Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1754 del 20/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2022, (ud. 12/10/2021, dep. 20/01/2022), n.1754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29758-2020 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELL’ELETTRONICA 20, presso lo studio dell’Avvocato GIUSEPPE PIERO

SIVIGLIA, rappresentata e difesa dagli Avvocati FRANCESCO SAVERIO

DAMBROSIO, FRANCESCO TINAGLIA;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE

CLODIA 19, presso lo studio dell’Avvocato CLAUDIO IOVANE,

rappresentato e difeso dall’Avvocato PIETRO CAPUTO;

V.D., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dall’Avvocato LAURA GIOVINE;

P.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE, 22, presso lo studio dell’Avvocato ANTONIO STRIZZI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

contro

ME.RI.AN., GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 359/2020 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 01/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO

GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che S.A. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 359/20, del 1 aprile 2020, della Corte di Appello di Salerno che – pronunciandosi quale giudice del rinvio, a norma dell’art. 622 c.p.p., e all’esito della decisione con cui la Quinta Sezione Penale di questa Corte, con sentenza n. 24869/17, del 19 maggio 2017, ha cassato, ai soli effetti civili, la sentenza n. 1326/15, del 16 dicembre 2015, con cui la medesima Corte di Appello di Salerno (in riforma della sentenza n. 1084/10, del 5 marzo 2011, del Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Eboli) aveva assolto M.A., Me.Ri.An. e P.B. dai reati di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 2), artt. 1110 e 479 c.p., nonché dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 2), e art. 476 c.p., contestato a V.D. – ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla S. nei confronti dei predetti M., Me., P. e V.;

– che, in punto di fatto, l’odierna ricorrente riferisce di essere rimasta vittima di un grave incidente, verificatosi nella notte tra il (OMISSIS) allorché ella prestava servizio quale caporalmaggiore dell’esercito presso una caserma in (OMISSIS), rimanendo schiacciata da un cancello azionato elettricamente e riportando, per l’effetto, lesioni personali;

– che ella, pertanto, si costituiva parte civile nel giudizio incardinato, per reati di falso, a carico di altri tre militari (il M., il Me. e il P.), i quali avevano attestato, in sede di collaudo, l’esecuzione a regola d’arte dei lavori di installazione del cancello, nonché di colui – il V. – che aveva provveduto a redigere il verbale di accertamento dello stato dei lavori;

– che condannati, in sede penale, tutti gli imputati dal primo giudice, quello di appello escludeva, invece, la responsabilità dei primi tre, mentre dichiarava non doversi procedere nei confronti del quarto per intervenuta prescrizione del reato;

– che accolto da questa Corte, sempre in sede penale, il ricorso esperito dalla S. ex art. 576 c.p.p., ma pure quello del V. (che si doleva della mancata assoluzione da parte del giudice di appello), essendosi ravvisata, su entrambi i punti, una carenza motivazionale, veniva disposto rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello in relazione alla domanda civile di danno;

– che riassunto il giudizio dalla S. innanzi alla Corte di Appello di Salerno, si costituivano nello stesso il M. – che era autorizzato a chiamare in causa, per essere dalla stessa eventualmente manlevato, la propria compagnia assicuratrice, Generali Italia S.p.a. – il P. ed il V., rimanendo, viceversa, contumace il M.;

– che il giudice del rinvio rigettava la domanda risarcitoria, sul rilievo che – quantunque quelli di falso siano “reati plurioffensivi” – difetterebbe, nella specie, la prova del danno da reato, avendo la S. allegato sempre e solo l’esistenza di pregiudizi derivanti da lesioni personali;

– che avverso la sentenza della Corte salernitana ricorre per cassazione la S., sulla base di due motivi;

– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – violazione del combinato disposto dell’art. 394 c.p.c., comma 2, e dell’art. 2697 c.c., sul rilievo che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente posto a carico di essa S. la prova del danno, ignorando che appellanti, in sede penale, erano stati gli imputati già condannati in primo grado;

– che, per contro, nel procedimento di rinvio le parti – ai sensi dell’art. 394 c.p.c., comma 2, – conservano la stessa posizione che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata, sicché “non poteva porsi a carico dell’appellata” (ovvero, essa S.) “l’onere di provare la riconducibilità dei danni agli imputati affermata nel primo grado di giudizio, ma era onere degli appellanti dimostrare eventualmente il contrario”, alla stregua dell’art. 2697 c.c., irrilevante essendo la circostanza che la riassunzione – alla quale è legittimata ciascuna delle parti – fosse stata assunta dall’odierna ricorrente;

– che il secondo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – violazione “del principio devolutivo dell’appello” a norma sia dell’art. 597 c.p.p., sia dell’art. 345 c.p.c.;

– che, in particolare, la ricorrente evidenzia come tutti gli imputati ebbero ad esperire gravame – avverso la sentenza della sezione ebolitana del Tribunale di Salerno che li aveva riconosciuti responsabili dei reati ad essi ascritti – ex art. 574 c.p.p., comma 4, senza, dunque, avere “articolato un capo di impugnazione diretto, neanche in via subordinata, avverso la sentenza di condanna al risarcimento del danno” ai sensi del medesimo art., del comma 1, in particolare “sostenendo l’inesistenza della natura plurioffensiva del falso ideologico e del falso materiale in atto pubblico”;

– che hanno resistito all’impugnazione, con tre distinti controricorsi, il M., il P. e il V., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata;

– che sono rimasti solo intimati, invece, il Me. e la società Generali Italia S.p.a.;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 12 ottobre 2021;

– che la ricorrente, come i controricorrenti P. e V., hanno depositato memoria, insistendo nelle rispettive argomentazioni.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va rigettato;

– che – secondo questo collegio – le considerazioni espresse nella proposta dal consigliere relatore non risultano superate dai rilievi svolti dalla ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2;

– che il primo motivo di ricorso non è fondato;

– che, difatti, il soggetto già costituito parte civile non può esimersi dal fornire la prova – nel giudizio civile che si radichi, allorché la sua pretesa non sia soddisfatta già in sede penale, contestualmente all’affermazione della responsabilità dell’imputato per il reato ascrittogli – dell’esistenza del danno subito;

– che, invero, persino “la condanna generica al risarcimento del danno”, che risulti “contenuta in una sentenza penale” (ciò che, peraltro, non è accaduto nel caso che occupa), “consiste in una mera declaratoria iuris e richiede il semplice accertamento della potenziale idoneità del fatto illecito a produrre conseguenze dannose o pregiudizievoli, indipendentemente dall’esistenza e dalla misura del danno, il cui accertamento è riservato al giudice della liquidazione” (Cass. Sez. 3, sent. 16 dicembre 2005, n. 27723, Rv. 587248-01, in senso conforme Cass. Sez. 1, sent. 19 aprile 2010, n. 9295, Rv. 61277901), sicché nel caso di “sentenza del giudice penale che, accertando l’esistenza del reato e la sua estinzione per intervenuta prescrizione, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio”, non è esclusa “la necessità dell’accertamento, in sede civile, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come “potenzialmente” dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati” (Cass. Sez. 3, sent. 27 agosto 2014, n. 18352, Rv. 632612-01; Cass. Sez. 3, sent. 9 marzo 2018, n. 5660, Rv. 648292- 01);

– che siffatti principi valgono, a maggior ragione, nell’ipotesi – che è quella qui occupa – di cui all’art. 622 c.p.p., visto che, in caso di accoglimento del ricorso della parte civile e di conseguente cassazione della sentenza impugnata, la cognizione del giudice del rinvio “può estendersi all’intera pretesa risarcitoria, sia per l’aspetto inerente al fondamento della stessa che per quello dell’eventuale determinazione dell’ammontare risarcitorio”, l’unico limite essendo costituito dalla “formazione di un giudicato penale di assoluzione, destinato ad avere effetti in sede civile ai sensi dell’art. 652 c.p.p.” (Cass. Sez. 1, ord. 15 luglio 2020, n. 15041, Rv. 658250-01);

– che da quanto precede deriva che “nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p., si determina una piena “translatio” del giudizio sulla domanda, sicché la Corte di appello competente per valore, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, applica le regole processuali e probatorie proprie del processo civile” (Cass. Sez. 3, sent. 25 giugno 2019, n. 16916, Rv. 654433-01; Cass. Sez. 3, sent. 12 giugno 2019, n. 15859, Rv. 654290-01), regole tra le quali rientra certamente quella di cui all’art. 2697 c.c., comma 1;

– che, pertanto, risulta errata l’affermazione della ricorrente secondo cui, avendo il M., il Me., il P. e il V. rivestito la posizione di appellanti, nel giudizio culminato nella sentenza assolutoria poi cassata da questa Corte, essi conserverebbero tale posizione nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., con conseguente onere di provare la non riconducibilità alla loro condotta dei danni lamentati da essa S.;

– che, per contro, come sottolineato dalle Sezioni Unite penali di questa Corte, la sentenza che “accoglie il ricorso della parte civile avverso il proscioglimento dell’imputato, provoca il definitivo dissolvimento delle ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della costituzione della parte civile nel procedimento penale, le deroghe alle modalità di istruzione e di giudizio dell’azione civile, imponendone i condizionamenti del processo penale, funzionali alle esigenze di speditezza del procedimento”, donde, allora, la necessità -a norma dell’art. 622 c.p.p., – “che la domanda risarcitoria venga esaminata secondo le regole dell’illecito aquiliano, dirette alla individuazione del soggetto responsabile ai fini civili su cui far gravare le conseguenze risarcitone del danno verificatosi nella sfera della vittima”, ciò che “comporta, in caso di riassunzione, l’assunzione della veste di attore-danneggiato della parte civile e di convenuto-danneggiante da parte di colui che nel processo penale rivestiva il ruolo di imputato” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un. Pen., sent. dep. 4 giugno 2021, n. 22065);

– che, di conseguenza, i rispettivi oneri probatori non potranno che compendiarsi nei principi – “actore non probante, reus absolvitur” e “in excipiendo reus fit actor” – sanciti, rispettivamente, dall’art. 2697 c.c., commi 1 e 2;

– che anche il secondo motivo di ricorso non è fondato;

– che non può sostenersi che gli imputati, nel proporre appello avverso la sentenza del primo giudice, che li riconosceva responsabili dei reati ad essi ascritti, dovessero contestare specificamente pure la condanna al risarcimento del danno “sostenendo l’inesistenza della natura plurioffensiva del falso ideologico e del falso materiale in atto pubblico”;

– che, difatti, il gravame relativo all'”an” della responsabilità degli imputati (oltretutto culminato, per tre di essi, nell’accoglimento del mezzo, senza che costoro fossero muniti di alcuno strumento – a fronte del successivo ricorso per cassazione contro la loro assoluzione, proposto dalla S. ai soli effetti civili – diverso dal controricorso, non contemplando l’ordinamento processuale penale, per tale ipotesi, un mezzo di impugnazione incidentale condizionata) implicava, evidentemente, pure una contestazione della condanna al risarcimento del danno da reato, senza che occorresse, al riguardo, alcuna specifica iniziativa;

– che, d’altra parte, con riferimento all’illecito aquiliano, questa Corte ha già sottolineato che, in forza del principio per cui “il più contiene il meno”, ogni contestazione “in toto”, da parte dell’ipotetico danneggiante, della propria responsabilità, implichi pure contestazione dell’efficienza eziologica del proprio comportamento – o della misura dello stesso (Cass. Sez. 3, ord. 2 aprile 2021, n. 9200, Rv. 661071-01) – rispetto alla produzione delle conseguenze dannose lamentate dall’asserita vittima (Cass. Sez. 3, ord. 30 maggio 2017, n. 13527, non massimata);

– che, infine, ritenere che l’imputato, il quale abbia esercitato nel processo penale il diritto ad impugnare la sentenza di condanna emessa a suo carico, debba onerarsi pure – per l’ipotesi in cui, accolto il mezzo da esso proposto, la parte civile costituita impugni, a propria volta, ai fini e agli effetti di cui all’art. 576 c.p.p., l’eventuale sentenza assolutoria – di estendere, specificamente, l’impugnazione avverso il capo “di condanna al risarcimento del danno”, per evitare il passaggio in giudicato della relativa statuizione, sarebbe conclusione del tutto distonica rispetto ai più recenti approdi giurisprudenziali (della Corte Europea dei diritti dell’uomo, non meno che della Corte costituzionale) circa la portata non meramente “procedurale” della presunzione di innocenza, come prevista dal p. 6.2. della Convezione Europea dei diritti dell’uomo;

– che, difatti, tale presunzione “estende i suoi effetti al di fuori del processo penale ed opera nel tempo successivo alla sua conclusione o interruzione, non in funzione di apprestare garanzie procedurali all’imputato”, ma allo scopo di “proteggere le persone che sono state assolte da un’accusa penale, o nei confronti delle quali è stato interrotto un procedimento penale”, ovvero rispetto a tutti coloro i quali il processo penale – come avvenuto anche nel caso che occupa -si sia concluso con un esito comunque diverso da quello di condanna, “dall’essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorità come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato” (in tal senso, tanto Corte EDU, Terza Sezione, sent. 20 ottobre 2020, Pasquini contro Repubblica di San Marino, quanto Corte Cost., sent. 7 luglio 2021, n. 182);

– che, difatti, ferma restando la possibilità di vagliare, nel giudizio ex art. 622 c.p.p., l’eventuale illeceità – ma ormai solo in chiave aquiliana – della condotta del (già) imputato, sarebbe in contrasto con la riconosciuta dimensione “non meramente procedurale” della presunzione di innocenza ritenere che l’iniziativa dallo stesso assunta, in sede penale, per conseguire l’assoluzione dalle accuse mosse a suo carico, debba necessariamente accompagnarsi ad una contestazione specifica della domanda risarcitoria formulata dalla parte civile, giacché, in difetto, ne deriverebbero, altrimenti, effetti preclusivi nell’eventuale giudizio di danno che essa radichi ai sensi della norma del codice di rito penale sopra menzionata;

– che, in conclusione, il ricorso – tutto incentrato su ragioni processuali, piuttosto che sull’affermazione della Corte territoriale, circa la non riconducibilità del danno “da lesioni personali”, lamentato dalla S., al carattere plurioffensivo degli illeciti di falso, contestati agli imputati – va rigettato;

– che le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto secondo accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando S.A. a rifondere, ad M.A., P.B. e V.D., le spese del presente giudizio, che liquida, per il M., in 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali più accessori di legge, nonché, per il P. e il V. (o meglio, per quest’ultimo, per il difensore dichiaratosi distrattario, Avv. Laura Giovine), in Euro 3.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali più accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

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