Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17519 del 26/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/07/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 26/07/2010), n.17519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M., F.M., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

CESIRA FIORI 32, presso lo studio dell’avvocato LICCIARDELLO ORAZIO,

che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato CIMINELLI CARLO,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, NICOLA VALENTE, GIOVANNA BIONDI, CLEMENTINA PULLI, giusta

delega in calce alla copra notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 795/2007 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 21/08/2008 r.g.n. 332/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito l’Avvocato LICCIARDELLO ORAZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi, poi riuniti, M.M. e P.M. convenivano in giudizio l’Inps avanti al Tribunale di Genova ed esponevano: di essere titolari di pensione di reversibilità erogata dall’Inps; che i loro danti causa, G.C. e B. G., avevano lavorato alle dipendenze del Consorzio Autonomo Porto di Genova, il G. fino al 18.3.1983 ed il B. fino al 25.11.1983; che entrambi i danti causa erano titolari di pensione di invalidità; che entrambi erano stati esposti al rischio amianto, come documentato dalla certificazione Inail. Tanto premesso, chiedevano che l’Inps venisse condannato alla rivalutazione della pensione in godimento con applicazione dei benefici previdenziali previsti dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 e successive modificazioni.

Nella resistenza dell’Inps il Tribunale respingeva le domande rilevando che alla data (28.4.1992) di entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, i danti causa delle ricorrenti, sebbene titolari di pensione di invalidità liquidata a norma del D.L. n. 636 del 1939 convertito in L. n. 1272 del 1939, assimilabile all’assegno ordinario di invalidità di cui alla L. n. 222 del 1984, tuttavia avevano superato l’età massima pensionabile ed erano quindi esclusi dal mondo del lavoro.

L’appello proposto dalle interessate veniva respinto dalla Corte di Appello di Genova, con sentenza depositata il 21.8.2007, sul rilievo che i danti causa delle appellanti erano titolari di trattamenti pensionistici liquidati con decorrenza anteriore all’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, sicchè non spettava loro l’incremento della pensione in godimento, poichè i benefici di cui alla L. n. 257 citata spettavano solo nelle ipotesi in cui il trattamento pensionistico era stato liquidato successivamente all’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, e ciò in adesione al principio per il quale il trattamento pensionistico viene liquidato in base alla normativa in vigore al momento della liquidazione. Di conseguenza, poichè i danti causa delle appellanti avevano maturato il requisito dell’età della pensione di vecchiaia (60 anni) in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, sarebbe stata del tutto irrilevante anche una futura domanda di conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, dal momento che esiste una continuità sostanziale nell’erogazione della prestazione, sicchè anche una pensione di vecchiaia liquidata, per effetto della conversione della pensione di invalidità, dopo l’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, deve ritenersi “prestazione erogata anteriormente”.

Per la cassazione di tale sentenza le interessate hanno proposto ricorso con due motivi. L’Inps ha depositato procura.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, come modificato dal D.L. n. 169 del 1993, convertito in L. n. 271 del 1993, e violazione dell’art. 12 disp. gen.. Sostengono le ricorrenti, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, che i benefici contributivi previsti dalla L. n. 257 del 1992 cit. non competono ai soggetti che alla data di entrata in vigore della medesima legge siano già titolari di pensione di anzianità o di pensione di vecchiaia o di pensione di inabilità, ma vanno invece riconosciuti ai soggetti che a quella medesima data prestino ancora attività lavorativa o versino in uno stato di temporanea disoccupazione ovvero siano titolari di pensione o assegno di invalidità. Di conseguenza, proseguono le ricorrenti, i benefici in questione competono ai titolari di pensione di invalidità ex R.D.L. n. 636 del 1939, a prescindere dal compimento dell’età pensionabile, ovvero dal fatto che alla data di entrata in vigore della legge (28 aprile 1992) avessero già compiuto l’età per ottenere la pensione di vecchiaia, ovvero dalla circostanza che non avessero presentato domanda di trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia.

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano ancora violazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 e successive modificazioni e sostengono che ai fini del riconoscimento del beneficio previdenziale: a) gli iscritti all’a.g.o. potevano continuare a prestare attività lavorativa fino al compimento del 62 anno di età a norma della L. n. 407 del 1990, art. 6; b) che il D.Lgs. n. n. 503 del 1992, consentiva agli assicurati di continuare a prestare attività lavorativa fino a 65 anni “pur avendo maturato i requisiti per avere diritto alla pensione di vecchiaia”, e) che ciò che effettivamente rileva non è lo stato di occupazione al momento dell’entrata in vigore della legge, bensì la potenziale possibilità di svolgere tale attività, a nulla rilevando che trattandosi di soggetti invalidi con limitata capacità di lavoro difficilmente avrebbero potuto svolgere altra attività lavorativa.

I due motivi di ricorso, che è opportuno esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei limiti delle seguenti considerazioni.

In primo luogo la Corte territoriale ha errato nell’affermare che i titolari di pensione di invalidità con decorrenza anteriore all’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, non hanno diritto ai benefici contributivi al pari dei titolari di pensione di vecchiaia o di anzianità con medesima decorrenza. Questa Corte ha ripetutamente affermato che la tutela di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, si estende anche ai titolari di pensione di invalidità (di cui al R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10, convertito in L. 6 luglio 1939, n. 1272), come gli attuali ricorrenti, ed ai titolari di assegno di invalidità (di cui alla L. n. 222 del 1984) con decorrenza anteriore all’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, mentre non spetta ai soggetti che alla data di entrata in vigore della legge predetta abbiano definitivamente cessato l’attività lavorativa e acquistato il diritto alla pensione di vecchiaia o di anzianità ovvero alla pensione di inabilità (cfr. tra le tante Cass. n. 6620/1998, n. 13786/2001, n. 18243/2002, n. 16256/2003, n. 8915/2009).

In secondo luogo la Corte territoriale ha errato nell’affermare che i danti causa delle attuali ricorrenti, avendo raggiunto l’età pensionabile (60 anni) al momento dell’entrata in vigore della L. n. 257 non avevano diritto ai benefici contributivi ‘posto che sarebbe stata del tutto irrilevante una futura domanda di conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia” per la continuità sostanziale della prestazione. Al riguardo va osservato, da un lato, che il diritto al beneficio della maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto non richiede lo svolgimento di attività lavorativa alla data di entrata in vigore della legge, per cui spetta anche ai lavoratori che alla data predetta non abbiano definitivamente cessato l’attività lavorativa e versino in uno stato di disoccupazione ovvero siano titolari di pensione o assegno di invalidità (vedi giurisprudenza innanzi citata); dall’altro lato, che il giudice di appello avrebbe dovuto accertare se al momento dell’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992 (28.4.1992) i danti causa delle ricorrenti avessero o meno definitivamente perduto la possibilità di svolgere attività lavorativa subordinata, avuto riguardo alle proroghe concesse dalla L. n. 407 del 1990, art. 6 e dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1 e considerato che la pensione di invalidità di cui al R.D.L. n. 636 del 1939, non si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia, occorrendo una espressa domanda dell’interessato (che nella specie non è stata presentata), a differenza di quanto previsto per l’assegno di invalidità dalla L. n. 222 del 1984 (vedi SS.UU. n. 8433/2004).

In proposito va richiamato il principio di diritto affermato da Cass. n. 8915/2009 secondo cui sono esclusi dal beneficio per esposizione all’amianto solo i titolari di pensione di invalidità con decorrenza anteriore all’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, i quali – prima di tale data – avessero sia compiuto l’età pensionabile, sia proposto domanda per trasformare la prestazione in godimento in pensione di vecchiaia e avessero, sempre prima della operatività della L. n. 257 del 1992, tutti i requisiti per godere della pensione di vecchiaia.

In definitiva, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio ad altro giudice, designato in dispositivo, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 16 giungo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2010

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