Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17539 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/08/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 23/08/2011), n.17539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

INTESA SANPAOLO S.P.A., (già Banca Intesa), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LEONE IV 99, presso lo studio dell’avvocato FERZI CARLO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CHIELLO ANGELO

GIUSEPPE, POZZOLI CESARE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.F., L.F., D.S.E.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANAPO 20, presso lo studio

dell’avvocato RIZZO CARLA, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MASTRANGELI FABRIZIO DOMENICO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 707/2007 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 25/01/2008 R.G.N. 997/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato FERZI CARLO;

udito l’Avvocato MASTRANGELI FABRIZIO DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

principale, assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 23 gennaio 2009, Intesa San Paolo s.p.a.

chiede, con quattro motivi, la cassazione della sentenza pubblicata il 25 gennaio 2008, con la quale la Corte d’appello di Perugia ha confermato la decisione di primo grado di accoglimento delle domande di Z.F., L.F. ed D.S.E. dirette ad ottenere l’annullamento del licenziamento loro intimato con effetto dal 31 marzo 2003, all’esito di una procedura di riduzione di personale su tutto il territorio nazionale, riguardante n. 5700 dipendenti, di cui 26 in Umbria.

In particolare, i giudici di merito hanno ritenuto contraria alla L. n. 223 del 1991 nonchè discriminatoria l’adozione nel caso di specie, come unico criterio di individuazione del personale eccedente e da licenziare, quello del possesso dei requisiti per la maturazione del diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità e, in subordine, della prossimità alla pensione medesima, senza alcuna preventiva delimitazione delle eccedenze individuate con riguardo ai profili professionali e alla collocazione aziendale delle posizioni lavorative ritenute in esubero. I giudici hanno altresì accertato la violazione da parte della società dell’accordo collettivo invocato quanto al criterio di scelta, per non aver dato la precedenza agli esodi volontari e infine hanno ritenuto violato la L. n. 223, art. 4, comma 9 nella comunicazione finale ivi considerata, quanto ai criteri con i quali era stato applicato il criterio di scelta adottato.

Gli intimati resistono alle domande con rituale controricorso, proponendo altresì contestualmente un ricorso incidentale condizionato, notificandolo il 3 marzo 2009.

La Banca si oppone al ricorso incidentale con rituale controricorso.

Ambedue le parti hanno depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, principale e incidentale vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., avendo ad oggetto la medesima sentenza.

1 – Col primo motivo del ricorso principale, la difesa dalla banca deduce la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, L n. 449 del 1997, art. 59 dell’accordo nazionale 28 febbraio 1998 e del D.M. n. 158 del 2000 nonchè la contraddittorietà della sentenza impugnata.

In proposito, la società ricorda che il criterio unico del possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia o di anzianità e, in subordine, della prossimità a tale pensione era stato stabilito dall’accordo 15 gennaio 2003, in applicazione del D.M. 28 aprile 2000, n. 158, istitutivo del Fondo di solidarietà per il sostegno al reddito, che aveva recepito l’accordo sindacale nazionale per il settore bancario del 28 febbraio 1998, interessato dalla disciplina di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 447, art. 59, comma 3 il quale aveva previsto che “gli accordi stipulati entro la medesima data del 31 marzo 1998 con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del personale dipendente possono… b) adottare, in via prioritaria, il criterio della maggiore età ovvero della maggiore prossimità alla maturazione del diritto a pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, purchè siano contestualmente previste forme di sostegno del reddito comprensive della corrispondente contribuzione figurativa”.

Col contratto collettivo del 28 febbraio 1998 (poi recepito nel D.M. n. 158 del 2000) era stato appunto convenuto di istituire presso l’INPS il Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito (alimentato da contributi prevalentemente a carico delle banche), che avrebbe dovuto erogare, per un massimo di 60 mesi, nel quadro di processi di agevolazione all’esodo, assegni mensili straordinari (con la relativa contribuzione) in favore del personale che avesse maturato i requisiti per la pensione entro un periodo massimo di 60 mesi dalla data di cessazione del rapporto.

L’accesso a tali prestazioni era subordinato, secondo il D.M. citato, all’espletamento delle procedure previste per il caso di riduzione dei livelli occupazionali, da concludere con un accordo aziendale in base al quale l’individuazione dei lavoratori da licenziare riguardasse, “in relazione alle esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale, anzitutto il personale che, alla data stabilita per la risoluzione del rapporto di lavoro, sia in possesso dei requisiti di legge previsti per aver diritto alla pensione di anzianità o vecchiaia…

L’individuazione degli altri lavoratori in esubero…avviene adottando in via prioritaria il criterio della maggiore prossimità ala maturazione del diritto a pensione a carico dell’AGO…

Per ciascuno dei casi di cui ai comma che precedono, ove il numero dei lavoratori in possesso dei suddetti requisiti risulti superiore al numero degli esuberi, si favorirà in via preliminare la volontarietà che andrà esercitata dagli interessati nei termini e alle condizioni aziendalmente concordate e, ove ancora risultasse superiore il numero dei lavoratori in possesso dei requisiti di cui sopra rispetto al numero degli esuberi, si terrà conto dei carichi di famiglia”.

Questa disciplina era stata poi applicata nell’accordo sindacale aziendale del 15 gennaio 2003, a conclusione della procedura di mobilità, che aveva adottato il criterio di scelta previsto dalla stessa L. del 1997 e dal D.M. del 2000 nonchè dalla contrattazione nazionale del 1998 e che pertanto, secondo la ricorrente, non può essere ritenuto illegittimo e anzi sarebbe quello che meglio corrisponde alle esigenze tecnico-organizzative a monte del programma di riduzione del personale e insieme il più favorevole per i dipendenti, per i quali non è previsto, nel settore, il ricorso ad ammortizzatoli sociali.

Il motivo conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Se, ai fini dell’applicazione dei criteri di scelta stabiliti dalla L. n. 449 del 1997, art. 59 e recepiti dal D.M. n. 158 del 2000, art. 8 la platea dei lavoratori da licenziare deve essere necessariamente delimitata dai profili professionali e dalla collocazione aziendale del personale indicato come eccedente, anche quando la riduzione del personale fosse necessitata dall’esistenza di una crisi che induca a ridurre genericamente i costi ed anche a costo di licenziare lavoratori per i quali non è prevista l’indennità di mobilità”.

2 – Col secondo motivo, la ricorrente principale denuncia la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e della L. n. 449 del 1997, art. 59 nonchè l’insufficienza della motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto violata la prima norma, in ragione del fatto che la banca avrebbe comunicato gli elenchi dei lavoratori licenziati, con l’indicazione del criterio seguito (per i resistenti, il raggiungimento del diritto a pensione) senza che risultasse “chiaramente, in considerazione della qualifica, del livello di inquadramento etc. che vi è un nesso causale tra posto occupato e le eccedenze riscontrate; in altri termini l’eccedenza deve riferirsi all’impresa o all’unità produttiva dell’impresa e ai profili professionali dei dipendenti da licenziare”.

Avendo la società sostenuto col primo motivo che nel caso in esame era corretta l’applicazione del solo criterio della prossimità alla pensione nei riguardi di tutto il personale, quale che sia la qualifica o il profilo professionale, ne conseguirebbe, secondo la ricorrente, l’infondatezza anche di tale assunto della sentenza impugnata, alla luce della L. n. 449 del 1997 e della successiva vicenda come descritta in occasione del primo motivo.

In ogni caso, sarebbe stato prioritario nel caso in esame, secondo quanto in precedenza riferito, il criterio del possesso dei requisiti per conseguire il diritto a pensione e tale criterio avrebbe condotto all’individuazione anche dei controricorrenti.

Quindi l’assunto della sentenza non avrebbe alcun fondamento, in particolare con riguardo alla posizione degli originali ricorrenti, individuati sulla base di un elenco formato intervistando tutti i dipendenti del gruppo, elenco costituente poi, unitamente all’accordo di programma che ne aveva previsto le modalità di formazione, oggetto della comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9.

Il motivo conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

“Se, ai fini del rispetto della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 è indispensabile che per ciascun dipendente risulti chiaramente, per ciascun nominativo, in considerazione della qualifica, del livello di inquadramento etc, che vi è un nesso causale tra il posto occupato e le eccedenze riscontrate; in altri termini, l’eccedenza deve riferirsi all’impresa o all’unità produttiva dell’impresa e ai profili professionali dei dipendenti da licenziare”.

3 – Col terzo motivo, la banca deduce la violazione del D.M. n. 158 del 2000, art. 8 e dell’accordo nazionale del 28 febbraio 1998 nonchè il vizio di insufficienza della motivazione della sentenza, laddove questa aveva ritenuto che preliminarmente la Banca avrebbe dovuto dare la preferenza alla volontarietà dell’accesso al pensionamento.

La ricorrente sostiene infatti, che in base all’accordo sindacale del 15 gennaio 2003, che richiamava il D.M. 28 aprile 2000, n. 158, a sua volta riproducente sul punto l’accordo collettivo nazionale 28 febbraio 1998, la volontarietà rileva soltanto come mero criterio di precedenza nel caso in cui per ciascuno dei casi di cui ai commi 1 e 2 il numero dei lavoratori in possesso dei suddetti requisiti risulti superiore al numero degli esuberi.

Nel caso in esame, il numero degli aventi diritto a pensione era inferiore al numero degli esuberi, per cui al criterio della volontarietà la società avrebbe correttamente ricorso solo dopo l’individuazione, come licenziandi, degli aventi diritto a pensione.

La sentenza avrebbe pertanto errato nel censurare il comportamento della società per non avere dato ingresso al criterio della volontarietà in assoluto, prima di procedere al licenziamento degli aventi diritto a pensione, tra i quali i resistenti.

Il relativo quesito di diritto viene formulato nei seguenti termini:

“Se il criterio della volontarietà stabilito dall’accordo nazionale del 28 febbraio 1998 e dal D.M. n. 158 del 2000, art. 8, comma 3 operi solo per il caso in cui il numero dei lavoratori in possesso dei requisiti di legge previsti per aver diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia ovvero il numero dei lavoratori maggiormente prossimi alla maturazione di predetti requisiti risulti superiore al numero degli esuberi, con la conseguenza che il criterio della volontarietà nell’accesso al Fondo (da parte di chi non abbia ancora maturato i requisiti per il diritto a pensione) non prevale sull’applicazione del criterio prioritario di scelta di cui al D.M. n. 158 del 2000, art. 8, comma 1”.

4 – Infine la banca deduce la mancata pronuncia della Corte territoriale in ordine alla difese svolte (che richiama) relativamente alla ulteriori deduzioni difensive sviluppate anche in appello dai lavoratori, ritenute assorbite dalla conferma della sentenza impugnata per le ragioni esposte.

5 – Col controricorso i tre lavoratori deducono preliminarmente l’inammissibilità del ricorso:

a) perchè notificato al domicilio eletto presso l’avv. Mastrangeli in Perugia, via Bartolo n. 54, anzichè in piazza Italia n. 4, come risulterebbe anche dalla intestazione della sentenza di appello;

b) perchè mancherebbe l’indicazione dei documenti e degli atti processuali posti a fondamento del ricorso e la specifica produzione degli stessi;

c) perchè sarebbe inammissibile il tentativo di cumulare nel medesimo motivo censure di diritto e di motivazione;

d) inoltre i quesiti di diritto sarebbero astratti e non consentirebbero alla Corte di valutare la loro pertinenza rispetto al caso in esame;

e) infine perchè si sarebbe formato il giudicato sulla pronuncia dei due gradi di giudizio relativa alla affermata discriminazione per età realizzata con il criterio adottato.

Col ricorso incidentale subordinato, i controricorrenti ripropongono gli ulteriori profili di illegittimità del licenziamento da loro dedotti in primo grado, in parte accolti dal Tribunale, ma ritenuti assorbiti dal giudice di appello e relativi alla violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 e agli altri profili indicati nella sentenza impugnata.

La deduzione di inammissibilità del ricorso principale perchè notificato al domicilio eletto presso l’avv. Mastrangeli in Perugia, via Bartolo n. 54, anzichè in piazza Italia n. 4, come risulterebbe anche dalla intestazione della sentenza di appello è smentita in fatto dalla richiamata intestazione, dalla quale, diversamente da quanto sostenuto, risulta l’elezione di domicilio dei resistenti in Perugia Via Bartolo n. 54, presso l’avv. Mastrangeli. Nessun altro atto o documento viene poi indicato dai controricorrenti a sostegno dell’assunto.

Quanto alla deduzione di inammissibilità sub b), essa è infondata, poichè la ricorrente ha correttamente (cfr., al riguardo Cass. S.U. n. 7161/10) indicato, in sede di illustrazione dei motivi di ricorso, la precisa collocazione tra gli atti processuali dei documenti richiamati (dopo averne all’occorrenza riprodotto il contenuto ritenuto rilevante).

Le censure di inammissibilità sub c) e d) sono viceversa fondate per le ragioni e nei limiti di seguito indicati.

Va premesso che la richiamata disciplina di cui all’art. 366-bis c.p.c. è applicabile ratione temporis al caso in esame, a norma del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e art. 27, comma 2 in ragione del fatto che il ricorso ha ad oggetto una sentenza pubblicata successivamente alla data del 2 marzo 2006 e prima del 4 luglio 2009, quando l’art. 366 bis è stato abrogato (non retroattivamente: Cass. 26 ottobre 2009 n. 22578) dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) con effetto nei riguardi dei ricorsi avverso sentenze pubblicate a partire dal 4 luglio 2009.

La citata disposizione del codice di rito recita:

“Nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.

In proposito, è stato ripetutamente affermato da questa Corte che “il legislatore, nel porre a carico del ricorrente l’onere della sintetica ed esplicita enunciazione del nodo essenziale della questione giuridica di cui egli auspica una certa soluzione, rende palese come a questo particolare strumento impugnatorio sia sottesa una funzione affatto peculiare: non solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata (in un senso, ovviamente, che il ricorrente prospetta a sè più favorevole), ma anche quella di enucleare – con valenza più ampia e perciò nomofilattica – il corretto principio di diritto al quale ci si deve attenere in simili casi. L’interesse personale e specifico del ricorrente deve, insomma, coniugarsi qui con l’interesse generale all’esatta osservanza e all’uniforme interpretazione della legge” (cfr., per tutte, Cass. sez. 1A, 22 giugno 2007 n. 14682 o Cass. 10 settembre 2009 n. 19444).

Con riguardo al quesito di diritto (che non può essere desunto dal contenuto del motivo: Cass. 24 luglio 2008 n. 20409), è largamente prevalente l’affermazione secondo cui questo deve comprendere a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare al caso esaminato (cfr., ex plurimis, Cass. 17 luglio 2008 n. 19769 e Cass. 30 settembre 2008 n. 24339).

Inoltre, secondo l’univoca interpretazione di questa Corte, anche l’illustrazione del motivo relativo al preteso vizio di motivazione deve concludersi con una chiara, sintetica, evidente ed autonoma indicazione del fatto controverso in relazione al quale viene dedotto l’uno o l’altro dei vizi possibili (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 16528/08 e, più recentemente, Cass. 27680/09 e 4556/09).

Si ricorda infine l’orientamento di questa Corte (Cass. 18 gennaio 2008 n. 976), cui il collegio aderisce, secondo cui la proposizione congiunta, in un unico motivo, di vizi di violazione di legge e vizi di motivazione in fatto è ammissibile quando sia agevole isolarne il rispettivo contenuto e il motivo si concluda con una corrispondente pluralità di quesiti (cfr. anche Cass. 31 marzo 2009 n. 7770 e 9 marzo 2009 n. 5624).

Nel caso in esame, si rileva anzitutto che difetta in tutti e quattro i motivi di ricorso l’indicazione del dato riassuntivo del dedotto vizio di motivazione, per cui le relative censure devono ritenersi inammissibili.

Inoltre, partendo dall’esame del quesito di diritto relativo al primo motivo di ricorso, si rileva che esso si riferisce all’affermazione della sentenza secondo la quale la società, avendo sostanzialmente assegnato all’unitario criterio della “prossimità a pensione” la funzione di diretta individuazione delle eccedenze di personale, anzichè quella di selezionare, tra i dipendenti che ricoprono o potrebbero ricoprire le posizioni eccedenti, quelli da licenziare, avrebbe effettuato una scelta priva di razionalità rispetto al fenomeno “mobilità del personale” in una grande impresa (con ricadute sul piano della possibile concentrazione dei licenziamenti in determinate aree geografiche e professionalità, con conseguente successiva necessità di nuove assunzioni e/o di nuovi licenziamenti) e inoltre di carattere discriminatorio, in quanto finisce per incidere arbitrariamente sul personale più anziano.

Il collegio rileva che, rispetto a tale ratio decidendi, il quesito citato non indica in primo luogo quale è stato il principio affermato nel caso esaminato dalla Corte territoriale che si intende contrastare e inoltre, anche alla luce della esposizione del relativo motivo, non articola in maniera adeguata la regola di diritto da contrapporre a quella affermata dalla Corte territoriale in relazione ai fatti accertati e che si chiede a questa Corte di dichiarare con l’effetto di mutare radicalmente la decisione della causa.

Esso, col relativo motivo, non investe infatti direttamente questo tema, ma invocando i criteri di scelta stabiliti dalla L. n. 449 del 1997, art. 59 e recepiti dal D.M. n. 158 del 2000, art. 8 (che peraltro, anche secondo tali atti, devono essere applicati “in relazione alle esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale ” e quindi con riferimento alle funzioni dichiarate eccedenti nella comunicazione iniziale), sostiene che rispetto ad essi sarebbero indifferenti funzioni e collocazione aziendale del personale da licenziare, come se questi ultimi dati costituissero elementi che la sentenza ha voluto utilizzabili in sede di scelta del personale, come tali derogabili dagli accordi collettivi (e nella specie anche dal D.M. citato).

In tal modo il quesito e lo stesso motivo non affrontano il tema centrale della sentenza impugnata, che è quello della congruenza dei criteri di scelta rispetto alle ragioni della eccedenza, come specificate, alla stregua della comunicazione di apertura della procedura, nel concreto assetto lato sensu “aziendale”, nel caso in esame articolato in più società, filiali e funzioni.

Dichiarazione di apertura della procedura da parte della società che infatti, pur indicando come motivo della riduzione il perseguimento di un minor costo aziendale, stabiliva in maniera specifica qualifica e collocazione quantomeno regionale delle eccedenze (come risulta dal controricorso), all’interno del quale operare le scelte di riduzione.

All’accertamento della Corte d’appello, secondo cui questo riferimento alle eccedenze, pur delineato nella dichiarazione di apertura, sarebbe stato omesso nell’applicazione del criterio di scelta della “prossimità a pensione”, violando quindi la L. n. 223 del 1991, il ricorso, in particolare col primo motivo col quesito di diritto formulato a conclusione dello stesso, non contrappone pertanto un principio diverso, in grado di sovvertire le sorti del giudizio di merito.

Si tratta in definitiva di un quesito astratto e non pertinente rispetto all’effettivo contenuto della sentenza, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. Resta assorbita la necessità di esame del motivo di inammissibilità sub e) nonchè degli ulteriori motivi di ricorso, l’inammissibilità del primo comportando la definitività della sentenza impugnata sul principale argomento di autonomo sostegno della stessa e quindi determinando l’inammissibilità dell’intero ricorso.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso principale consegue l’inefficacia di quello incidentale tardivo.

Il regolamento delle spese di questo giudizio si uniforma al criterio della soccombenza sostanziale e i relativi importi sono liquidati in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e dichiara inammissibile quello principale, inefficace l’incidentale; condanna la società a rimborsare ai resistenti le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 105,00 per esborsi ed Euro 3.500,00, oltre accessori di legge, per onorari complessivi.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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