerti dall’Agenzia delle Entrate inducevano a dubitare della effettività delle prestazioni e che la Initaly s.r.l. non aveva neppure dato prova dei costi sostenuti per le visite effettuate presso l’azienda dell’incaricato del controllo di qualità.

Quanto al recupero dell’Iva versata per le prestazioni ritenute inesistenti, motivava di condividere la tesi dell’Amministrazione finanziaria secondo cui l’imposta era comunque dovuta a fronte delle fatture emesse sebbene, a causa della inesistenza delle prestazioni, i costi non potessero essere detratti, “essendo l’effettività dell’onere sostenuto condizione necessaria per la detrazione del costo e non anche per il recupero dell’Iva, in ragione del meccanismo della rivalsa proprio della stessa”.

Avverso la suddetta sentenza ricorre per cassazione la Initaly s.r.l. con tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate mediante controricorso.

La contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. invocando i più favorevoli trattamenti fiscali e sanzionatori introdotti in materia di operazioni inesistenti dallo ius superveniens di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente – deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c. – lamenta che la sentenza impugnata è stata emessa in violazione dei principi dettati in materia di onere della prova, atteso che le circostanze di fatto poste dall’Agenzia delle Entrate a fondamento della pretesa impositiva non costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti e non sono, pertanto, idonei a spostare l’onere probatorio a carico del contribuente.

La società Initaly s.r.l. evidenzia che nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria poggia le proprie contestazioni sui seguenti elementi di fatto:

a) le anomalie riscontrate con riferimento al contratto esibito dalla contribuente nel corso della verifica;

b) la discrepanza tra l’indicazione in contabilità di costi sostenuti per prestazioni di agenzia e la denominazione del contratto quale contratto d’opera;

c) la inesistenza di ragioni economiche sottostanti;

d) la redazione del contratto in lingua italiana e la mancanza di indicazione delle generalità del sottoscrittore del contratto;

e) il corrispettivo pattuito nel contratto, pari al 5% del prezzo di ogni capo venduto, e la variabilità della percentuale di fatto corrisposta alla società inglese;

f) la richiesta di informazioni all’autorità inglese, dalla quale risultava il volume di affari dichiarato dalla società inglese nell’anno 2004;

g) le dichiarazioni rilasciate dal legale rappresentante della società contribuente, il quale aveva riferito di non avere avuto contatti con la Wishingform Ltd. e di avere conosciuto, circa dieci anni prima, soggetti alla stessa riferibili e che una persona della società Martex si occupava di controllare che i capi realizzati dalla Initaly s.r.l. fossero conformi al campionario.

Al fine di dimostrare la inidoneità dei suddetti elementi di fatto a provare la inesistenza delle prestazioni oggetto di contestazioni, la contribuente ha precisato che:

a) il contratto esaminato dai verbalizzanti è stato sottoscritto dalle parti nel 2004, mentre le prestazioni oggetto di accertamento si riferiscono agli anni 2000 e 2001, e l’atto a cui dover fare riferimento è il primo contratto, denominato “contratto di agenzia”, concluso nel 1995, a cui hanno fatto seguito i successivi contratti;

b) l’attività ad essa fornita dalla Wishingform Limited e dalla Martex s.r.l. non era finalizzata a procacciare il cliente, ma era volta a mantenere il rapporto con il cliente ed a proteggerlo dalle “aggressioni” della concorrenza, sicchè il rapporto intercorso con la società inglese doveva essere qualificato come rapporto di agenzia;

c) la scelta della lingua italiana per la redazione del contratto trovava giustificazione nel fatto che il contratto era regolato dalla legge italiana e che, in caso di controversie, la competenza era stata individuata nel Foro italiano; in sede di verifica aveva consegnato un fax datato 25/1/2007 che indicava le generalità del sottoscrittore dell’ultimo contratto intercorso tra la Wishingform e la Initaly s.r.l. e confermava il potere dì rappresentanza dello stesso;

d) il compenso pattuito per la attività di intermediazione era del tutto in linea con i prezzi generalmente praticati nel settore commerciale in cui operavano le stesse società e, in ogni caso, il valore indicato in contratto poteva subire variazioni in presenza di specifiche esigenze del cliente.

Con riguardo allo scambio di informazioni con l’Amministrazione finanziaria del Regno Unito, la ricorrente rileva che le risultanze della richiesta avevano consentito di accertare soltanto l’esistenza della società inglese ed il volume d’affari da questa dichiarato nel 2004, con la conseguenza che le indicazioni contenute nel documento non risultavano complete, avendo l’Agenzia delle Entrate omesso di richiedere all’autorità britannica il regime fiscale a cui soggiaceva la Wishingform Ltd. e se la stessa avesse emesso le fatture nei confronti della società italiana verificata.

Ha, inoltre, evidenziato che dalle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società emergeva soltanto che circa dieci anni prima soggetti rappresentanti la Wishingform Limited si erano recati presso la società Initaly s.r.l. e che il controllo della merce prodotta era stato effettuato dalla Martex s.r.l. tramite un dipendente, tale M., circostanze di per sè non determinanti per comprendere se le prestazioni oggetto di contestazione fossero state effettivamente eseguite.

1.1. Con lo stesso mezzo di ricorso, ribadendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., la Initaly s.r.l. ha dedotto che, anche laddove si volesse considerare corretta l’inversione dell’onere della prova, risulta dimostrato che le fatture contestate dall’Amministrazione finanziaria, di cui non è stata posta in discussione la correttezza formale, si riferiscono a prestazioni rese dalla società inglese e svolte sulla base di un rapporto di agenzia.

1.2. La ricorrente, con il medesimo motivo di ricorso, ha censurato la sentenza anche per insufficiente motivazione, in quanto i giudici di appello si sarebbero limitati a riportare parzialmente le deduzioni difensive da essa proposte nell’atto di appello ed ad esprimere un giudizio generico che non tiene conto della complessità della fattispecie.

2. Con il secondo motivo di ricorso – rubricato: omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa la rilevanza della documentazione relativa alla verifica effettuata dall’Amministrazione finanziaria nei confronti della società C&S s.r.l. – la ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata omette di pronunciarsi sulla verifica effettuata dall’Amministrazione finanziaria nei confronti della società C&S s.r.l., fatto su cui essa aveva svolto numerose considerazioni ed al quale aveva fatto espresso riferimento ai fini della dimostrazione dell’esistenza delle prestazioni contestate, precisando al riguardo nell’atto di appello che il rapporto con la Wishingform Limited e la Martex s.r.l. le era stato trasferito dalla società C&S s.r.l., la quale già operava nel medesimo campo con il meccanismo della intermediazione, come emergeva dalla documentazione intercorsa tra le parti.

3. I primi due motivi, che, per evidenti ragioni di connessione, possono essere trattati congiuntamente, sono infondati e non vanno accolti.

4. Nelle ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, ossia nel caso di mancanza assoluta dell’operazione fatturata e nel caso di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, spetta all’Amministrazione finanziaria, che adduce la falsità del documento, provare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere (Cass. n. 27341 del 12/12/2005; Cass. n. 12802 del 10/6/2011; Cass. n. 20786 del 11/9/2013; Cass. n. 18118 del 14/9/2016).

4.1. Tale prova può ritenersi raggiunta se l’Amministrazione fornisca validi elementi, alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e art. 40 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, che possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice, per assumere che l’operazione fatturata non è stata effettuata (Cass. n. 21953 del 19/10/2007; Cass. 15741 del 19/9/2012; Cass. n. 27718 del 11/12/2013; n. 20059 del 24/9/2014; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11); in tal caso spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, ma tale prova non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 5406 del 18/3/2016; n. 12802 del 10/6/2011).

Pertanto, il giudice di merito è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e, qualora ritenga che tali elementi siano dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve procedere alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 c.c. e s.s. e art. 2697 c.c. (Cass. n. 9784 del 23/4/2010; Cass. n. 4306 del 23/2/2010).

5. Nella fattispecie in esame i giudici della Commissione regionale non si sono discostati dai principi enunciati da questa Corte e non sono incorsi nelle violazioni denunciate dalla società contribuente.

Infatti, dopo avere richiamato la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui all’Amministrazione finanziaria che contesta la legittimità della detrazione delle fatture passive è sufficiente allegare degli elementi meramente indiziari della fondatezza di tale contestazione, gravando invece sul contribuente l’onere di provare in modo esaustivo la legittimità della detrazione di tali costi, i giudici di appello hanno ritenuto che gli elementi di fatto evidenziati dall’Amministrazione finanziaria – sia quelli concernenti le anomalie del contratto sia quelli desunti dal volume di affari comunicato dal governo inglese – “sono tali di per sè da indurre ragionevolmente a dubitare della effettività delle prestazioni “, riconoscendo in tal modo che gli elementi presuntivi posti dall’Ufficio a fondamento degli atti impositivi sono dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza richiesti dai richiamati artt. 2727 c.c. e ss.; hanno conseguentemente affermato che, a fronte di tali elementi indiziari, la contribuente non ha assolto l’onere probatorio sulla stessa gravante, non avendo neppure dimostrato ” i costi sostenuti per le visite effettuate presso l’azienda dall’incaricato del controllo di qualità”.

La Commissione regionale, al fine di ulteriormente rafforzare le ragioni che sorreggono il proprio convincimento, ha pure posto in rilievo che il legale rappresentante della Initaly s.r.l. nel corso della verifica ha espressamente dichiarato di non avere avuto rapporti con la società inglese Winshingform e di non conoscere i referenti della stessa, precisando, altresì, che il controllo di qualità, che in base al contratto avrebbe dovuto essere effettuato a cura della stessa società inglese, era stato in realtà effettuato da tale M., su incarico della società Martex s.r.l., circa quattro o cinque volte all’anno.

I giudici di secondo grado hanno dunque fatto corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova dettati con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, avendo dapprima valutato gli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione e, solo dopo averli ritenuti idonei ad avvalorare la contestata fittizietà delle operazioni fatturate, hanno affermato che la Initaly s.r.l. non ha offerto prova contraria idonea a superare quella fornita dall’Ufficio.

6. Neppure è ravvisabile la censura motivazionale mossa alla sentenza di appello, se si considera che la Commissione regionale, condividendo la ricostruzione operata dall’Ufficio, ha dato rilievo alle anomalie del contratto stipulato dalla contribuente con la Wishingform Ltd. nel 2004, denominato “contratto d’opera”, trattandosi dell’unico contratto esibito dalla Initaly s.r.l. nel corso della verifica a dimostrazione della esistenza del rapporto di agenzia con la società inglese e della effettività delle prestazioni oggetto di fatturazione, nonchè alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della stessa contribuente, atteso che esse escludono la sussistenza di un rapporto commerciale tra la società italiana e quella inglese, ed all’assenza di qualsiasi documentazione idonea ad attestare le visite effettuate da un incaricato di altra società, la Martex s.r.l., al fine di verificare la qualità del prodotto.

Peraltro, sebbene nella motivazione della sentenza impugnata non si faccia riferimento alla documentazione prodotta dalla Initaly s.r.l., e precisamente alla visura camerale, all’atto costitutivo ed allo Statuto della società inglese – comprovante l’esistenza della medesima società – nè alla restante documentazione concernente i rapporti intercorsi tra la C&S S.r.l. e la Wishingform Ltd., l’attività di controllo sulla produzione svolta dalla società Martex International di Prato e la verifica effettuata nei confronti della C&S s.r.l., risulta evidente che i giudici di appello hanno considerato detta documentazione del tutto inconferente ai fini della decisione, in quanto attinente ad altre società, la C&S s.r.l. e la Martex International s.r.l., non interessate dagli avvisi di accertamento oggetto di impugnazione.

7. Va, al riguardo, ribadito che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 17477 del 09/08/2007; n. 19547 del 4/8/2017; n 29404 del 7/12/2017).

8. Con il terzo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente, con riferimento al profilo relativo al recupero dell’Iva, lamenta che la Commissione regionale, aderendo alle argomentazioni poste a sostegno della pretesa impositiva, al fine di rendere imponibile l’operazione, avrebbe compiuto una riqualificazione delle prestazioni fatturate, ritenendo che quelle rese dalla Wishingform Limited non consistono in prestazioni di consulenza, bensì di agenzia.

8.1. La doglianza è infondata.

Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, vigente ratione temporis, prevede espressamente che “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.

Come è stato chiarito da questa Corte, “l’indetraibilità dell’Iva costituisce conseguenza della inesistenza delle operazioni che i documenti fiscali attestano solo cartaceamente.

In ipotesi di operazioni inesistenti, non si realizza, infatti, l’ordinario presupposto impositivo nè la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa” nè i presupposti del diritto alla detrazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 12,comma 1. E, d’altro canto, la previsione del menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 – se per un verso, viene, direttamente, ad incidere sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta (pur in assenza del suo ordinario presupposto) sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità – per l’altro, viene, indirettamente, ad incidere anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con l’art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, dello stesso testo normativo, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del relativo presupposto (acquisto o importazioni di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione)” (Cass. n. 22882 del 25/10/2016; n. 12111 del 10/6/2015).

8.2. Non rileva la recente modifica dell’art. 21, comma 7, citato (che prevede: ” se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”), in quanto si tratta di disposizione che è stata introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 31 ed è applicabile solo dal 1/1/2016, ai sensi dell’art. 32, comma 1 (mod. L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 133) (Cass. 16679 del 9/8/2016).

9. Quanto, invece, al trattamento sanzionatorio, come si è sopra anticipato, la contribuente, con la memoria ex art. 378 c.p.c., ha chiesto l’applicazione dello ius superveniens di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, e, di conseguenza, la rideterminazione delle sanzioni applicate.

9.1. Tale richiesta va disattesa, poichè, come è già stato chiarito da questa Corte, il principio del favor rei non opera in maniera generalizzata, rendendo la sanzione irrogata automaticamente illegale, specie in assenza di specifiche allegazioni riferite al caso concreto idonee ad influire sui parametri di commisurazione della sanzione, con la conseguenza che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno ius superveniens più favorevole, non impone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, a ciò ostandovi non soltanto il principio di necessaria specificità dei motivi di ricorso, ma anche e soprattutto il principio costituzionale di ragionevole durata del processo (Cass. n. 20141 del 7/10/2016; n. 2880 del 3/2/2017; n. 9505 del 12/4/2017; n. 28061 del 24/11/2017).

9.2. La ricorrente si è limitata ad evidenziare che, nel caso di operazioni inesistenti, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158 del 2015, D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 15 ed alla introduzione dal D.Lgs. 471 del 1997, art. 6, comma 9-bis.3 dovrebbe essere comminata una specifica sanzione di misura compresa tra il 5 ed il 10 per cento dell’imponibile, con un minimo di Euro 1.000,00, ma tale deduzione, in mancanza della riproduzione degli elementi considerati dall’Amministrazione per la commisurazione della sanzione ed in assenza di specifica deduzione dell’applicabilità in concreto di una sanzione inferiore a quella irrogata, sia con riferimento ai margini edittali che alla valutazione della gravità della violazione, non consente di procedere ad una automatica applicazione della novella, non potendo ritenersi manifesta la sproporzione tra entità del tributo e sanzione applicata.

10. In ragione delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al rimborso, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.500,00, oltre alle eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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