Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17537 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. trib., 28/06/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 28/06/2019), n.17537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21540/2013 R.G. proposto da:

P.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Mileti Giuseppe,

con domicilio eletto presso il suo studio, in Termoli, Via XXIV

maggio n. 6, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n.

12,

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 26/05/2013, depositata il 14 febbraio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 maggio

2019 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle entrate emetteva due avvisi di accertamento nei confronti di P.S. per gli anni 2004 e 2005, ritenendo che che questi avesse percepito redditi da lavoro autonomo, in base alle movimentazioni del conto corrente n. 90261 intestato alla ditta La Fabbrica dell’Argento di C.N., quest’ultima moglie del ricorrente, su cui aveva la delega, e del conto corrente n. 130447 intestato al contribuente, determinando un maggior reddito da lavoro autonomo per Euro 357.601,84, di cui Euro 349.801,84 riconducibile alle rimesse confluite sul conto corrente della moglie ed Euro 7.800,00 per rimesse confluite sul proprio conto corrente. Per i due anni il contribuente aveva dichiarato solo redditi da fabbricati e da lavoro dipendente per Euro 16.435,00 nel 2004 e per Euro 16.744,00 nel 2005.

2. La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva i due ricorsi riuniti, mentre la Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, rilevando che il contribuente non si era presentato per rendere i chiarimenti nonostante gli inviti a comparire per i due anni di imposta, che non erano state fornite giustificazioni delle operazioni di versamento e di prelevamento sul conto corrente 130447, che vi era la delega ad operare sul conto corrente intestato alla moglie, che non era credibile che la sua attività di cessione di pubblicazioni relative al gioco del lotto non fosse remunerata.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.

4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce “illegittimità degli avvisi di accertamento per mancata instaurazione del preventivo contraddittorio – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 – Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento alle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51”, in quanto non ha ricevuto alcuna notifica di invito al contraddittorio per il 2004, mentre per l’anno 2005 non era stato accordato il chiesto differimento per produrre la necessaria produzione bancaria.

1.1. Tale motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

1.2. L’inammissibilità deriva dalla circostanza che la sentenza di appello è stata pubblicata il 14-2-2013, sicchè era applicabile l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, in relazione, appunto, alla sentenze pubblicate a partire dal 11-9-2012.

Nella specie, invece, il ricorrente ha dedotto l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, utilizzando la censura sulla motivazione anteriore all’entrata in vigore della novella.

Il motivo è inammissibile anche perchè la doglianza in ordine al mancato invito al contraddittorio per l’anno 2004 risulta formulata solo in questa sede, nè il ricorrente ha indicato l’atto con il quale tale doglianza è stata introdotta per la prima volta in giudizio.

Il motivo è, poi, anche infondato, in ordine alla dedotta violazione di legge. Invero, per questa Corte la presunzione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, consente all’Amministrazione finanziaria di riferire “de plano” ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui, e la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, posto che il citato art. 32 prevede quel contraddittorio alla stregua di mera facoltà, non di obbligo, dell’amministrazione tributaria (Cass., 26 aprile 2017, n. 10249; Cass., 5 dicembre 2014, n. 25770; Cass., 28 luglio 2000, n. 9946;).

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “illegittimo utilizzo delle rimesse bancarie confluite nel conto n. 90261 del “La Fabbrica dell’Argento di N.C. – Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento alle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto il conto corrente n. 90261 non risulta intestato e non è in alcun modo riconducibile al P., ma è intestato a N.C., moglie del contribuente, o più precisamente alla ditta La Fabbrica dell’Argento di C.N.. L’Agenzia, però, non ha fornito alcun elemento idoneo a dimostrare la fittizia interposizione dell’impresa individuale Cosimi, ad esclusione della delega conferita dalla moglie al contribuente ad operare sul predetto conto corrente. Tuttavia, il P. non ha mai utilizzato tale delega per effettuare operazioni sul conto corrente della moglie. Inoltre, non sono stati esaminati i documenti da cui risulta che il conto corrente 90261 è stato utilizzato solo dalla C., in prevalenza per lo svolgimento della propria attività di impresa e, in via residuale, per prelievi personali. In particolare non sono stati esaminati gli assegni emessi dalla C. in favore dei suoi dipendenti o al consulente del lavoro, estratti del conto corrente ed altra documentazione.

2.1. Tale motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

2.2. Anzitutto, si rileva che il vizio di motivazione è stato dedotto nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012 all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile nella nuova versione alle sentenze di appello depositate a partire dall’11-9-2012.

2.3. Inoltre, i documenti che non sarebbero stati esaminati dal giudice di appello non sono stati riportati nel loro contenuto essenziale, nè trascritti, e non sono stati neppure allegati al ricorso, in violazione del principio di autosufficienza.

3.1.11 motivo è, poi, infondato, quanto alla dedotta violazione di legge.

3.2. Invero, dirimente è la circostanza, del tutto pacifica in atti, valorizzata nella motivazione del giudice di appello, per cui il contribuente aveva la delega ad operare sul conto corrente n. 90261 intestato all’impresa della moglie (La Fabbrica dell’Argento di C.N.).

3.3. Infatti, per giurisprudenza consolidata di legittimità, in tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente, in quanto sia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, riguardo alle imposte sui redditi, che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, riguardo all’IVA, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti (Cass. Civ., 30 luglio 2018, n. 20118; Cass. Civ., 10 febbraio 2017, n. 3628; Cass. Civ., 1 febbraio 2016, n. 1898; Cass. Civ., 1 ottobre 2014, n. 20668; Cass. Civ., 4 agosto 2010, n. 18083, dove si dà atto che la più recente giurisprudenza, pur non rinnegando il principio per cui l’ufficio deve provare l’intestazione fittizia a terzi dei conti correnti, valorizza a fini probatori il solo dato presuntivo della relazione di parentela; Cass. Civ., 20449/2011 ove si afferma il medesimo principio in tema di società di persone).

4. Nella specie, quindi, poichè l’indagine bancaria è stata effettuata anche sul conto corrente della moglie del P., sui cui questi aveva la delega ad operare, trova applicazione la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, Dessendo, quindi, riferibili al contribuente le operazioni (rimesse) riscontrate sul conto corrente bancario della moglie.

4.1. Pertanto, per giurisprudenza di legittimità, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, attribuendo all’ufficio delle imposte il potere di procedere a accertamenti bancari prevede espressamente una presunzione legale a carico del contribuente, ciò che comporta una vera e propria inversione dell’onere della prova in forza della quale egli è tenuto a giustificare i vari movimenti bancari e dimostrare che gli stessi sono estranei al reddito non essendo a lui di fatto riferibili, senza che rilevi, in senso contrario, la regolarità formale della documentazione aziendale (Cass. Civ., 7 febbraio 2008, n. 2843). Tale prova contraria non è stata fornita dal contribuente. Nè si può ritenere accertata la circostanza che il P. non abbia mai effettivamente operato su tale conto corrente, in quanto tale circostanza è stata allegata solo in sede di legittimità ed è contestata dalla Agenzia delle entrate. Infatti, nel controricorso si è affermato che non è stata mai fornita la prova “sul fatto che le rimesse ivi confluite fossero rimaste estranee ad altrettante operazioni imponibili sottratte a tassazione dal sig. P. per le sue attività professionali, fra cui quella di “lottologo”, in quanto, invece, movimentazioni regolarmente registrate, fatturate, contabilizzate e dichiarate per l’effettiva attività della sopracitata ditta”(cfr. Pagina 8 del controricorso).

Del resto, ciò che rileva sono le “rimesse” affluite sul conto corrente della moglie del contribuente, che si presumono provenienti dalla attività professionale di “lottologo” del P..

5. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente si duole dell'”illegittimo utilizzo delle rimesse bancarie confluite nel conto corrente personale del sig. P. – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 – Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3″, in quanto il contribuente non risulta aver percepito redditi di lavoro autonomo negli anni 2004 e 2005, nè fittiziamente per il tramite della ditta La Fabbrica dell’Argento di C.N. nè personalmente. In realtà, il P. non ha svolto attività di lavoro autonomo negli anni 2004 e 2005, in quanto la sua attività professionale è cessata nel 2001 e tutti i diritti di sfruttamento sono stati trasferiti alla Diamond s.a.s. di A.P. & C società che vede il Sig. Alessandro Pazzaglia, figlio dell’odierno esponente, quale amministratore e il sig. P.S. quale socio soltanto a far data dall’anno 2008. Pertanto, il ricorrente ha documentato sia la cessazione della propria attività professionale riferita alle estrazioni del lotto a far data dal 2001, sia la cessione a titolo gratuito di tutti i diritti alla società del figlio.

5.1. Tale motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

5.2. L’inammissibilità deriva, anche in questo caso, dall’avere censurato la motivazione della sentenza del giudice di appello, senza tenere conto della modifica di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012 ed applicabile alle sentenze di appello depositate a decorrere dall’11-9-2012.

5.3. Il motivo è infondato, poi, in quanto il contribuente non ha in alcun modo fornita la prova contraria necessaria a contrastare la prova legale relativa di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32. Tanto più che le somme transitate sul conto corrente personale, anche se di modesta entità, sono riferibili all’attività professionale svolta dal contribuente relativa alle estrazioni del lotto ed alla cessione a titolo gratuito dei diritti di sfruttamento delle pubblicazioni.

La Commissione regionale ha, infatti, evidenziato che “non può essere credibile che una persona, a fronte del sostenimento di costi, non realizzi alcun ricavo”. Peraltro, è pacifico che il P. abbia svolto tale attività professionale sia prima del 2004 che dopo il 2005. Nè le certificazioni, che hanno puro valore dichiarativo, sono idonee a dimostrare che il contribuente non abbia più espletato attività professionale nel periodo 2004 e 2005, stante la presenza di rimesse affluite sia sul proprio conto corrente che su quello intestato alla impresa della moglie negli anni 2004 e 2005 per importi molto rilevanti.

6. Le considerazioni ulteriori, descritte da pagina 19, sono inammissibili, in quanto non confluite in alcuna censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, essendo il giudizio di legittimità a critica vincolata.

7. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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