Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17530 del 26/07/2010

Cassazione civile sez. II, 26/07/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 26/07/2010), n.17530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.M., già titolare della ditta individuale

Papertopoli, elettivamente domiciliata in Roma, via Celimontana n.

38, presso lo studio dell’Avvocato Panariti Benito P., dal quale è

rappresentata e difesa, unitamente all’Avv. Romano Niccolini, per

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in Roma, viale delle

Milizie n. 38, presso lo studio dell’Avvocato Rossi Giampaolo, dal

quale è rappresentato e difeso, unitamente all’Avvocato Giovanni

Bonotto, per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Trento n. 377/2004, depositata

il 3 maggio 2004;

udita, la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29

aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato Benito Panariti, con delega;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.M., titolare della ditta individuale (OMISSIS), conveniva dinnanzi al Giudice di pace di Trento, F.A., proponendo opposizione al precetto per L. 2.103.466 notificatole in data 5 novembre 2001. La B. contestava il diritto a procedere esecutivamente in base al decreto ingiuntivo emesso il 22 dicembre 2000 dal medesimo Giudice di pace, adducendo una transazione che sarebbe intervenuta tra le parti dopo la notifica del decreto e il suo passaggio in giudicato.

Costituitosi il contraddittorio, l’adito Giudice di pace accoglieva la domanda della B. e sospendeva, quindi, l’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo, dichiarava l’inefficacia del precetto e condannava il F. a corrisponderle l’importo di L. 1.148.000 con gli interessi legali dal marzo 2001 al saldo o, in alternativa, a consegnarle merce per corrispondente valore, nonchè a risarcire il danno ex art. 96 cod. proc. civ., liquidato in Euro 500,00.

Proponeva appello il F. e, ricostituitosi il contraddittorio, il Tribunale di Trento, con sentenza depositata il 3 maggio 2004, in totale riforma della sentenza impugnata, rigettava l’opposizione a precetto e condannava la B. al pagamento delle spese.

Il Tribunale, premesso che, in termini generali, la transazione, ai sensi dell’art. 1967 cod. civ., deve essere provata per iscritto e che l’onere della prova riguardante l’esistenza e il contenuto dell’accordo incombe su chi intende far valere la transazione, osservava che in atti non risultava alcun documento di contenuto transattivo direttamente proveniente dal F., non potendosi neanche sostenere, come affermato invece nella sentenza di primo grado, che la procura a transigere fosse stata rilasciata dal F. al proprio difensore. Inoltre, la bozza di lettera trasmessa per via elettronica dal precedente legale del F. all’Avvocato Pizzini difettava della necessaria sottoscrizione del F., il quale quindi non aveva neanche l’obbligo di disconoscere detto documento. In sostanza, l’appellata non aveva fornito la prova della esistenza della invocata transazione.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre B.M. sulla base di sette motivi, illustrati da memoria; resiste, con controricorso, F.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1392 e 1967 cod. civ., nonchè vizio di motivazione in relazione a quanto affermato dalla sentenza impugnata in ordine alla forma richiesta per la procura alla transazione.

La ricorrente rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Trento, e cioè che non vi sarebbe stata in atti alcuna prova della procura rilasciata dal F. al proprio difensore ai fini della transazione, la forma scritta per la procura a transigere sarebbe necessaria solo nel caso in cui il contratto da stipulare richieda la forma scritta ad substantiam e non anche nel caso in cui la forma scritta della transazione sia quella normalmente richiesta ad probationem.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 10, nonchè vizio di motivazione omessa o insufficiente in ordine al valore probatorio del documento elettronico. La censura si riferisce al mancato riconoscimento della efficacia probatoria della bozza di lettera del F. trasmessa per via elettronica dal suo Avvocato di allora all’Avvocato di essa ricorrente, quale allegato alla e-mail del 13 febbraio 2001. In proposito, la ricorrente rileva che il D.P.R. n. 445 del 2000, art. 10, il quale dispone che il documento informatico ha l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2712 cod. civ. riguardo ai fatti e alle cose rappresentate, si riferisce chiaramente ai documenti informatici privi di sottoscrizione digitale o simili, sicchè il Tribunale avrebbe errato ad escludere l’efficacia probatoria di detta comunicazione solo perchè non sottoscritta dal F.. Il Tribunale, inoltre, non avrebbe considerato che la missiva del F. proveniva dall’indirizzo di posta elettronica del suo difensore ed era diretta all’Avvocato di essa ricorrente; il documento quindi proveniva dal legale cui il F. aveva conferito mandato a margine del ricorso per decreto ingiuntivo. E le comunicazioni provenienti dall’indirizzo dell’Avvocato del F. non erano mai state disconosciute nè durante la trattativa nè in sede giudiziale. In sostanza, quindi, vi erano in atti elementi univoci utilizzabili per superare la mancanza di sottoscrizione in calce alla lettera del F..

Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 84 cod. proc. civ. e degli artt. 1388, 1965, 1967 cod. civ., nonchè vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’affermato difetto di procura a transigere.

Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che la procura apposta a margine del ricorso per decreto ingiuntivo non potesse estendersi alla transazione raggiunta in sede stragiudiziale, pur se abilitava il difensore a transigere, conciliare e quietanzare, e ciò sul rilievo che detta procura autorizzava esclusivamente la stipulazione di transazioni giudiziali e non anche transazioni su rapporti sostanziali, tanto più se coperti da giudicato. In proposito, la ricorrente rileva che la interpretazione del Tribunale contrasterebbe con l’art. 1965 cod. civ., a norma del quale lo scopo della transazione è quello di evitare l’insorgere di una lite; e nella specie, la lite sarebbe stata introdotta con l’opposizione a decreto ingiuntivo. In ogni caso, la sede in cui avviene la transazione, se giudiziale o no, non rileverebbe ai fini della esclusione degli effetti propri della transazione, una volta che questa sia, come nella specie, avvenuta.

Con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. nonchè vizio di motivazione in ordine al preteso limite giudiziale del potere transattivo conferito al difensore del F.. Ritenendo che la procura a transigere conferita dal F. al proprio difensore non comprendesse la transazione stragiudiziale, il Tribunale ha di fatto supposto esistente un limite alla procura che non risultava da alcun documento in atti e comunque non era stato altrimenti dimostrato. Peraltro, osserva la ricorrente, quale fosse il reale contenuto della procura a transigere emergerebbe chiaramente dalla lettera del F. indirizzata al difensore di essa ricorrente e a lui trasmessa per il tramite del proprio difensore.

Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 324 cod. proc. civ., artt. 1974, 2697 e 2909 cod. civ. e vizio di motivazione in ordine all’affermata inefficacia della transazione pretesamente determinata dalla supposta esistenza di un giudicato. La legge, sostiene la ricorrente, non vieta le transazioni aventi ad oggetto liti decise con sentenza passata in giudicato, ma prevede unicamente l’annullabilità di transazioni su lite già decisa con sentenza passata in giudicato, della quale le parti o una di esse non avevano notizia. L’accordo transattivo, comunque, era stato concluso prima della definitività del decreto ingiuntivo e le parti erano pienamente a conoscenza dello stato processuale della vicenda.

Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1388 e 1393 cod. civ., nonchè vizio di motivazione in ordine alla ritenuta inesistenza del contratto concluso dal falsus procurator. Il Tribunale avrebbe errato nel dare credito all’assunto dell’appellante e nel ritenere quindi che l’avvocato cui si doveva la conclusione dell’accordo transattivo dovesse essere qualificato un falsus procurator. Nel caso di specie, invece, il giudice d’appello avrebbe dovuto fare applicazione del principio dell’apparenza del diritto. In particolare, considerato il contenuto della lettera del 13 febbraio 2001 fatta inviare dal F., il rappresentato avrebbe posto in essere un comportamento quanto meno colposo.

Con il settimo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 e 1346 cod. civ., nonchè omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’asserito mancato perfezionamento della transazione per indeterminatezza dell’oggetto. Questo, sostiene la ricorrente, sarebbe stato desumibile dalla e-mail del 13 febbraio 2001 inviata dal difensore del F., e nella successiva risposta del proprio legale, inviata a mezzo fax del 20 febbraio 2001; la prima conteneva, infatti, la proposta di definire la questione e la seconda conteneva l’accettazione di tale proposta, poi riscontrata dal difensore del F. con missiva del 28 febbraio 2001, contenente l’affermazione “sta bene”.

Rileva preliminarmente il Collegio che la sentenza impugnata si fonda su una duplice ratio decidendi. Il Tribunale ha infatti ritenuto, da un lato, insussistente in capo al difensore del F. una valida procura a transigere; dall’altro, che le risultanze documentali non consentivano di affermare che un accordo transattivo fosse stato perfezionato. Ciascuna di tali rationes è di per sè idonea a sorreggere la decisione di accoglimento dell’appello del F. e di rigetto della domanda proposta dalla ricorrente.

I motivi di ricorso concernono entrambe le rationes decidendo; i primi sei si riferiscono alla prima; il settimo alla seconda.

Quest’ultimo, che il Collegio ritiene debba essere esaminato in via prioritaria, è infondato.

Il Giudice del merito ha escluso che tra le parti sia intervenuta la transazione posta dalla ricorrente a base dell’opposizione a precetto. Il Tribunale ha in proposito osservato che la sentenza di primo grado aveva errato nel ritenere l’avvenuto perfezionamento dell’accordo transattivo, in quanto, da un lato, nella e-mail inviata dall’Avvocato Iadanza all’avvocato Pizzini il 28 febbraio 2001 restava indefinito l’oggetto della prestazione del F., non essendo stato raggiunto alcun accordo sulle modalità di scelta e di consegna della merce da sostituire a quella contestata; dall’altro, il fax del 22 marzo 2001 non rappresentava; accettazione della proposta formulata in via alternativa dall’Avvocato Iadanza, bensì un’altra e successiva proposta alla quale seguiva ulteriore corrispondenza tra i legali delle parti senza che si sia mai formato il consenso delle parti stesse, seppur per il loro tramite.

A fronte di tale motivazione, appare evidente come le censure svolte dalla ricorrente nel motivo in esame si risolvano in una sollecitazione ad una diversa valutazione della documentazione in atti, senza peraltro che vengano evidenziati specifici vizi motivazionali o la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale.

E’ noto, del resto, che “il giudizio sull’avvenuta conclusione o meno di un contratto, implicando un mero accertamento di fatto, rientra nel potere esclusivo del giudice di merito e pertanto si sottrae al sindacato di legittimità, qualora risulti sorretto da congrua motivazione ed immune da vizi logici e giuridici” (Cass., n. 21019 del 2006; Cass., n. 221 del 1977).

Nella specie, le censure della ricorrente si appuntano invero sulla interpretazione dei documenti che i legali delle parti si sono scambiati e si sostanziano nella rivisitazione del contenuto degli stessi; il Tribunale, peraltro, ha tenuto presente e ha valutato il complesso delle produzioni documentali delle parti ed è motivatamente pervenuto alla conclusione che detti documenti non fossero idonei a fornire la prova della conclusione di un accordo transattivo, del quale era rimasto non definito l’oggetto della prestazione del F., non essendo stato raggiunto alcun accordo sulle modalità di scelta e di consegna della merce da sostituire a quella contestata.

Dalla infondatezza del settimo motivo, discende l’inammissibilità dei primi sei, tutti incentrati sulla diversa ratio decidendi concernente l’esistenza di una valida procura al difensore del F.. Trova, infatti, applicazione il principio per cui “quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta” (Cass., n. 12372 del 2006).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 600,00, di cui Euro 400,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2010

 

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