Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17521 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/08/2020, (ud. 17/06/2020, dep. 21/08/2020), n.17521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32263-2018 proposto da:

M.G.A., MA.AN.MA., nella loro qualità di

eredi di M.P., M.M.B., M.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SANT’ANGELA MERICI 96, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA PANZAROLA, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI CAGLIARI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE, 10, presso lo studio

dell’avvocato VIVIANA CALLINI, rappresentato e difeso dall’avvocato

GENZIANA FARCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 50/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 23/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

SCALZA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. M.G.A. e Ma.An.Ma., in qualità di eredi di M.P., nonchè M.M.B. e M.L., ricorrono con tre motivi avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari n. 50/2018 che, pronunciando in sede di rinvio da annullamento della Corte di cassazione n. 3748/2012, in riforma della sentenza del locale tribunale ed in accoglimento dell’appello del Comune di Cagliari, rideterminando il valore di mercato dei terreni alla data dell’illecita occupazione in Euro 139.443,36, ha condannato i primi, in solido, a restituire all’amministrazione comunale la somma di Euro 1.327.870,34, quale importo riscosso in eccedenza rispetto a quanto ai ricorrenti dovuto a titolo di danni conseguenti alla perdita di proprietà di beni, posti nell’abitato di Cagliari, per maturata “accessione invertita”.

Resiste con controricorso il Comune di Cagliari.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

2. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2726,2721,2727,2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello nell’accogliere la domanda di restituzione delle somme pagate dal Comune di Cagliari in forza della sentenza di primo grado, riformata, aveva erroneamente ritenuto provato in via documentale il pagamento degli importi senza che la parte tenuta avesse assolto al relativo onere; il giudice aveva fondato la sua decisione su prove ritenute esistenti ma mai offerte.

La Corte di appello aveva ritenuto provato il pagamento da parte del Comune in ragione di una delibera adottata dallo stesso Comune e quindi di una prova “pro se”.

La Corte di merito aveva erroneamente applicato la norma sulla prova presuntiva facendo discendere dall’unico fatto noto -il pagamento effettuato dal Comune in favore del suo tesoriere, il Banco di Sardegna, per rimborsargli quanto corrisposto, quale terzo pignorato, ai ricorrenti in ragione di quanto loro liquidato nella sentenza di primo grado il fatto – ignoto dell’intervenuto pagamento di somme in esecuzione della sentenza di primo grado riformata in appello e per la cui restituzione agiva il Comune.

Mancava in atti ogni prova dell’esistenza di una procedura esecutiva.

In ogni caso la presunzione era stata applicata in una materia, il pagamento, in cui la prima era invece esclusa.

Il motivo è inammissibile.

2.1. L’illustrata censura non contiene una adeguata denuncia del paradigma dell’art. 2697 c.c. essendosi i ricorrenti limitati a far valere una pretesa di erronea valutazione di risultanze probatorie, profilo, questo, estraneo alla verifica di legittimità.

In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769 del 23/10/2018; Cass. n. 4699 del 28/02/2018).

2.2. Resta ferma poi, quanto alla violazione del divieto di prova presuntiva del pagamento, la derogabilità del divieto sancito dall’art. 2721 c.c., comma 2, pienamente motivata dal giudice di merito nella parte in cui egli ha argomentato sulla mancanza di qualsivoglia contestazione da parte degli odierni ricorrenti sia in ordine al contenuto dei documenti (così per la instaurata procedura di pignoramento presso terzi da parte dei ricorrenti) sia circa il fatto in sè (versamento di una somma molto rilevante).

Rispetto a siffatta motivazione il ricorso non smentisce, in modo specifico, l’indicata mancata contestazione che risulta, per vero neppure rinvenibile nell’atto di parte.

2.3. D’altro canto, vero è che la prova per presunzioni è denunciabile in cassazione nei termini del vizio di motivazione, non dedotto in ricorso, e tanto per il principio per il quale: “in tema di prova presuntiva, incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. n. 1234 del 17/01/2019; Cass. n. 1216 del 23/01/2006).

3. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; i documenti valorizzati per dare conto del pagamento non ne fornivano la prova ed infatti la Corte di merito là dove aveva dovuto individuare il dies ad quem per il calcolo di rivalutazione ed interessi aveva evidenziato in modo illogico, con contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, la mancanza di una più precisa indicazione della data di effettivo pagamento.

La Corte di appello, inoltre, con la precedente sentenza n. 240/2010, poi cassata dalla Corte di legittimità con sentenza n. 3748/2010, aveva ritenuto, sulla scorta dei medesimi documenti, che non vi fosse la prova che gli appellati avessero ricevuto alcunchè.

3.1. Il motivo è inammissibile perchè “sotto l’apparente deduzione del vizio di mancanza assoluta di motivazione sub specie del contrasto irriducibile tra affermazioni, e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. SU n. 34476 del 27/12/2019).

Il motivo è in ogni caso incapace di sostenere la portata censura circa una motivazione inesistente perchè perplessa o incapace di segnalare la ratio della decisione per irriducibile contrasto tra affermazioni, la prima delle quali diretta a riconoscere l’intervenuto pagamento e l’altra a far decorrere il danno da ritardato pagamento dalla data della delibera adottata dal Comune “mancando una più precisa indicazione della data di effettivo pagamento” (così la sentenza della Corte di appello).

Per vero, l'”intervenuto pagamento” ed il “termine (inteso quale data) di pagamento” non sono momenti tra loro in un rapporto di stretta conseguenzialità logica nel senso che ritenuto l’uno, l’altro debba essere necessariamente individuato e tanto là dove, come nella specie, il pagamento, o adempimento, non avvenga per un unico atto proprio del soggetto direttamente obbligato, ma sia esito di una condotta tenuta da un diverso soggetto, a sua ‘volta obbligato verso il debitore.

Tanto è nella specie stato apprezzato dalla Corte di merito là dove essa ha ritenuto il pagamento operato a mezzo della banca nella veste di tesoriere del Comune e terzo pignorato nella procedura esecutiva promossa dagli odierni ricorrenti.

4. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1294,1314 e 2033 c.c., dell’art. 97 c.p.c. e delle norme ed i principi che disciplinano la solidarietà passiva in relazione ad obbligazioni di tipo restitutorio.

I ricorrenti erano stati condannati, in via solidale tra loro, e non parziaria, a restituire al Comune l’importo di Euro 1.327.870,34 quale somma riscossa in eccedenza rispetto a quanto dovuto in loro favore a titolo di danno.

La sentenza di primo grado, in esecuzione della quale sarebbero stati eseguiti i pagamenti degli importi chiesti in restituzione, aveva condannato invece il Comune a pagare a ciascun attore una determinata somma di denaro, con esclusione di ogni vincolo solidale attivo.

5. Il motivo è inammissibile per manifesta infondatezza ex art. 360-bis c.p.c. n. 1.

5.1. La corte di appello ha condannato, in solido, gli odierni ricorrenti a restituire al Comune quanto in precedenza conseguito in più in esecuzione della sentenza di primo grado, riformata in appello, e tanto in applicazione del principio, codificato e generale, sulla natura presuntiva della solidarietà passiva che, destinato ad operare salvo eccezioni contenute nella legge o nel titolo, vuole che in tema di obbligazioni solidali passive tutti i debitori sono coobbligati (artt. 1292 e 1294 c.c.) (Cass. n. 2267 del 28/01/2019).

5.2. In caso, invece, di un rapporto obbligatorio con più creditori – e tale era l’ipotesi definita dalla prima sentenza con cui il Comune era stato condannato a pagare in favore degli attori – esclusa l’operatività di ogni regola presuntiva, si ha invece che “la solidarietà attiva fra più creditori sussiste solo se espressamente prevista in un titolo negoziale preesistente alla richiesta di adempimento, non essendo sufficiente all’esistenza del vincolo l’identità qualitativa delle prestazioni (“eadem res debita”) e delle obbligazioni (“eadem causa debendi”)” (Cass. n. 2267 del 28/01/2019; Cass. n. 15484 del 11/06/2008).

Si tratta di ipotesi non integrata nella fattispecie e neppure come tale dedotta, ragione per la quale la condanna del Comune al pagamento, là dove intervenuta, è stata disposta in favore di ciascun creditore, per la sua parte.

La diversità delle descritte fattispecie (solidarietà a latere debitoris e creditoris) assoggettate a differente disciplina non sostiene la soluzione di cui il motivo di ricorso si fa portatore.

6. Il ricorso è, pertanto, in via conclusiva inammissibile.

Le spese restano liquidate secondo soccombenza come da dispositivo.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (come da ultimo chiarito da Cass. SU n. 4315 del 20/02/2020).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rifondere al Comune di Cagliari le spese di lite che liquida in Euro 6.000,00 per compensi ed in Euro 100,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

 

 

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