Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17536 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/08/2020, (ud. 17/06/2020, dep. 21/08/2020), n.17536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32934-2018 proposto da:

A.K., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON

GIOVANNI MINZONI, 9, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

LUPONIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 2437/2018 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositato il 18/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.K. ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, avverso il decreto n. 11551/2018, reso dal Tribunale di Ancona e depositato il 18 ottobre 2018, che ha confermato il diniego di protezione internazionale ed umanitaria pronunciato nei suoi confronti dalla Commissione territoriale. Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale ha ritenuto le dichiarazioni del richiedente la protezione inattendibili e, in ogni caso, non afferenti ad alcuna delle ipotesi che consentono la protezione internazionale o il riconoscimento di quella umanitaria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate censure prospettano:

I) “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, poichè, essendo il decidente investito a mezzo dell’impugnazione dell’onere di riesaminare integralmente la domanda presentata in sede amministrativa, si renderebbe perciò opportuno che egli vagli la sussistenza degli atti persecutori al fine di accertare la fondatezza della denunciata situazione di pericolo;

II) “Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto in relazione al riconoscimento della protezione internazionale”, avendo il decidente negato detta protezione sulla base di informazioni relative alla condizione dell’area di provenienza del ricorrente risalenti al 2016, senza perciò prendere in considerazione lo stato di conflitto attualmente in essere;

III) “Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto in relazione al riconoscimento della protezione sussidiaria”, poichè, avuto riguardo alla nozione di conflitto armato emergente dalle fonti unionali, il decidente ha del tutto tralasciato di valutare la sussistenza nella specie delle condizioni legittimanti l’adozione della richiesta misura;

IV) “Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto in relazione al riconoscimento della protezione umanitaria”, ricorrendo nella specie, valutato lo stato di insicurezza della regione ed anche in considerazione dell’acquisita posizione lavorativa del ricorrente, le condizioni per l’accesso alla misura atipica.

2. Il primo motivo è radicalmente inammissibile, atteso che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 18 ottobre 2018), oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.1. Costituisce, poi, un “fatto”, agli effetti della menzionata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.1.1. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. n. 21439 del 2015).

2.1.2. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale decisività, in quanto correlata all’interesse all’impugnazione, si addice innanzitutto a quel fatto che, se scrutinato, avrebbe condotto il giudice ad una decisione favorevole al ricorrente, rimasto soccombente nel giudizio di merito. Poichè l’attributo si riferisce al “fatto” in sè, la “decisività” asserisce, inoltre, al nesso di causalità tra la circostanza non esaminata e la decisione: essa deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015).

2.1.3. E’ utile rammentare, poi, che Cass., SU, n. 8053 del 2014, ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.2. Le argomentazioni esposte nel motivo in esame non rispettano, in alcun modo, gli oneri di allegazione finora descritti.

3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile, nemmeno indicando, in modo sufficientemente chiaro, quale sia la disposizione di legge di cui è lamentata la violazione o errata applicazione, e risolvendosi in una censura dell’apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito.

3.1. Va ricordato, al riguardo, che nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (cfr. Cass. n. 9304 del 2019; Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

4. Stessa sorte merita il terzo motivo, che investe la decisione impugnata nella parte in cui ha negato ricorressero le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

4.1. In sintesi, deduce l’istante che, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non si richiede la prova che il richiedente sia minacciato personalmente, essendo sufficiente che lo stesso dimostri l’esistenza di una situazione di violenza nel Paese di origine che esponga il richiedente, in caso di rimpatrio, al rischio effettivo di subire minacce gravi e individuali alla vita.

4.2. L’inammissibilità della censura in esame deriva dal fatto che la pronuncia impugnata non contiene alcuna affermazione contraria al principio per cui, in tema di protezione sussidiaria, l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale sussiste anche qualora il grado di violenza indiscriminata, che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti, raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio Paese, lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (cfr., in tal senso, Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083).

4.2.1. E’ anzi da rimarcare che il tribunale dorico non solo ha considerato inattendibile la narrazione dell’odierno ricorrente, ma ha anche motivatamente escluso – compiutamente indicando le fonti del proprio convincimento – che la zona di provenienza di quest’ultimo sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

4.2.2. Questa Corte ha recentemente chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019); ii) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, investe certamente le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c) del medesimo decreto, si è già riferito che il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, onde la corrispondente doglianza di quest’ultimo è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volta ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità, peraltro senza neppure prospettare dati più recenti di segno diverso da quelli indicati dal Tribunale.

5. Inammissibile, infine, è anche il quarto motivo che critica il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

5.1. Viene attribuito rilievo, in proposito, al contesto sociopolitico del Pakistan, “ove si sono riaccesi conflitti con “gruppi terroristici di matrice islamica”, ed alla circostanza per cui l’odierno istante risulta essersi inserito in Italia, svolgendovi un’attività lavorativa in forza di un contratto a tempo determinato.

5.1.1. La doglianza non censura adeguatamente il decreto impugnato nella parte in cui questo, all’esito di un ampio excursus motivazionale, ha evidenziato l’insussistenza di specifiche situazioni soggettive idonee a giustificare la concessione della protezione richiesta.

5.1.2. Per completezza, mette conto di rilevare che la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere comunque ancorata ad “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio”: infatti, la temuta violazione dei diritti umani deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, laddove ai fini del riconoscimento della protezione de qua, al giudice è chiesto di verificare l’esistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, altresì rimarcandosi che tra i motivi per i quali è possibile accordare la protezione umanitaria non rientrano, di per sè, l’integrazione sociale e lavorativa in Italia (cfr. Cass. n. 25075 del 2017, ribadita, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 780 del 2019).

5.2. Le odierne argomentazioni del ricorrente si risolvono, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal tribunale marchigiano, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (fr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

6. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

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