Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17530 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/08/2020, (ud. 17/06/2020, dep. 21/08/2020), n.17530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21801-2018 proposto da:

P.R., in proprio e quale socio accomandatario della

società “Sciù Sciù Sas di R.P. & C., elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA CROCE ROSSA N. 2, presso lo studio

dell’avvocato PINA LOMBARDI, rappresentato e difeso dall’avvocato

PIERPAOLO TADDEO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS) SAS DI

R.P. & C;

– intimati –

avverso la sentenza n. 123/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.P. in proprio, quale socio accomandatario della “(OMISSIS) s.a.s. di R.P. e C.”, ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 7 giugno 2018, n. 123, reiettiva del reclamo da lui proposto contro la dichiarazione di fallimento della menzionata società e suo personale, pronunciata dal Tribunale di Avellino su istanza del fallimento (OMISSIS) s.r.1.. Nessuno dei destinatari della notifica del ricorso ha svolto difese in questa sede.

1.1. Per quanto qui di interesse, quella corte, dopo aver dato atto della tempestività del reclamo e della irrilevanza della dichiarazione di cessazione di attività al 31.12.2015 inviata all’Agenzia dell’Entrate: i) ha ritenuto fallibile la società suddetta, ai sensi dell’art. 1 L. Fall., comma 2, valutando i requisiti ivi descritti con riferimento al triennio 2014-2016, “in quanto l’il-tana di fallimento è stata depositata nel 2017”; il) ha disatteso l’assunto del reclamante secondo cui, quanto al valore indicato dall’art. 1 L. Fall., comma 2, lett. b), dovesse farsi riferimento alla “media dei ricavi annui” (che, nella specie, sarebbe stato inferiore a quello indicato nella citata norma), ed ha affermato che il limite dimensionale de quo andasse rapportato, come peraltro espressamente sancito dalla norma citata, all’ammontare complessivo annuo”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 1 L. Fall., comma 2, lett. 2) (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, come modificato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e, di poi, dal D.Lgs. 12 settembre 2007 n. 169)”, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che i tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento fossero da riferirsi al triennio antecedente rispetto all’anno in cui risultava depositata l’istanza stessa, ovvero, nel caso di specie, al triennio 2014-2015-2016 rispetto al ricorso depositato il 6 aprile 2017, così facendovi rientrare l’anno 2014, in cui di pochissimo era stata superata la soglia di cui alla detta lett. b). Si assume, invece, che detta norma debba interpretarsi nel senso che “i tre esercizi antecedenti la data del deposito dell’istanza di fallimento, in relazione al giorno, mese ed anno di detta istanza, devono essere intesi come l’esercizio in corso (bilancio infrannuale) ed i due eserat precedenti completi. Tale tesi offre il vantaggio di considerare anche i ricavi dell’ultimissimo periodo di attività che diversamente non sarebbe conteggiato”;

II) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 1 L. Fall., comma 2, lett. 12), (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, come modificato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, e, di poi, dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169)”, avendo la medesima sentenza erroneamente giudicato fallibile la “(OMISSIS) s.a.s di R.P. & C.” malgrado la soglia dei ricavi lordi prevista nella suddetta lettera b) dell’art. 1 L. Fall., comma 2, fosse stata superata con uno scarto di lievissima entità (nell’anno 2014, l’ammontare accertato dei ricavi lordi era stato pari ad Euro 201.624,71). Si sostiene che “una interpretazione rigorosa, che preveda il superamento della soglia di fallibilità in questione anche in presenza della.0ramento del limite di soli pochi Euro, è da considerare illogica e contraria allo Spirito della norma e della forma introdotta con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, dovendosi ammettere un temperamento che eviti distorsioni nella applicazione del principio giuridico sotteso alla disciplina fallimentare e alla individuazione dei limiti di non fallibilità”, e si conclude nel senso che “deve trovare cittadinanza, in ambito fallimentare, il principio che il minimo superamento di un parametro tra quelli individuati dall’art. 1 L. Fall., comma 2, non comporta automaticamente la fà llibilità di una impresa, potendo detti parametri essere, viceversa, valutabili, in caso di scarto minimo o del tutto esiguo, con giusta e logica tolleranza, ai fini di una dichiarazione di non fallibilità e di non raggiungimento dei requisiti dimensionali in presenza appunto di uno scarto minimo”.

2. Le descritte censure, scrutinabili congiuntamente perchè connesse, sono manifestamente infondate.

2.1. In proposito, infatti, è sufficiente ricordare che: in tema di dichiarazione di fallimento, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1 L. Fall., comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15 L. Fall., comma 4, costituiscono mezzo di prova privilegiato, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, senza assurgere, tuttavia, a prova legale, sicchè, in mancanza dei detti bilanci, il debitore può dimostrare la sua non fallibilità con strumenti probatori alternativi (Dott., tra le più recenti, Cass. n. 24138 del 2019; Cass. n. 33091 del 2018; Cass. n. 30541 del 2018; Cass. n. 30516 del 2018); ii) in tema di requisiti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, i “tre esercizi” antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento, ai sensi dell’art. 1 L. Fall., comma 2, lett. a) e 12), nel testo novellato dal D.Lgs. n. 169 del 2007, devono intendersi come esercizi aventi ciascuno durata annuale, avendo il legislatore ritenuto congrua una valutazione ancorata sempre a tale lasso temporale, salvo che non sia trascorso un periodo inferiore dall’inizio dell’attività dell’impresa Cass. n. 12963 del 2018).

2.2. In particolare, proprio per giustificare l’affermazione di quest’ultimo principio, la menzionata Cass. n. 12963 del 2018, ha specificamente rimarcato che “… il legislatore ha individuato le soglie dimensionali di un imprenditore la cui insolvenza provoca allarme e deve essere rimossa e ha predeterminato le stesse calibrandole su una prospettiva temporale annua di valutazione. Si tratta di dato oggettivo che va visto alla luce della normale durata “annuale” di un esercizio e non può essere soggettivizzato, compromettendo la valutazione discrezionale compiuta dal legislatore nella fissazione dei limiti di rilevanza attraverso un ridimensionamento del periodo di riferimento. Dunque i requisiti relativi all’ammontare dell’attivo patrimoniale e dei ricavi lordi devono giocoforza riferirsi al triennio coincidente con i tre esercizi più prossimi alla presentazione dell’istanza di fallimento, con l’unica eccezione, espressamente prevista da ambedue le disposizioni in esame, di un’impresa che abbia dato inizio alla propria attività da minor tempo (la quale, ferma ove possibile la prospettiva annuale di valutazione onde non inficiare la scelta legislativa di individuazione delle soglie di fallibilità, presenterà requisiti relativi a un arco temporale di durata inferiore al triennio). La compagine sociale rimane libera di modificare l’epoca di chiusura del proprio esercizio incidendo sulla durata complessiva dello stesso, ma tale deliberazione, se adottata nell’imminenza del procedimento per la dichiarazione di fallimento, non rileva ai fini dell’apprezzamento dell’avvenuto superamento delle soglie di fallibilità, le quali debbono rimanere ancorate a riferimenti, eventualmente riclassificati, di portata annuale…”. Peraltro, già Cass. n. 501 del 2016, sebbene con riferimento all’interpretazione dell’art. 1 L. Fall., comma 2, lett. a), aveva sancito che, in tema di requisiti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, “occorre considerare la determinazione dell’attivo patrimoniale con riferimento agli ultimi tre esercizi antecedenti alla data del deposito dell’istanza di fallimento. A tale interpretazione si perviene in ragione del dato letterale della norma, chiaro ed inequivoco, che ne permette la ricostruzione del significato e la connessa portata precettiva. Ne deriva che correttamente il triennio esaminato, a fronte dell’istanza di fallimento presentata nel 2007, è stato quello del periodo 2004-2006” (cfr. pag. 5 della relativa motivazione).

2.2.1. E’ palese, dunque, che, alla stregua di tali affermazioni, qui integralmente condivise, l’avvenuto riferimento al triennio 2014-2016, operato dalla corte napoletana quanto alla valutazione dei requisiti di non fallibilità della “(OMISSIS) s.a.s. di R.P. & C”, si rivela assolutamente corretto (posto che il ricorso di fallimento nei confronti di detta società era stato depositato nell’aprile 2017), e che la diversa soluzione interpretativa dell’art. 1 L. Fall., comma 2, lett. b), oggi proposta dal ricorrente non può essere meritevole di accoglimento.

2.3. A tanto deve soltanto aggiungersi che l’estrema chiarezza della disposizione da ultimo richiamata (“Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al comma 1, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti… b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad Euro duecentomila…”), certamente preclude al giudice adito, al fine dell’accertamento del requisito in esame (nella specie pacificamente risultato essere pari, per il 2014, ad Euro 201.624,71), l’esercizio di qualsivoglia potere discrezionale quanto alla rilevanza, o meno, di eventuali sforamenti, seppure minimi, dell’importo sancito dalla richiamata norma, e ciò per intuibili esigenze di certezza del diritto.

3. Il ricorso va, dunque, respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo tutte le controparti rimaste solo intimate, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 113 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

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