Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17531 del 02/09/2016

Cassazione civile sez. lav., 02/09/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 02/09/2016), n.17531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23242/2010 proposto da:

COOPERATIVA LAVORATORI SONCINESI A.R.L. IN LIQUIDAZIONE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL CORSO 160, presso lo

studio dell’avvocato RAFFAELLO ALESSANDRINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CLAUDIO SIGNINI, giusta delega atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati LUIGI

CALIULO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n 764/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/09/2009 r.g.n. 2130/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2016 dal Consigliere Dott. PERRINO UMBERTO;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;

udito i P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto de ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7/7 – 26/9/2009 la Corte d’appello di Milano, nel confermare la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Como a seguito di impugnazione della Cooperativa Lavoratori Soncinesi a r.l. in liquidazione che aveva proposto opposizione alla cartella esattoriale dell’INPS contenente l’intimazione di pagamento della somma di Euro 4.706.163,31 (poi ridotto in corso di causa ad Euro 2.005.364,00) a titolo di omesso versamento di contributi relativi al periodo novembre 1997 – dicembre 2001, ha osservato in sintesi quanto segue: – La retribuzione imponibile di cui alla L. n. 389 del 1989 (c.d. retribuzione virtuale), sulla base della quale la cooperativa avrebbe dovuto versare la contribuzione per i soci lavoratori era quella prevista dal CCNL cooperative edili e, quindi, non avendo quest’ultima rispettato tali criteri, ne erano scaturite le differenze contributive accertate e quantificate nel verbale di accertamento del 31.1.2002. Inoltre, agli effetti delle assicurazioni sociali obbligatorie le società cooperative erano equiparate ai datori di lavoro nei riguardi dei propri soci ai sensi del R.D. n. 1422 del 1924, art. 2. Nè la cooperativa aveva osservato gli oneri prescritti dalla L. n. 863 del 1984 in materia di rapporti di lavoro in regime di part-time (tempo parziale) per poter usufruire del regime di contribuzione per il tempo parziale. Quanto agli interessi di mora, gli stessi erano dovuti ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8; infine, erano insussistenti i dubbi di incostituzionalità sollevati dall’appellante.

Per la cassazione della sentenza ricorre la Cooperativa Lavoratori Soncinesi a r.l. in liquidazione con quattro motivi.

Resiste con controricorso l’INPS.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. 7 dicembre 1989, n. 389, art. 1 e del D.L. 23 giugno 1995, n. 24, art. 29, nonchè l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La difesa della cooperativa riporta il contenuto del D.L. n. 244 del 1995, art. 29, sulla cosiddetta retribuzione virtuale commisurata nel settore edile ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dai contratti collettivi e precisa che tale natura virtuale della retribuzione discenderebbe dal fatto che gli imponibili non corrispondono a quanto erogato effettivamente al lavoratore, essendo costituiti da valori imponibili calcolati su quanto il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato le intere 40 ore settimanali. Tuttavia, ciò produrrebbe, a suo dire, gravi conseguenze per gli imprenditori edili che per le ragioni più varie impiegano i loro dipendenti con un orario variabile, inferiore alle 40 ore settimana:i, a seconda del lavoro che in concreto c’è da svolgere. Quindi, la norma in esame sarebbe sospettabile di incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost., per disparità di trattamento tra imprenditori del settore edile ed imprenditori dei restanti settori, in quanto solo per i primi varrebbe la regola per la quale i contributi si pagano sull’orario pieno, a prescindere da quello effettivamente prestato e con la sola eccezione del part – time.

Aggiunge la ricorrente che nel caso delle cooperative non c’è un orario di lavoro normale stabilito da un contratto collettivo nazionale, ma solo un orario di lavoro normale ricavabile dal Regolamento ed eventualmente dallo Statuto della cooperativa che il socio si è obbligato ad osservare, semprechè non abbia manifestato una disponibilità ridotta per il part – time.

Inoltre, secondo tale tesi difensiva, sarebbe contraria alla logica, alla tradizione ed alla struttura del lavoro cooperativo l’esistenza di un minimale contributivo rapportato all’orario contrattuale previsto per i lavoratori dipendenti del settore, visto che il socio riceve la remunerazione in base alle ore di lavoro che la cooperativa riesce a procurargli.

2. Col secondo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione del D.L. 30 ottobre 1984, n. 299, art. 5, comma 5, la ricorrente assume che nessuna norma estende al socio di cooperativa le specifiche regole previste per il lavoro in regime di “part-time”, per cui un tale tipo di contratto è ravvisabile nel settore di cui ci si occupa anche quando l’accordo non è stato stipulato per iscritto.

3. Col terzo motivo la ricorrente ripropone l’eccezione di incostituzionalità del D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 29, per disparità di trattamento tra le imprese edili e quelle degli altri comparti produttivi. Viene precisato al riguardo che con la norma in esame, volta a contrastare l’evasione contributiva, si è introdotto nel settore edile il principio assolutamente nuovo di una retribuzione imponibile “virtuale”, ma in funzione della quantità della prestazione e non già della sua esigenza di adeguatezza ai parametri costituzionali, per cui verrebbe ad essere scardinato il principio della contribuzione previdenziale “a percentuale”, cioè di una contribuzione proporzionale alla retribuzione di fatto erogata o quantomeno dovuta in relazione al lavoro svolto.

Nella fattispecie la norma di riferimento è costituita, secondo la ricorrente, dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389, art. 1, comma 1, la cui portata precettiva esaurisce, negli altri settori economici, gli obblighi datoriali in materia di minimo imponibile, con la sola eccezione del minimo imponibile giornaliero. Quindi, la evidenziata disparità di trattamento non sarebbe giustificata da una inesistente natura diversa delle imprese edili rispetto alle altre e in ogni caso le cooperative si trovano a dover pagare la contribuzione su quaranta ore quando in effetti le ore lavorate sono inferiori e ad essere in aggiunta penalizzate per il fatto di non beneficiare dello sgravio contributivo previsto dall’art. 29, comma 2, che spetta solo per gli operai occupati con un effettivo orario di lavoro di quaranta ore settimanali.

4. Col quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, e del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 1, assumendo che, contrariamente a quanto stabilito nella sentenza impugnata, nella cartella esattoriale non potevano essere addebitati gli interessi, in quanto questi ultimi avrebbero dovuto essere solo quelli di cui al predetto art. 116, comma 9, vale a dire quelli maturati allorquando la somma aggiuntiva aveva raggiunto il tetto del 60% del contributo evaso. Precisa, inoltre, la ricorrente che il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 1, prescrive l’iscrizione a ruolo dei contributi e dei premi unitamente alle sanzioni e alle somme aggiuntive calcolate sino alla data di consegna del ruolo al concessionario, mentre nessun cenno è fatto agli interessi. Egualmente, secondo tale assunto difensivo, medesimo D.Lgs. art. 27, prevede che decorso il termine previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, (60 giorni dalla notifica della cartella) senza che sia stato eseguito il pagamento, ricomincia il calcolo delle somme aggiuntive a decorrere dalla notifica della cartella e sino alla data del pagamento, per cui anche in tal caso non è fatta menzione degli interessi.

Osserva la Corte che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente i primi tre motivi. Orbene, tali motivi sono infondati.

Invero, come questa Corte ha già avuto occasione di statuire (Cass. sez. lav. n. 3491 del 7/3/2003), “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. “minimale contributivo”), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 (convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389), senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost. (c.d. “minimo retributivo costituzionale”), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre – con incidenza sul distinto rapporto di lavoro – ai fini della determinazione della giusta retribuzione. Nè a diverse conclusioni può indurre l’art. 39 Cost., dato che la disposizione in esame si limita a determinare l’entità del contributo previdenziale utilizzando i parametri discrezionalmente ritenuti più opportuni dal legislatore, senza tuttavia attribuire alla fonte collettiva un’impropria efficacia generalizzata nella disciplina del rapporto di lavoro. L’efficacia dell’autonomia collettiva nei confronti dei lavoratori non aderenti opera anche con riguardo alla determinazione dei contributi dovuti dalle imprese cooperative per il lavoro prestato dai soci, i quali, ai fini della tutela previdenziale, sono equiparati ai lavoratori subordinati”.

Al riguardo si è altresì affermato (Cass. sez. lav. n. 1002 del 23/1/2003) che “il principio del minimo retributivo imponibile sul quale vanno commisurati i contributi (mantenuto dalla L. n. 843 del 1978) è valido – correlandosi il principio della proporzionalità tra retribuzione e contribuzione previdenziale (L. n. 153 del 1969, art. 12) con le norme che stabiliscono minimali o massimali retributivi – contributivi – in ogni ipotesi, e cioè tanto nel caso in cui la retribuzione corrisposta sia inferiore al minimo perchè il datore di lavoro paga di meno la prestazione lavorativa a pieno orario, quanto nel caso in cui detta retribuzione sia inferiore perchè la prestazione è ad orario ridotto (lavoro a tempo parziale). La parificazione che ne consegue tra datori di lavoro che corrispondono retribuzioni diverse non è irrazionale e non contrasta quindi con il principio costituzionale di eguaglianza, in quanto è giustificata dalla preminente finalità imposta dalla stessa Cost. (artt. 2, 3 e 38) di assicurare comunque un minimo di contribuzione dei datori di lavoro al sistema della previdenza sociale.” (in senso conf. v. Cass sez lav. n. 3675 del 24/2/2004).

Le obiezioni di incostituzionalità sollevate dalla difesa della ricorrente vanno, inoltre, respinte anche alla luce di quanto correttamente affermato dai giudici di merito circa il fatto che il sistema di previdenza, improntato ad esigenze di socialità, non è fondato necessariamente su una rigida sinallagmaticità tra contributi e prestazioni e che una disciplina che prescinde dalle ore di lavoro in concreto prestate trova anche la sua ragione nelle finalità di soddisfare esigenze pubblicistiche di solidarietà e di mutualità. Pertanto, correttamente la Corte territoriale si è attenuta ai suddetti principi allorquando ha affermato che nel caso di specie la retribuzione imponibile, sulla base della quale la cooperativa avrebbe dovuto versare la contribuzione per i soci lavoratori, era quella prevista dal CCNL cooperative edili e, quindi, non avendo la medesima rispettato tali criteri ne erano derivate le differenze contributive accertate e quantificate nel verbale del 31.1.2002.

Quanto all’asserita inapplicabilità della normativa in materia di minimali contributivi nell’ipotesi di rapporti di lavoro in regime di “part – time”, si rileva che altrettanto correttamente i giudici d’appello hanno affermato il contrario nel momento in cui hanno chiarito che la cooperativa opponente, proprio perchè equiparata ai fini contributivi ai privati datori di lavoro, avrebbe dovuto come questi ultimi osservare gli oneri prescritti per poter accedere alla disciplina contributiva in questione.

Infatti, le Sezioni Unite di questa Corte sono già intervenute in siffatta materia (Cass. Sez. Un. n. 12269 del 5.7.2004) statuendo che “al contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per difetto di forma, non può applicarsi la disciplina in tema di contribuzione previdenziale prevista dal D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 5, convertito in L. n. 863 del 1984, ma deve invece applicarsi il regime ordinario di contribuzione prevedente anche i minimali giornalieri di retribuzione imponibile ai fini contributivi, e così anche la disciplina di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 1, convertito in L. n. 389 del 1989, tenuto conto, da un lato, che il sistema contributivo regolato dal predetto D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 5, è applicabile, giusta il tenore letterale della norma, solo in presenza di tutti i presupposti previsti dai precedenti commi ed è condizionato, in particolare, dall’osservanza dei prescritti requisiti formali, e considerato, dall’altro, che risulterebbe privo di razionalità un sistema che imponesse, per esigenze solidaristiche, a soggetti rispettosi della legge l’osservanza del principio del minimale, con l’applicazione ad essi di criteri contributivi da parametrare su retribuzioni anche superiori a quelle in concreto corrisposte al lavoratore, e nel contempo esentasse da tali vincoli quanti, nello stipulare il contratto di lavoro “part time”, mostrano, col sottrarsi alle prescrizioni di legge, di ricorrere a tale contratto particolare per il perseguimento di finalità non istituzionali, agevolando così di fatto forme di lavoro irregolare”.

Per quel che concerne, infine, il quarto motivo ne va rilevata l’infondatezza, atteso che è il D.Lgs 26 febbraio 1999, n. 46, art. 14 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma della L. 28 settembre 1998, n. 337, art. 1) a stabilire che l’art. 30 (interessi di mora) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è sostituito dal seguente: “1. Decorso inutilmente il termine previsto dall’art. 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi”.

D’altra parte la Corte territoriale ha chiaramente spiegato che il recupero sul debito contributivo degli interessi di mora di cui al D.P.R. 29 settembre 1973l, n. 602, art. 30, come sostituito dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 14, avveniva solo dopo il raggiungimento del tetto massimo di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, per cui anche sotto tale aspetto l’impugnata sentenza è immune da censure di ordine logico – giuridico.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 11.300,00 per compensi professionali e di Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2016

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