Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17525 del 14/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/07/2017, (ud. 22/03/2017, dep.14/07/2017),  n. 17525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14945-2015 proposto da:

A.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

LARGO SARTI 4 (STUDIO CAPPONI – DI FALCO), presso lo studio

dell’avvocato MARCO RUSSO, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONIO AZZARELLO, ANTONIO AFFABILE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli avvocati CLAUDIO

SCOGNAMIGLIO, RENATO SCOGNAMIGLIO, che la rappresentano e difendono,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7674/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/12/2014 R.G.N. 11798/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2017 dal Consigliere Dott. MANNA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO PORCELLI per delega Avvocato RENATO

SCOGNAMIGLIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 7674/14 la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame proposto da A.A. contro la sentenza del Tribunale della stessa sede che ne aveva respinto le domande di indennità supplementare ex art. 29 C.C.N.L. dirigenti imprese creditizie e di differenze retributive varie, invocate in base al denunciato carattere ingiustificato del licenziamento intimatogli il 15.5.07 da Intesa Sanpaolo S.p.A. a cagione della riorganizzazione d’una parte delle strutture della banca e dell’esubero di posizioni manageriali rispetto alle nuove esigenze.

Per la cassazione della sentenza ricorre A.A. affidandosi a sei motivi.

Intesa Sanpaolo S.p.A. resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve darsi atto che l’avviso dell’odierna udienza ai difensori di parte ricorrente è stato correttamente eseguito in cancelleria, atteso che gli indirizzi di posta elettronica certificata da loro indicati nell’epigrafe del ricorso sono risultati non validi.

1.1. Il primo motivo denuncia errata applicazione dell’art. 437 c.p.c. e violazione degli artt. 1336,1326 e 1331 c.c., nonchè omesso esame su un punto decisivo, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha esaminato e motivato in ordine alla domanda di risarcimento per mancata possibilità, per il ricorrente, di partecipare al programma di esodo incentivato, domanda che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto nuova e, perciò inammissibile, oltre che infondata: si obietta a riguardo che tale domanda era da considerarsi compresa in quella, più ampia, di risarcimento di tutti i danni conseguenti all’illegittimo licenziamento di cui ai punti 6 e 7 dell’atto introduttivo di lite; ulteriore vizio di legittimità – prosegue il ricorso – è da ravvisarsi nel non avere la sentenza considerato che il programma di esodo incentivato era stato realizzato mediante accordi sindacali qualificabili come offerta al pubblico, cui il ricorrente non aveva potuto aderire a cagione del licenziamento intimatogli.

1.2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 27 C.C.N.L. dirigenti del settore del credito, concernente l’entità dell’indennità sostitutiva del preavviso (riconosciuta al ricorrente in sole sei mensilità anzichè in dodici).

1.3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 29 C.C.N.L. dirigenti del settore del credito, del D.L. n. 497 del 1996, art. 3, comma 6 – bis, convertito dalla L. n. 588 del 1996, degli artt. 23 e 60 t.u. sulla legge bancaria e degli artt. 2043 e 2059 c.c., per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto giustificato il licenziamento nonostante che A.A. fosse distaccato alla cura degli affari di S.G.A., società non gravante sul bilancio di Intesa Sanpaolo (per il quale il ricorrente era da considerarsi a costo zero).

1.4. Il quarto motivo deduce violazione degli artt. 2 e 4 cit. C.C.N.L. e art. 1375 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha frettolosamente escluso la dequalificazione professionale sofferta dal ricorrente per essere stato sottoposto gerarchicamente, malgrado la qualifica dirigenziale, ad altro dirigente ( G.) che era divenuto tale nove mesi dopo essere divenuto il responsabile gerarchico dell’attore.

1.5. Il quinto motivo denuncia violazione della direttiva 98/59/CE del 20.7.98 sui licenziamenti collettivi e mancata applicazione della legge n. 161 del 2014: sostiene il ricorrente che dalla deposizione del teste G. è emerso che il licenziamento de quo è stato intimato nel quadro di licenziamenti collettivi cui si sarebbe dovuta applicare la procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, dovendosi considerare nel calcolo della soglia oltre la quale essa deve essere osservata anche i dirigenti e ciò in base alla cit. L. n. 161 del 2014.

1.6. Con il sesto motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 2 cit. C.C.N.L., nella parte in cui la sentenza impugnata ha negato al ricorrente la qualità di c.d. pseudo dirigente, malgrado l’assenza di poteri propriamente dirigenziali.

2.1. Osserva la Corte che il primo motivo è inammissibile perchè, anche a tralasciare gli aspetti concernenti la novità o meno della relativa domanda e la correttezza della sua interpretazione da parte dei giudici di merito, resta il rilievo che, risalendo il licenziamento al 15.5.07 e gli accordi sull’esodo incentivato al 7.12.06 e al 1.8.07, non chiarisce di quali “finestre” pensionistiche l’odierno ricorrente si sarebbe potuto avvalere e cosa gli abbia impedito di farlo, quanto meno in relazione al primo di tali due accordi (stipulato in epoca in cui il rapporto di lavoro inter partes era ancora in atto).

Tale genericità del motivo non consente la necessaria verifica della sua decisività, a sua volta funzionale all’accertamento dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c..

Quanto al vizio di omesso esame – per altro non conferente quando si parla di omessa pronuncia su una domanda e, per di più, denunciato anche in modo irrituale rispetto alle prescrizioni di cui a Cass. Sez. U. n. 8053/14 – basti osservare che, in realtà, la Corte territoriale anche a riguardo si è pronunciata nel merito (ritenendo tale domanda risarcitoria sfornita di prova, oltre che inammissibile).

2.2. Il secondo motivo è infondato.

L’art. 27 cit. C.C.N.L. (così come risulta trascritto in ricorso) prevede espressamente solo sei mesi di preavviso per il dirigente che abbia diritto al trattamento di previdenza aziendale. E che l’odierno ricorrente vi avesse diritto è stato verificato dai giudici di merito, con accertamento non surrogabile in sede di legittimità.

2.3. Il terzo motivo è inammissibile perchè, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, in realtà invoca una nuova ricognizione in punto di fatto circa il carattere giustificato o meno del licenziamento in relazione all’incidenza del permanere della posizione di A.A. all’interno di S.G.A. e delle relative ripercussioni sul bilancio di Intesa Sanpaolo.

In tal modo il ricorso sollecita una mera rivisitazione delle risultanze istruttorie, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione.

Ancor più non è consentita alla stregua del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (applicabile ratione temporis, vista la data di deposito della sentenza impugnata), come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54 e come interpretato dalla costante giurisprudenza di questa S.C. (cfr., per tutte, Cass. Sez. U. n. 8053/14, cit.).

2.4. Analoghe considerazioni valgono riguardo al quarto motivo: anch’esso sconfina sostanzialmente sul piano del merito e, inoltre, muove dall’erronea premessa che l’essere il dirigente sottoposto ad un altrui potere gerarchico comporti di per sè un demansionamento, a prescindere da un mutamento sostanziale delle attribuzioni.

In realtà la qualifica dirigenziale non è incompatibile con un livello gerarchico intermedio fra il dirigente medesimo e l’imprenditore, purchè permanga una vasta autonomia decisionale, quantunque circoscritta dal potere direttivo di massima del dirigente in posizione sovraordinata.

In sede di merito è stato altresì accertato che la posizione, ricoperta dal G., di responsabile organizzativo del servizio recupero crediti di S.G.A. non ha in alcun modo interferito con i compiti dell’odierno ricorrente, che ha seguitato a svolgere le stesse mansioni che espletava prima della promozione del G. medesimo.

Nè rileva il fatto che costui si sia visto riconoscere la qualifica dirigenziale solo nove mesi dopo essere divenuto il responsabile gerarchico dell’odierno ricorrente: invero, in assenza – giova rimarcare – di mutamenti sostanziali circa la natura e l’importanza dei compiti del ricorrente, il fatto può rilevare – semmai e se del caso – solo ai fini dell’eventuale diritto del G. di chiedere la retrodatazione del proprio inquadramento professionale (il che, ovviamente, esula dalla presente controversia).

2.5. Il quinto motivo è inammissibile perchè nuovo.

In sede di legittimità non si possono far valere questioni di diritto implicanti accertamenti di fatto (come il numero di dipendenti licenziati che – si assume sarebbe stato tale da esigere la procedura di mobilità ex L. n. 223 del 1991) neppure devoluti al giudice di merito, perchè non oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (cfr., per tutte, Cass. n. 1474/07).

2.6 Anche il sesto motivo è inammissibile perchè sostanzialmente volto ad ottenere un nuovo accertamento di fatto che smentisca quello, eseguito dai giudici di merito, secondo i quali la posizione lavorativa del ricorrente era quella propria d’un dirigente in quanto caratterizzata da assenza di vincoli di orario, da ampia discrezionalità ed autonomia e da corrispondente potere decisorio in funzione di realizzazione degli obiettivi d’impresa.

3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2017

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