Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17530 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. trib., 28/06/2019, (ud. 14/03/2019, dep. 28/06/2019), n.17530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10559/2015 R.G. proposto da:

X.B., in proprio e quale titolare della ditta Asia Center,

rappresentata e difesa dall’avv. Marcone Claudio, con domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Pini Eugenio in Roma, via della

Giuliana 82;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 8706/07/14, depositata in data 13/10/2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 marzo 2019

dal Consigliere Novik Adet Toni.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che l’Agenzia delle Dogane di Napoli 1 ha emesso nei confronti di X.B., in proprio e quale titolare della ditta individuale Asia Center (di seguito, il contribuente), in solido con lo spedizioniere doganale, 6 atti di irrogazione di sanzione per inesatta indicazione del valore in dogane della merce importata, oggetto di precedenti atti di contestazione.

2. Il contribuente ha impugnato gli atti innanzi alla CTP di Napoli, che ha accolto il ricorso.

3. La sentenza è stata impugnata dall’Agenzia delle dogane. La CTR, con sentenza n. 8706/07/14, depositata il 13/10/2014, ha accolto l’appello.

4. La CTR sulle questioni poste con il gravame ha ritenuto infondate le eccezioni che erano state sollevate, affermando che: a) il contribuente era stato l’importatore della merce cui si riferivano le sanzioni irrogate; b) gli atti opposti erano correttamente motivati e consentivano al medesimo di conoscere la pretesa nei suoi elementi essenziali ed apprestare adeguate difese nell’an e nel quantum; c) irrogando le sanzioni l’ufficio aveva implicitamente ritenuto inconsistenti le ragioni difensive; d) nel merito, evidenziava che la contraddittorietà delle difese del contribuente escludeva la sua estraneità alle importazioni, sicchè “le ragioni dell’Ufficio appellante risultano assai più convincenti rispetto a quelle di parte resistente”.

5. Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi, cui l’Agenzia delle dogane resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un primo motivo il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., commi 2 e 4, – D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in correlazione con l’art. 111 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4). Difetto di motivazione della decisione. Motivazione apparente. La decisione, ad avviso della parte, si sarebbe limitata a criticare le deduzioni dell’appellante, ma non aveva enunciato i motivi per cui l’appello dell’agenzia era meritevole di accoglimento. Il contribuente richiama la giurisprudenza di legittimità che ritiene nulla la sentenza priva dell’esposizione delle ragioni sulle quali si fonda la decisione di riforma.

Il motivo è inammissibile. Esso mira infatti a far emergere l’asserita apparenza della motivazione della commissione territoriale sulle ragioni che avevano portato all’accoglimento dell’appello. Senonchè, la censura di ordine motivazionale era nella specie ammessa nei soli e ben più ristretti limiti dell”omesso esamè circa un fatto decisivo per il giudizio, sulla base della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (qui applicabile ratione temporis, trattandosi di sentenza di appello depositata successivamente all’11 settembre 2012). In ordine a tale nuova formulazione – applicabile anche al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze del giudice tributario – si è affermato (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) che: “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (così, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. 2498/15 ed altre). Nel caso di specie, la sentenza impugnata, nell’esercizio del proprio potere di valutazione, tra cui rientra anche quello del materiale probatorio acquisito agli atti, ha esposto sinteticamente le ragioni per le quali ha ritenuto di condividere la tesi prospettata nell’impugnazione dall’Agenzia delle dogane, evidenziando la contraddittorietà delle dichiarazioni rilasciate dal contribuente rispettivamente nel ricorso e nella denuncia penale, e come la prova decisiva, rispetto alla quale nel ricorso manca ogni confronto critico, derivasse dalla circostanza che dalle bollette doganali risultava che egli era il destinatario della merce importata. Risulta quindi indicato l’iter logico posto a fondamento della decisione di appello e le ragioni che hanno indotto la CTR a rigettare la tesi dell’appellante, così rendendo possibile il controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento. La parte ricorrente, quindi, deduce, non un “omesso esame”, bensì un “vizio di motivazione”.

Ugualmente è a dirsi per la doglianza relativa all’omesso esame di elementi istruttori (dichiarazioni rese dallo spedizioniere doganale Lucignano): essa, nella sua prospettazione, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, in quanto il fatto storico rappresentato è stato preso in considerazione dal giudice e ritenuto recessivo rispetto ai dati risultanti dalle bollette doganali. Si tratta di valutazione in fatto non sindacabile in questa sede.

2. Con il secondo motivo, il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) (Motivazione basata su elementi estranei rispetto alle doglianze dell’appellante): la sentenza avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto la commissione regionale non aveva esaminato la fondatezza dei motivi di appello, ma si era limitata a rigettare le argomentazioni dell’appellato “sulla base di elementi non introdotti in giudizio dall’appellante, quali il contenuto e la data della denuncia avanzata in sede penale dall’odierno ricorrente per i fatti di causa”. Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza, in quanto non è stato riprodotto il contenuto dell’appello dell’Agenzia, necessario per verificare il tenore delle difese proposte; esso è comunque infondato, in quanto è stato posto l’accento su elementi non decisivi, senza contestare l’affermazione che il contribuente era il destinatario della merce alla cui importazione si correlano le sanzioni.

3. Con il terzo motivo, il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4). La commissione regionale avrebbe omesso di prendere in considerazione gli elementi addotti dal contribuente sia nella fase amministrativa sia in quella contenziosa: a fronte della copiosa documentazione prodotta dal contribuente, la CTR aveva ritenuto la fondatezza della prospettazione dell’agenzia, incorrendo perciò nella violazione dell’art. 115 c.p.c.. Il motivo è inammissibile, in quanto implica una rivalutazione dei fatti di causa che non è consentita in sede di legittimità e si pone in contrasto con il principio per cui il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbero ad esercitare poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715).

4. Le spese seguono la soccombenza; sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti del ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il secondo e il terzo; condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, in complessivi Euro 5600, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quanto dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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