Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17522 del 26/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/07/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 26/07/2010), n.17522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7102/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/10/2005 R.G.N. 9269/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 24356/2002 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro, intercorso tra C.F. e la s.p.a. Poste Italiane, dal (OMISSIS) al (OMISSIS), per “esigenze eccezionali” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-97 e succ, con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato dal (OMISSIS) e con condanna della società a riammettere in servizio il C. e a corrispondergli tutte le retribuzioni a far tempo dal (OMISSIS) sino ali”effettivo ripristino del rapporto.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

Il C. si costituiva e resisteva al gravame.

Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 31-10-2005, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

Il C. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e artt. 1362 e ss.

c.c., censura la impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che “le generiche ragioni addotte dalla società, seppure in ipotesi provate … non dimostrano tuttavia, la necessaria correlazione – ai fini della legittimità del termine – tra le stesse e quelle specifiche dell’assunzione di un determinato lavoratore, in quel tempo, in quel settore per lo svolgimento di quelle specifiche mansioni”.

In particolare la ricorrente deduce che, in forza del principio della “delega in bianco”, ‘l’accertamento del nesso di causalità va condotto unicamente nell’ambito della previsione collettiva”, la quale “ha a motivo esclusivo l’esistenza del processo di riorganizzazione, e di tutte le conseguenze ad esso connesse, e su questo presupposto legittima l’Azienda all’assunzione di personale a termine entro i limiti della clausola di contingentamento”.

Il motivo non può essere accolto in quanto, essendo in proposito il dispositivo della sentenza impugnata conforme a diritto, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte in casi analoghi, correggendosi sul punto la motivazione della detta sentenza (cfr. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7-1- 2009 n. 41), deve confermarsi la nullità del termine apposto al contratto de quo, in quanto stipulato successivamente al termine di efficacia dell’accordo del 25-9-97 fissato dai successivi accordi attuativi (come peraltro, nel caso di specie, già ritenuto dal primo giudice, contestato dalla appellante e ribadito dall’appellato).

In particolare, infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggetti ve di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della, clausola di apposizione del termine (v. ira le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383.

Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

Pertanto, come questa Corte ha ripetutamente affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alta conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in l’orza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In tal senso non può essere quindi accolto il primo motivo, così correggendosi la motivazione dell’impugnata sentenza.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., in sostanza lamenta che la Corte d’Appello “non ha svolto alcun tipo di verifica” in ordine alla messa in mora del datore di lavoro da parte del lavoratore e non ha tenuto “conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.

Il motivo e inammissibile.

La prima censura risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto, ma non indica se e in che modo il punto stesso (per nulla trattato nel l’impugnata sentenza) fosse stato oggetto di specifico motivo di appello da parte della società (cfr. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336).

Peraltro la ricorrente neppure riporta il contenuto della comunicazione (dell’istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione, cfr. Cass. Cass. 28-7- 2005 n. 15900, Cass. 30-8-2006 n. 18710) che secondo il suo assunto non avrebbe integrato la messa in mora.

Parimenti, poi, del tutto generica e priva di autosufficienza è la censura relativa all’aliunde perceptum.

Anche al riguardo la ricorrente non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8- 2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -).

Nè è censurabile in questa sede il mancato accoglimento della richiesta di esibizione (dei modelli 101 e 740) avanzata dalla società, considerato che “l’esibizione di documenti non può essere chiesta a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio” (v. fra le altre Cass. 20-12-2007 n. 26943).

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore del resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del C., delle spese liquidate in Euro 23,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2010

 

 

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