Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1753 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2019, (ud. 17/09/2018, dep. 23/01/2019), n.1753

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14210-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FIAT SPA in qualità di incorporante FIDIS Finanziaria di Sviluppo in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA P.ZA D’ARACOELI 1, presso lo studio

dell’avvocato MARCO CERRATO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GUGLIELMO MAISTO giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 437/2011 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

TORINO, depositata il 16/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2018 dal Consigliere Dott.ssa NAZZICONE LOREDANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per l’inammissibilità e in subordine il

rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato PARONI PINI per delega

dell’Avvocato MAISTO che ha chiesto il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Fidis Finanziaria di Sviluppo s.p.a., in seguito incorporata in Fiat s.p.a., con istanza prodotta il 20 dicembre 1988 ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, chiese all’Intendenza di finanza di Torino il rimborso di Lire 296.239.000 (Euro 152.994,68) per Irpeg ed Ilor versate in asserita eccedenza sul dovuto con riguardo al reddito di impresa conseguito nel 1987, avendo incluso nell’imponibile dichiarato per tale anno interessi in questo maturati su crediti di imposta rimasti insoluti, che, viceversa, erano da ritenere insuscettibili di concorrere alla formazione del reddito in ragione della loro natura compensativa e risarcitoria.

La società, quindi, impugnò, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il silenzio-rifiuto dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Torino, all’epoca operante, e tale commissione, con decisione del 27 novembre 1990, accolse il reclamo e la pretesa recuperatoria ad esso sottesa.

Sull’appello dell’Ufficio, la Commissione tributaria di secondo grado di Torino, con sentenza del 16 aprile 1997, rigettò il gravame, confermando la pronuncia del primo giudice.

Infine, la C.T.C. ha confermato la sentenza di seconde cure, affermando la non tassabilità di detti interessi, posto che costituiscono un accessorio del credito principale, quali interessi attivi derivanti da crediti di imposta, sulla base al D.P.R. n. 597 del 1973, artt. 41 e 44.

Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.

La Fiat s.p.a. ha depositato controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo essa omesso di esaminare la questione della tassabilità degli interessi sulla base dell’art. 56, comma 3, T.U.I.R., norma applicabile retroattivamente, come dedotto in sede di giudizio d’appello.

Con il secondo motivo, deduce la violazione del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36, e art. 56, comma 3, T.U.I.R., posto che questa seconda disposizione, con regola innovativa, ha disposto la tassabilità di tutti gli interessi: norma applicabile, in forza del citato art. 36, anche ai periodi di imposta anteriori.

2. – Il primo motivo è fondato.

Dall’esame degli atti del processo, consentita in ragione della natura del vizio denunziato, risulta invero che l’Ufficio sin dal giudizio di secondo grado espose la tesi della tassabilità degli interessi in ragione del portato del nuovo art. 56, comma 3, T.U.I.R., e che la Commissione tributaria di secondo grado di Torino considerò espressamente la questione, pur escludendo la retroattività del nuovo regime di tassazione di “tutti i tipi di interesse”, per il fatto che “con l’istanza di rimborso la società ha chiaramente manifestato il proprio intendimento di escludere dalla tassazione tali interessi e quindi ha fatto venir meno ogni eventuale conformità del suo comportamento rispetto al testo unico sopra citato”. Onde con ricorso in data 27 febbraio 1995 alla C.T.C. l’Ufficio invocò ancora il nuovo regime di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56, comma 3, richiamando anche il precedente di legittimità all’epoca esistente, secondo cui la nuova disciplina era applicabile retroattivamente per il disposto del D.P.R. n. 42 del 1988, art. 36).

Questa Corte ha più volte chiarito che, nel processo tributario regolato dal D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, l’atto di appello, ai sensi del citato D.P.R., art. 22, comma 3, doveva contenere, a pena di inammissibilità, l’enunciazione di tutti i motivi che l’appellante intendesse far valere a sostegno del proposto gravame, delimitando definitivamente il tema di indagine, di discussione e di decisione sia nel giudizio di secondo grado, che nelle fasi ulteriori (Cass. 11 maggio 1990, n. 4044).

Ed invero, nel contenzioso tributario regolato dal previgente D.P.R. n. 636 del 1972, per quanto riguarda il giudizio di appello si faceva riferimento al codice di 4 procedura civile ed, in particolare, all’art. 345 c.p.c., dal quale erano ammesse le eccezioni nuove (cfr. Cass 15 gennaio 2003, n. 466; Cass. 11 dicembre 1998, n. 12498).

Resta dunque non rilevante nella specie la diversa qualificazione come mera difesa della questione predetta (reputata da Cass. 18 maggio 2018, n. 12241, con riguardo a processo regolato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546).

Ne deriva che la sentenza impugnata, la quale non ha affatto esaminato l’applicabilità di detta normativa in via retroattiva nel caso di specie, è affetta dal vizio denunziato nel motivo all’esame.

3. – Il secondo motivo resta di conseguenza assorbito.

4. – La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla C.T.C., in diversa composizione, perchè esamini detta prospettazione dell’ufficio e la concreta applicabilità della normativa sopravvenuta al caso di specie; alla medesima si demanda altresì la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, innanzi alla Commissione tributaria regionale di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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