Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17524 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. trib., 28/06/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 28/06/2019), n.17524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24066-2016 proposto da:

COMUNE PALERMO, in persona del Sindaco pro tempore, con domicilio

eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato SERGIO PALESANO,

giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

L.M.F., con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato AURELIO D’AMICO, giusta procura a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1056/2016 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO,

depositata il 16/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. CAPRIOLI MAURA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

Con ricorso depositato in data 23.12.2009 L.M.F. impugnava la cartella di pagamento con cui veniva invitato a pagare la somma di Euro 1796,00 per la Tarsu 2008. Lamentava che la pretesa di pagamento doveva considerarsi illegittima a seguito dell’annullamento della Delib. n. 165 del 2006 da parte del Tar Sicilia nr 1550/2009 e della conseguente non applicabilità degli aumenti Tarsu determinate dalla stessa a partire dall’anno 2006.

Con sentenza 269/2011 la CTP accoglieva il ricorso ed annullava la cartella impugnata.

Avverso tale pronuncia proponeva appello il Comune di Palermo chiedendo la riforma della sentenza e la conferma del provvedimento azionato.

Si costituiva L.M.F. istando per il rigetto dell’appello.

Con sentenza nr 1056 la CTR di Palermo rigettava l’appello. Rilevava che il giudice tributario deve tenere conto della sentenza resa in sede amministrativa che aveva annullato con effetto erga omnes la Delib. n. 165 del 2006 le cui statuizioni relative all’aumento tariffario erano state confermate nella Delib. n. 120 del 2008 su cui si fondava la pretesa tributaria oggetto del presente giudizio.

Osservava infatti che gli effetti dell’annullamento si riverberavano sulle delibere successivamente adottate dal Comune ed affette dal medesimo vizio di incompetenza rilevato dal Giudice amministrativo.

Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Palermo affidandosi a due motivi cui resiste con controricorso L.M.F..

Diritto

Con il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 508 del 1993, art. 64 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che le misure tariffarie relative all’anno 2008, oggetto dell’odierno giudizio,erano state fissate con Delib. n. 120 del 2008 che ad avviso del ricorrente non sarebbe stata travolta dagli effetti della pronuncia resa dal Tar con sentenza nr 1550/2009.

Osserva infatti che ogni obbligazione tributaria è autonoma che per legge deve essere concretizzata per ogni anno solare d’imposta sicchè ogni deliberazione tariffaria costituisce nuova regolamentazione della materia indipendente rispetto alle determinazioni precedenti.

Con un secondo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione dello Statuto del Comune di Palermo, della L. 142 del 1990, art. 4 recepita in Sicilia con la L.R. n. 48 del 1991, art. 1, lett a) della L.R. n. 7 del 1992, art. 13, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente in particolare critica l’affermazione della CTR secondo cui la delibera posta a fondamento della pretesa azionata sarebbe affetta dal medesimo vizio di incompetenza dell’organo deliberante Giunta in luogo del consiglio comunale.

Osserva al riguardo che la Regione Sicilia è dotata di competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e pertanto il regime delle attribuzioni degli organi comunali va ricercato nella fonte statutaria in quanto lo Statuto comunale costituisce la fonte normativa di riparto delle competenze funzionali assegnati agli organi istituzionali dell’ente.

Sostiene pertanto che nella specie l’organo competente ad adottare le deliberazioni impugnate sia la Giunta dovendosi avere riguardo alla riserva contenuta nella L. 142 del 1990, art. 4 recepita in Sicilia con la L.R. n. 48 del 1991, art. 1.

I due motivi suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche dedotte – sono fondati. L’annullamento della Delib. 2006, pur essendo definitivo e pur avendo indubbia efficacia erga omnes in relazione alla annualità da esso considerata, non si estende alle delibere Tarsu concernenti le annualità successive (non impugnate), quand’anche meramente riproduttive della delibera annullata. Ricorre, in proposito, l’orientamento di legittimità secondo cui (Cass. ord. 1979/18): “non può affermarsi la nullità della delibera Tarsu afferente l’anno 2010 sulla base del fatto che essa recepiva il contenuto della delibera adottata per l’anno 2006 che era stata annullata. Ciò in quanto l’adozione della Delib. 29 giugno 2010, n. 121, è frutto di una nuova volontà procedimentale che si concretizza per ogni anno solare di imposta, sicchè ogni deliberazione tariffaria costituisce nuova regolamentazione della materia giuridicamente autonoma rispetto alle determinazioni assunte negli anni precedenti”. In termini è Cass. ord. 15050/17, la quale ha in motivazione osservato che “il primo motivo è infondato, essendo pacifico che l’impugnata cartella non abbia quale atto presupposto la delibera annullata (G.M. n. 165 del 2006), bensì una successiva (G.M. n. 120 del 2008), la quale ultima, a prescindere dal rapporto contenutistico con l’altra, è autonomamente idonea a sorreggere l’atto derivato.”

Tale indirizzo individua, nella specie, un’ipotesi di invalidità non caducante, atteso che la delibera Tarsu annullata non costituisce il presupposto delle delibere successive, con la conseguenza che queste ultime non vengono automaticamente travolte dall’annullamento giurisdizionale della prima, potendo venir meno solo all’esito di impugnativa, e di esplicita ed autonoma pronuncia giurisdizionale di annullamento.

La conclusione (già recepita, proprio in materia di delibera Tarsu, anche dal giudice amministrativo: Tar Sicilia 130/2011; CGA Sicilia 420/2006) non muta in considerazione della ripetitività di contenuto delle delibere Tarsu successive, dal momento che questa stessa ripetitività costituisce espressione di una rinnovata ed autonoma volontà provvedimentale generale di conferma, e non rappresenta una conseguenza dipendente e necessitata della delibera annullata (il che, del resto, è conforme a quanto stabilito dalla legge in ordine all’esigenza che le tariffe Tarsu vengano deliberate dal Comune di anno in anno).

Escluso che la delibera successiva possa ritenersi invalida per derivazione dalla delibera antecedente annullata, ovvero per effetto di propagazione temporale del giudicato esterno di annullamento (vertendosi, nella specie, in tema di invalidità derivata dell’atto amministrativo generale e non di durevolezza pluriennale dei presupposti fattuali d’imposta relativi ad uno specifico rapporto giuridico tributario), resta da valutare se l’annullamento della delibera antecedente possa – o addirittura debba – rilevare sul diverso piano della disapplicazione della delibera successiva da parte del giudice tributario, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 5.

Si premette che il potere-dovere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il presupposto per l’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nella L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E; ed è dettato dall’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione in giudizio di tali atti solo se legittimi. Ne consegue che detto potere può, in effetti, essere esercitato – purchè gli atti in questione siano stati investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato anche d’ufficio, ed indipendentemente dall’avvenuta impugnazione dell’atto avanti al giudice amministrativo; trovando esso limite esclusivamente nell’eventuale giudicato amministrativo diretto di affermata legittimità dell’atto (SSUU 6265/06, proprio in materia di delibere comunali di approvazione di tariffe della TARSU, “presupposte” agli atti impositivi impugnati avanti al giudice tributario).

Ciò posto, la disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice tributario – disposta con effetto meramente incidentale – è purtuttavia anch’essa subordinata ad un vaglio originario ed autonomo della illegittimità dell’atto; facendo difetto, anche sotto questo profilo, qualsivoglia nesso di necessaria consequenzialità rispetto alla pronuncia invalidante eventualmente già resa, con riguardo ad un diverso e non impugnato atto amministrativo precedente, dal giudice amministrativo.

Ancorchè Cass. sez. 6 Trib. Ord. 1640/17 – con riguardo alla materia in esame sia pervenuta a disapplicare la Delib. Tarsu 2008 per effetto dell’annullamento giurisdizionale della medesima delibera relativa all’anno 2006, tale decisione è fondata, da un lato, sull’esclusione di qualsivoglia effetto espansivo da giudicato amministrativo esterno e, d’altro lato, sulla sola considerazione che la parte ricorrente aveva sostenuto l’illegittimità in via incidentale, dinanzi al giudice tributario, della delibera tariffaria successiva per la “medesima ragione di diritto posta a base dell’annullamento da parte del giudice amministrativo della precedente delibera”, il che stabiliva una diretta “correlazione tra il sollecitato potere di disapplicazione (…) e l’oggetto della specifica impugnazione da parte della contribuente”.

Sennonchè, in diverse altre pronunce (anch’esse relative alla Tarsu Palermo) questa corte di legittimità ha ritenuto che tale correlazione costituisca elemento necessario, ma non sufficiente, per la disapplicazione dell’atto amministrativo citato D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7; la quale muove pur sempre da una delibazione autonoma da parte del giudice tributarlo, e non da un automatismo di derivazione.

Ed è proprio nell’esercizio di tale autonoma delibazione che queste pronunce, come si vedrà, hanno escluso la disapplicazione delle delibere Tarsu successive a quella annullata, non ravvisando in esse – pur in presenza della già menzionata reiterazione di contenuto – il vizio di incompetenza (emanazione da parte della giunta invece che del consiglio comunale) posto a fondamento dell’annullamento ad opera del giudice amministrativo.

Il problema si sposta dunque sul “merito incidentale” della dedotta illegittimità delle delibere tariffarie Tarsu successive; e l’orientamento di legittimità in materia (tra le altre, Cass. nn. 360/14, 8336/15, 913/16, 11959/16, 15150/17, 174978/17, 1979/18, 3187/18) è nel senso di attribuire alla giunta palermitana, e non al consiglio comunale, la competenza per l’emanazione di tali delibere.

Va premesso che, in base al (TUEL) D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, lett. f), spetta al consiglio comunale (…) “f) l’istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”, dal che si evince, a contrario, che la fissazione delle aliquote tributarie spetta invece alla giunta comunale in quanto organo di competenza residuale.

Tuttavia in Sicilia (regione in cui, tra l’altro, l’organo di competenza residuale non è la giunta ex art. 48 TUEL, bensì il sindaco L.R. n. 7 del 1992, ex art. 13) il TUEL non si applica, in quanto regione a statuto speciale che non lo ha recepito (art. 1 TUEL, comma 2).

In Sicilia continua ad applicarsi sull’ordinamento delle autonomie locali L. n. 142 del 1990, come recepita con L.R. n. 48 del 1991 (art. 1, lett.a)). In base allo statuto speciale della Regione Siciliana (approvato con R.D.Lgs. n. 455 del 1946, conv. in L. Cost. n. 2 del 1948) tale materia è infatti demandata alla potestà legislativa esclusiva della regione, con la conseguenza che le norme statuà hanno efficacia solo se richiamate con apposita legge regionale.

Ciò precisato (a dovuta rettifica dell’errore nel quale è in effetti incorsa la commissione tributaria regionale nella sentenza qui impugnata), conta che – pur nella vigenza della citata L. n. 142 del 1990, art. 32, comma 2, lett. g) – “la concreta determinazione delle aliquote delle tariffe per la fruizione dei beni e servizi (nella specie tariffe di diversificazione tra esercizi alberghieri e locali adibiti ad uso abitazione) è di competenza della giunta e non del consiglio comunale poichè il riferimento letterale alla “disciplina generale delle tariffe” contenuto nella disposizione, contrapposto alle parole “istituzione e ordinamento” adoperato per i tributi, rimanda alla mera individuazione dei criteri economici sulla base dei quali si dovrà procedere alla loro determinazione e, inoltre, l’provvedimenti in materia di tariffe non sono espressione della potestà impositiva dell’ente, ma sono funzionali alla individuazione del corrispettivo del servizio da erogare, muovendosi così in un’ottica di diretta correlazione economica tra soggetto erogante ed utenza, estranea alla materia tributaria” (così, tra le altre già cit., Cass. 1979/18; Cass. 28775/2018; Cass. 2019 nr 10302).

Non pare che a diversa conclusione si pervenga – per la città di Palermo – in considerazione dell’art. 49 statuto comunale, secondo il quale la giunta è competente, tra il resto, a procedere “a variazioni delle tariffe ed aliquote dei tributi comunali e dei corrispettivi dei servizi a domanda individuale entro i limiti indicati dalla legge o dal consiglio comunale”; nè del Regolamento Comunale Tarsu, art. 14, lett. d) (adottato con Delib. consiliare n. 37 del 1997) il quale stabilisce che il consiglio fissi i “criteri di determinazione delle tariffe unitarie e relativi meccanismi di quantificazione”, prescrivendo in particolare che esso debba annualmente fissare, all’atto dell’approvazione delle tariffe unitarie della tassa da far valere per l’anno successivo, “il numero, compreso tra 0,5 ed 1, che esprime il grado di copertura del costo del servizio”.

I “limiti” entro i quali deve estrinsecarsi l’attività determinativa della tariffa annuale trovano fondamento normativo statuale nel Tarsu D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 65, comma 2, secondo cui le tariffe, per ogni categoria o sottocategoria omogenea, sono determinate “dal comune” secondo “il rapporto di copertura del costo prescelto entro i limiti di legge”.

Ciò posto, non si ritiene (per le ragioni più volte sostenute dal su richiamato consolidato indirizzo) che la mancata fissazione di tali “limiti” da parte del consiglio sia di per sè dirimente nel senso (quello qui dedotto D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) della incompetenza della giunta in materia tariffaria. Nè può rilevare, in diverso avviso, la circostanza meramente contingente che, successivamente alla delibera Tarsu in discussione, il consiglio comunale di Palermo sia poi effettivamente intervenuto (Delib. n. 342 del 2010) – ai solo fine di far cessare ogni residuo contenzioso su questo punto -nella indicazione del fattore di copertura.

Non va del resto taciuto, da ultimo, che l’indicazione del legislatore nazionale in materia è comunque poi radicalmente mutata mediante l’adozione di un opposto principio ispiratore dell’imposizione sui rifiuti, volto a far sì che la tariffa in materia consenta la integrale copertura dei costi di investimento e di esercizio del servizio di gestione dei rifiuti urbani (criterio introdotto nell’ordinamento dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, abolitivo della Tarsu, ancorchè quest’ultimo tributo, come noto, abbia poi trovato ulteriore applicazione fin vista l’emanazione della disciplina esecutiva della TIA). Dal che si evince una chiara linea evolutiva della legislazione statuale nel senso del superamento del previgente sistema di copertura discrezionale dei costi del servizio (rispondente anche a scelte di indirizzo politico dell’ente locale demandate, in quanto tali, al consiglio comunale) a favore di un sistema tariffario più rigido, perchè sempre improntato (per ragioni di interesse generale connesse al governo della fiscalità locale) a copertura integrale (fattore 1/1).

La conclusione della commissione tributarla regionale secondo cui per le annualità successive al 2006 il tributo non è dovuto – non può essere condivisa per quanto sin qui esposto.

La sentenza va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto va decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

Le spese dei giudizi di merito e di legittimità vanno compensate tra le parti, tenuto conto del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuen e. Compensa le spese di lite dei gradi di merito e della fase di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA