Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17526 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. trib., 28/06/2019, (ud. 27/05/2019, dep. 28/06/2019), n.17526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21753/2013 R.G. proposto da:

S.V. COSTRUZIONI S.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa

dall’avv. Alessandro Lipani del foro di Napoli, elettivamente

domiciliato a Roma, in Via Due Macelli n. 66, presso l’avv.

Francesco Cerasi;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata ope legis a Roma, in Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

AGENZIA DELLE ENTRATE, Direzione Provinciale di Napoli.

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Campania n. 40/28/13 pronunciata il 24.9.2012 e depositata

l’11.2.2013;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27.5.2019 dal

Consigliere Dott. Saieva Giuseppe;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso per il

rigetto del ricorso;

Udito il difensore della controricorrente, in persona dell’Avvocato

dello Stato Pietro Garofoli, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La società S.V. Costruzioni S.r.l., proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento notificatole dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Casoria, col quale, sulla scorta di un p.v.c. della G.d.F. di Casainuovo, venivano rettificati il reddito ed i ricavi dichiarati per l’anno 2005 ai fini IRES, IRAP ed IVA; in particolare, le veniva contestata la sottofatturazione della vendita di dodici unità abitative accertate analiticamente per differenza tra il corrispettivo dichiarato nel rogito notarile ed i mutui erogati dal sistema creditizio agli acquirenti.

2. Eccepiva la società che l’attività della G.d.F. era avvenuta in violazione di legge dato che l’accesso dei militari presso la sede legale della società, coincidente con l’abitazione dell’Amministratore Unico, era avvenuto con l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ma senza quella del comandante territoriale della G. di F. in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, per cui tutta l’attività istruttoria era illegittima e, quindi, essendo illegittimo l’accesso e la successiva verifica fiscale, l’atto era nullo.

3. L’Ufficio si opponeva all’accoglimento del ricorso che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli.

4. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 40/28/13, pronunciata il 24.9.2012 e depositata l’11.2.2013, con cui veniva rigettato l’appello interposto dalla contribuente, quest’ultima proponeva ricorso per cassazione che affidava a due motivi.

5. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, nonchè degli artt. 14,24 e 97 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, lamentando che la verifica della G.d.F. era stata effettuata mediante accesso presso la sede legale della società ricorrente, che è anche l’abitazione dell’amministratore, senza il previo rilascio dell’autorizzazione del Comandante di zona che per espressa disposizione di legge (citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52), si aggiunge, a quella del Procuratore della Repubblica.

1.2. Detta censura appare priva di fondamento.

1.3. Per giurisprudenza ormai pacifica di questa Corte (Sez. 5, sent. n. 16017 dell’8.7.2009; n. 16661 del 29.7.2011; e n. 1444 del 22.1.2013), ai sensi della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 35, la Guardia di finanza, in quanto polizia tributaria, può sempre accedere negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria, non necessitando, a tal fine, di autorizzazione scritta, richiesta per il diverso caso di accesso effettuato dai dipendenti civili dell’Amministrazione finanziaria.

1.4. Nessun obbligo incombeva pertanto sui militari che hanno proceduto alla ispezione nei confronti della ricorrente di munirsi di specifica autorizzazione scritta del comandante territoriale del corpo, cui, in base al principio gerarchico interno, è interamente riferibile l’intera attività del personale dipendente.

1.5. Va quindi disattesa la pretesa inutilizzabilità di tutti gli atti acquisiti dalla G.d.F. ai fini dell’accertamento de quo.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 14,24 e 97 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, lamentando che i Giudici di appello in violazione dell’art. 2697 c.c. non avrebbero proceduto alla acquisizione della documentazione idonea a verificare la legittimità degli atti su cui si fondava in concreto l’accertamento tributario impugnato.

2.1. Anche tale censura è inammissibile e comunque infondata.

2.2. L’estrema genericità con la quale la ricorrente omette di denunciare specificamente quali singoli atti siano inutilizzabili per la pretesa illiceità della loro acquisizione rende inammissibile la doglianza (cfr. anche nel proc. Penale Cass. pen. Sez. 2, 27.6.2018, n. 35659). Ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 2, gravava comunque sulla ricorrente medesima, l’onere di fornire la prova della eccezione formulata in ordine alla (asserita) illegittima acquisizione di atti da parte della G.d.F., talchè nessuna inversione dell’onere della prova risulta nella specie effettuata.

3. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in 13.000,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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