Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17531 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/08/2020, (ud. 17/06/2020, dep. 21/08/2020), n.17531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21823-2018 proposto da:

C. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato EMANUELA MATTUCCI;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato VINCENZO SALINI;

– controricorrente –

contro

UNICREDIT LEASING SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1102/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La C. s.r.l. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila del 7 giugno 2018, n. 1102, reiettiva del suo gravame contro la decisione del Tribunale di Lanciano che, accogliendo la domanda ex art. 67 L. Fall., comma 1, n. 1, del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. (d’ora in avanti, più semplicemente, Fallimento) verso la menzionata società e la Fineco Leasing s.p.a. (poi divenuta Unicredit Leasing s.p.a.), dichiarò l’inefficacia, nei confronti della curatela attrice, dell’atto del 13 giugno 2006 (con appendice in luglio 2006) con cui la (OMISSIS) s.r.l. in bonis aveva ceduto, in favore della C. s.r.l., il contratto di locazione finanziaria immobiliare dalla prima stipulato, il 5 novembre 2004, con la Fineco Leasing s.p.a., altresì ordinando alla cessionaria la restituzione al fallimento dell’immobile che ne costituiva l’oggetto, dichiarando assorbite le ulteriori domande della curatela ed inammissibili le istanze di pagamento e di manleva formulate, in via riconvenzionale, dalla Fineco leasing s.p.a.. Resiste, con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c., il Fallimento, mentre la Unicredit Leasing s.p.a. non ha svolto difese in questa sede.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) disattese la contestazione dell’appellante secondo cui la prestazione effettuata dalla fallita non superava di oltre un quarto la propria posto che, ai fini della valutazione della sproporzione del prezzo di cessione, non doveva utilizzarsi l’intero importo pagato per quest’ultima (Euro 252.433,37) bensì quello, minore, di Euro 124.500,00, pari al cd. maxi canone iniziale della locazione finanziaria, in quanto la differenza di Euro 127.933,70, versata per i canoni successivi, via via maturati, avrebbe dovuto trovare titolo nel godimento esclusivo dell’immobile da parte della società cedente fino al giugno 2006, sicchè non poteva considerarsi ai fini della valutazione comparativa delle prestazioni del contratto di cessione. Affermò, in proposito, che il contratto in esame “ha ad oggetto, non un cd. leasing di godimento (stipulato con funzione di finanziamento rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto ed in corrispettivo di canoni remunerativi esclusivamente dell’uso dei beni locati), bensì un cd. leasing traslativo, stipulato con riferimento ad un bene idoneo a conservare alla scadenza del contratto un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione di acquisto e in corrispettivo di canoni che includono anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto da parte dell’utilizzatore. Dunque,… deve affermarsi che i canoni pagati dall’utilizzatore vanno considerarti come corrispettivo dell’acquisto del bene. In tale prospettiva, appare di cristallina evidenza la natura gravemente pregiudizievole della cessione del contratto di leasing, per mezzo della quale la società cedente ha ceduto l’utilizzazione e l’opzione di acquisto dell’immobile, per cui aveva pagato il presso di Euro 252.433,37, incassando, quale controprestazione della cessione, una somma inferiore di oltre la metà (Euro 100.000,00)”; ii) respinse l’assunto della C. s.r.l. circa la sussistenza della propria inscientia decoctionis, condividendo, sul punto, le argomentazioni del giudice di prime cure che aveva considerato irrilevanti la distanza dei luoghi di residenza e la natura conflittuale dei rapporti tra i fratelli C. ( C.A., amministratrice di C. s.r.l.; C.W., amministratore della (OMISSIS) s.r.l.) rispetto alla prova dell’esclusione della circolazione di notizie sullo stato di insolvenza in cui versava da tempo la società cedente, dichiarata fallita sette mesi dopo la stipulazione del contratto di cessione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 67 L. Fall., e dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omessa ovvero insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Si ribadisce, contestandosi la contraria opinione espressa dalla corte distrettuale, l’assunto secondo cui la prestazione effettuata dalla fallita non superava di oltre un quarto quella della C. s.r.l. perchè la somma da prendere in considerazione per valutare la eventuale sproporzione tra quanto dato e quanto ricevuto dalla prima non era quella di Euro 252.433,37 (ossia l’integrale importo pagato dalla cedente in bonis alla Fineco), bensì quella, minore, di Euro 124.500,00 (pari al cd. mani canone iniziale della locazione finanziaria), in quanto la differenza di Euro 127.933,70, versata per i canoni successivi, via via maturati, avrebbe dovuto trovare titolo nel godimento esclusivo dell’immobile da parte della società cedente fino al giugno 2006. Si sostiene che “tali considerazioni sono state totalmente disattese, senza alcuna motivazione peraltro, dalla Corte di appello, sicchè la sentenza risulta anche carente di motivazione su un punto decisivo della controversia (risulta, più esattamente, violato l’art. 112 c.p.c., per il quale il Giudice è chiamato a pronunciarsi sulle eccezioni proposte dalle parti, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)…”;

II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 67 L. Fall., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omesso esame di un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio sull’insussistenza dell’elemento oggettivo previsto quale condizione dell’azione revocatoria ex art. 67 L. Fall.”. Si imputa alla corte aquilana di aver totalmente omesso l’accertamento del carattere pregiudizievole della cessione in questione rispetto ai creditori della società poi fallita. Si deduce, in proposito, che “il leasing oggetto della cessione che si intende revocare non verte su di un immobile prossimo al riscatto, e quindi prossimo ad essere acquisito al patrimonio della flalita, quanto, piuttosto, su di un immobile i cui canoni erano ancora pressochè tutti da onorare… L’atto di cessione non ha procurato, dunque, nessun aggravamento dello stato di insolvenza del debitore, posto che il valore del leasing che doveva ancora onorarsi è accresciuto da Euro 853.000,00 originari ad oltre un milione di Euro, come si evince dal piano di ammortamento allegato all’appendice dell’1.7.2006, in variazione dell’originario contratto del 2004, e dall’art. 6 della stessa appendice in cui si stabilisce che il prezzo dell’opzione di acquisto era pari ad C 202.432,51considerazioni sono state totalmente disattese, senza alcuna motivazione peraltro, dalla Corte di appello, sicchè la sentenza risulta anche carente di motivazione su un punto decisivo della controversia (risulta, più esattamente, violato l’art. 112 ti).t, per il quale il Giudice è chiamato a pronunciarsi sulle eccezioni proposte dalle parti, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)…”;

III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 67 L. Fall., comma 2, degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., e dell’art. 115c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Si criticano le argomentazioni poste dalla corte di merito a sostegno della propria affermazione circa la mancata dimostrazione, da parte della C. s.r.l., della propria inscientia decoctionis.

1.1. La ricorrente ha altresì riproposto tutte le sue difese riguardanti le ulteriori domande (di simulazione, di revocatoria ordinaria e di nullità della cessione) della curatela ritenute assorbite dal giudice di merito.

2. Il primo motivo è complessivamente insuscettibile di accoglimento.

2.1. Innanzitutto, non sussiste la ivi lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c., posto che la corte distrettuale si è espressamente pronunciata (cfr. quanto si è precedentemente riportato al p. 1.1. dei “Fatti di causa”) sullo specifico motivo di gravame innanzi ad essa prospettato dalla C. s.r.l. relativamente alla individuazione della somma da prendersi in considerazione per valutare la eventuale sproporzione tra quanto dato e quanto ricevuto dalla (OMISSIS) s.r.l. in Unii- in relazione alla cessione del contratto di leasing finanziario di cui oggi si discute.

2.1.1. L’omessa pronuncia denunciabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c., consiste, invece, nella mancanza di presa di posizione del giudice rispetto ad una domanda od eccezione, nulla avendo a che vedere con la mera carenza motivazionale, in una delle sue possibili manifestazioni (cfr. Cass. n. 26764 del 2019).

2.2. Ipotesi ancora diversa è quella regolata dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 7 giugno 2018), che si incentra sull’individuazione di un “fatto” il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito e che, per la sua decisività, da intendere come elevato grado logico di pregnanza, se considerato, potrebbe in sè sovvertire l’esito della pronuncia impugnata, sicchè si impone la rivisitazione del giudizio, da svolgere tenendo conto anche della circostanza pretermessa: “fatto” di cui è stato omesso l’esame che è da intendere in senso storico – naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014), quale circostanza rilevante sia in via diretta, perchè costitutiva, modificativa o impeditiva rispetto alla fattispecie legale, sia in via indiretta, quale fatto secondario, dedotto in funzione di prova (cfr. Cass. n. 17761 del 2016). In sostanza, l’inadeguatezza della motivazione, rileva ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel solo caso in cui essa ometta l’esame di uno o più fatti decisivi. Sta in tale quadro il nuovo assetto processuale quale delineato da Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053, e racchiusa nella sintesi delineata in tale pronuncia, secondo la quale l’attuale e novellato assetto si caratterizza per la “riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione”, sicchè è denunciabile in cassazione, nelle forme di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè”, che si determina, quale vizio processuale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), allorquando l’anomalia si manifesti come “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e (grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, mentre l’aggressione della motivazione nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, presuppone una specifica modalità delle critica, rigorosamente articolata attraverso l’indicazione del “”fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

2.2.1. Nella specie, alla stregua di quanto si è precedentemente riportato al p. 1.1. dei “Fatti di causa”, è evidente l’insussistenza di un vizio motivazionale come quello appena descritto, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Dott.., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

2.3. Nemmeno è riscontrabile, infine, il paventato vizio di violazione di legge, atteso che è rimasto sostanzialmente incontroverso che quello oggetto di cessione da (OMISSIS) s.r.l. in bonis a C. s.r.l. era stato un contratto di leasing finanziario immobiliare cd. traslativo: si era trattato, quindi, di un’operazione di finanziamento tendente a consentire alla (OMISSIS) s.r.l. il godimento di un bene finalizzato al definitivo suo acquisto grazie all’apporto economico della Fineco Leasing s.p.a. (cd. concedente), la quale, con la propria risorsa finanziaria, aveva consentito alla prima di soddisfare un interesse – che, diversamente, non avrebbe avuto la possibilità o l’utilità di realizzare attraverso il pagamento di un canone composto, in parte, del costo del bene e, per il residuo, degli interessi dovuti al finanziatore per l’anticipazione del capitale.

2.3.1. Il leasing finanziario cd. traslativo, infatti, è una figura nella quale – diversamente da quanto accade nella differente ipotesi del leasing cd. di godimento, ove la durata del contratto corrisponde al periodo di potenziale utilizzazione economica del bene, ed il valore dei canoni corrisponde sostanzialmente al valore del godimento – le parti stabiliscono che, alla scadenza del contratto, il bene conservi un valore apprezzabile superiore al prezzo di opzione, sicchè i singoli canoni sono comprensivi non del valore del godimento, ma di una parte del prezzo del bene (il residuo riguardando, invece, come si è detto, gli interessi dovuti al finanziatore per l’anticipazione del capitale).

2.3.2. In particolare, occorre qui ricordare che, come sancito da Cass. n. 20840 del 2018 (cfr. in motivazione), nel leasing traslativo immobiliare: a) i canoni costituiscono (non il corrispettivo del mero godimento del bene, ma) il versamento rateale del prezzo, in previsione dell’esercizio finale dell’opzione di acquisto; b) l’interesse del concedente è quello di ottenere l’integrale restituzione della somma erogata a titolo di finanziamento, con gli interessi, il rimborso delle spese e gli utili dell’operazione; c) non è interesse del concedente ottenere la restituzione dell’immobile (che normalmente non rientra fra i beni di sua proprietà alla data della conclusione del contratto, nè costituisce oggetto della sua attività commerciale; ma è stato scelto e acquistato presso terzi dall’utilizzatrice in funzione delle sue personali esigenze e soltanto pagato dalla società di leasing, che se ne è intestata la proprietà esclusivamente in funzione di garanzia della restituzione del finanziamento).

2.4. Deve, pertanto, ritenersi assolutamente condivisibile quanto affermato dalla corte distrettuale – al fine di disattendere il primo motivo di gravame della C. s.r.l. – relativamente alla individuazione della somma da prendersi in considerazione per valutare la sproporzione tra quanto dato e quanto ricevuto dalla (OMISSIS) s.r.l. in bonis in relazione alla cessione del contratto di leasing finanziario di cui oggi si discute.

2.4.1. L’odierna ricorrente, peraltro, – che nemmeno riproduce nel motivo in esame le clausole del contratto di leasing predetto afferenti la concreta determinazione del canone – con la censura in esame altro non fa che riproporre le medesime argomentazione già (correttamente) disattese dalla corte aquilana, così obliterando totalmente il pacifico principio secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle nonne assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

3. Il secondo motivo è parimenti infondato.

3.1. In proposito, infatti, è sufficiente rimarcare che proprio la sancita sussistenza, nella specie, della sproporzione tra le prestazioni è, di per sè, idonea a far ritenere configurato l’eventus damni in termini di perdita per la società poi fallita.

3.2. Invero, nell’azione revocatoria fallimentare, a differenza che nella revocatoria ordinaria, la nozione di danno non è assunta in tutta la sua estensione, perchè il pregiudizio alla massa – che può consistere anche nella mera lesione della par conditio creditorum, o, più esattamente, nella violazione delle regole di collocazione dei crediti – è presunto in ragione del solo fatto dell’insolvenza. Si tratta, peraltro, di presunzione iure- tantum, che può essere vinta dal convenuto, sul quale grava l’onere di provare che in concreto il pregiudizio non sussiste (cfr. Cass. 24 febbraio 2006, n. 4206 del 24/02/2006; Cass. 5 dicembre 2016, n. 24792, non massimata sul punto; Cass. n. 13002 del 2019). L’eventus damni è, dunque, in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par conditio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione (0-. Cass., SU, n. 7028 del 2006; Cass. n. 5505 del 2010; Cass. n. 13002 del 2019), e ciò “in aderenza alla funtone distributiva (antindennitaria) propria dell’azione revocatoria” (cfr Cass. n. 23430 del 2012), richiamandosi l’esigenza di assicurare una ripartizione paritaria delle perdite fallimentari fra un novero di soggetti più ampio rispetto ai creditori esistenti al momento della dichiarazione del fallimento. Si tratta di una presunzione iuris tantum, che può essere vinta dal convenuto, sul quale grava l’onere, nella specie rimasto insoddisfatto, di provare che, in concreto, il pregiudizio non sussiste (cfr. Cass. n. 4206 del 2006; Cass. n. 13002 del 2019).

4. Inammissibile, infine, è il terzo motivo.

4.1. Esso, invero, per come concretamente argomentato, si rivela essere, sostanzialmente, una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, così dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una rivisitazione del suo giudizio non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il riesame della vicenda processuale, ma solo il controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui competono, in via esclusiva, l’individuazione delle fonti del proprio convincimento ed il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonchè la scelta, tra le complessive risultanze processuali, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr., ex plurimi-, Cass. n. 12568 del 2019, in motivazione; Cass. n. 13881 del 2015; Cass. n. 24679 del 2013; Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 6694 del 2009).

4.2. La ricorrente, in altri termini, oblitera totalmente, che: i) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr Cass. n. 8976 del 2019, in motivazione; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006); la prova per presunzione semplice, che può anche costituire l’unica fonte del convincimento del giudice, integra un apprezzamento di fatto che, se coerentemente motivato, non è censurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 5484 del 2019); iii) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo, indicato in precedenza, qui applicabile, riguarda, come si è già detto, un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017); iv) la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (cfr. Cass. n. 8976 del 2019; Cass. n. 3336 del 2015); v) nella prova per presunzioni, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, ovvero che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza. Il giudice che ricorra alle presunzioni, nel risalire dal fatto noto a quello ignoto, deve rendere apprezzabili i passaggi logici posti a base del proprio convincimento (cfr. Cass. n. 14762 del 2019; Cass. n. 3513 del 2019).

4.2.1. Nella specie, la corte distrettuale – con una motivazione che non integra affatto violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e di prova presuntiva, oltre che priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – è giunta alla conclusione che il quadro indiziario desumibile dalle risultanze istruttorie in atti, valutato in ciascun elemento e nel suo complesso, fosse inidoneo, come già opinato dal giudice di prime cure, a far ritenere raggiunta la prova della inscientia decoctionis in capo alla C. s.r.l.. Nè potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare del giudice d’appello abbia trascurato dati, dedotti da quest’ultima, per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente, o implicitamente, irrilevanti.

4.3. Ribadito, allora, che spetta al giudice del merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, l’odierno assunto della C. s.r.1., si risolve, sostanzialmente, nel tentativo, da parte sua, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata, una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017, Cass. n. 9097 del 2017, Cass. n. 5054 del 2019 e Cass. n. 8976 del 2019).

5. L’esame delle ulteriori argomentazioni difensive ribadite dalla C. s.r.l. (cfr. pag. 21 e ss. del ricorso), e riguardanti le ulteriori domande (di simulazione, di revocatoria ordinaria e di nullità della cessione) del Fallimento ritenute assorbite dal giudice di merito, è, evidentemente ultroneo.

6. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, regolate dal principio di soccombenza tra le sole parti costituite, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte delflal ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la C. s.r.l. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

 

 

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