Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17519 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/08/2020, (ud. 17/06/2020, dep. 21/08/2020), n.17519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31390-2018 proposto da:

COMUNE DI TORRITA TIBERINA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIA, 531, presso lo studio

dell’avvocato CORRADO BOCCI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.R.M., in qualità di avente causa della

D.R.M. & CO Sas, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO, 271, presso lo studio dell’avvocato GIACOMO GIGLIOTTI, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4809/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata P11/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

SCALZA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Torrita Tiberina con due bandi rispettivamente in data 12 giugno 1996 e 25 settembre 1996 disponeva l’appalto per licitazione privata dei lavori di restauro e recupero del Castello Baronale per relativi importi a base d’asta che si aggiudicava la D.R.M. & C. S.a.s..

Successivamente la società aggiudicataria, con distinti procedimenti monitori, chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Roma il pagamento del saldo residuo dei due appalti con decreti ingiuntivi avverso i quali proponeva distinte opposizioni il Comune di Torrita Tiberina.

L’Amministrazione comunale deduceva che non erano dovuti gli importi ingiunti a titolo di ritardato pagamento: a) perchè i contratti di appalto prevedevano espressamente che si sarebbe trattato di lavori finanziati con contributo regionale e che i pagamenti sarebbero intervenuti dopo la “somministrazione del contributo da parte della Regione Lago” in mancanza della quale i crediti ingiunti non potevano ritenersi nè liquidi nè esigibili; b) perchè i contratti prevedevano espressamente all’art. 5 che gli interessi non sarebbero decorsi nel periodo intercorrente tra la spedizione della domanda per la somministrazione dei fondi e la ricezione del relativo mandato di pagamento; c) perchè il bando avrebbe fatto rinvio alle previsioni di cui al D.L. n. 55 del 1983, art. 13, nell’escludere il decorso degli interessi di mora.

In corso di causa, ricevuta la rimessa dalla Regione Lazio, il Comune di Torrita Tiberina provvedeva al pagamento delle somme a saldo ed il tribunale, in parziale riforma dei decreti impugnati, esclusa la sorte capitale saldata, con due distinte sentenze, esito delle due distinte opposizioni, condannava l’Amministrazione al pagamento degli interessi per ritardato pagamento, nella ritenuta nullità ex art. 1341 c.c. della clausola contrattuale che ne aveva escluso la debenza in quanto non oggetto di specifica approvazione per iscritto, e riconosceva i maggiori oneri sostenuti dall’impresa per il prolungamento delle fideiussioni.

Le due sentenze venivano gravate da due distinti appelli decisi con sentenze che, entrambe, accoglievano le proposte impugnazioni: la clausola contrattuale di esclusione degli interessi non doveva essere approvata per iscritto ex art. 1341 c.c.; l’elencazione contenuta nell’art. 1341 c.c. aveva carattere tassativo ed il Contratto era stato liberamente concluso dalle parti; non vi era una norma che prevedesse la nullità di clausole di esclusione degli interessi in favore della stazione appaltante; non era prevalente il disposto di cui alla L. n. 741 del 1981, art. 4, comma 3, che sancisce la nullità di tutti i patti che prevedano particolarì modalità o termini dilatori per il pagamento degli interessi moratorì: spettanti all’appaltatore; gli oneri di prolungamento delle polizze fideiussorie non erano dovuti in difetto di prova della tardiva predisposizione degli atti di collaudo.

2. La società D.R.M. & C. ricorreva per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 3435/2005 che veniva annullata da questa Corte di legittimità con la sentenza n. 2291 del 2011.

La Corte di appello di Roma con sentenza n. 4809/2018, adottata nel giudizio di rinvio, condannava il Comune di Torrita Tiberina al pagamento alla D.R.M. & C. s.a.s. della somma di Euro 24.627,67 a titolo di interessi per ritardato pagamento e -ad altra per il pagamento delle polizze fideiussorie.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza da ultimo indicata il Comune di Torrita Tiberina con tre motivi ai quali resiste con controricorso D.R.M. nella qualità di avente causa della D.R.M. & C. S.a.s..

4. Il Comune di Torrita Tiberina ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c. con cui ha insisto per, la nullità della sentenza impugnata per difetto di ius postulandi e legitimatio ad processum essendo la M.D.R. & C. s.a.s. società estinta e cancellata dal registrò delle imprese ed erronea la deduzione avversaria circa l’asserita qualità di “avente causa” della prima del signor D.R.M. che resiste, come tale, in proprio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il Comune di Torrita Tiberina denuncia la nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 100 c.p.c. e difetto di ius postulandi e di legittimatio ad processum.

Il Geometra D.R.M., quale socio accomandatario della D.R.M. & C. s.a.s., conferiva nuovo mandato speciale alle liti all’avvocato Giacomo Gigliotti per procura a margine dell’atto di citazione nel giudizio di rinvio, riassunto dinanzi alla Corte di appello di Roma in data 11 dicembre 2012. A siffatta data, però, il Geometra D.R. risultava privo dei poteri di rappresentanza sostanziale della società, essendo egli cessato dalla carica di accomandatario sin dal 16 novembre 2007, epoca nella quale la società risultava cancellata dal registro delle imprese, come da visure prodotte con il ricorso per cassazione ex art. 372 c.p.c..

Al momento del conferimento della procura l’indicato rappresentante era pertanto privo di legittimatio ad processum e per l’effetto il difensore nominato, l’Avvocato. Gigliotti, privo di ius postulandi. La sentenza e gli atti del processo sarebbero stati nulli.

1.1. Il motivo ò è manifestamente infondato in applicazione di due regulae iuris, piane nell’applicazione della giurisprudenza di questa Corte di cassazione.

1.1.1. In applicazione della prima si ha che, “poichè il giudizio di rinvio costituisce la prosecuzione del giudizio di primo o di secondo grado conclusosi con la pronuncia della sentenza cassata, la parte he riassume la causa davanti al giudice di rinvio non è tenuta a conferire una nuova procura al difensore che lo ha già assistito nel pregresso giudizio di merito” (Cass. n. 7983 del 01/04/2010; Cass. n. 19937 del 06/10/2004).

Il Geometra D.R.M. era già assistito nel giudizio – di merito, prima dell’intervenuta- cassazione, dall’Avvocato Giacomo Gigliotti ragione per la quale non era necessario il conferimento di nuova procura alle liti in sede di riassunzione dell’originario giudizio nel corso del quale la partè è rimasta rappresentata dal medesimo difensore in ragione del precedente mandato difensiva.

1.1.2. In applicazione della seconda poi, che all’epoca della riassunzione, intervenuta con citazione in data 11 dicembre 2012, la società fosse già estinta e cancellata non descrive una ragione di soluzione nella continuità della rappresentanza processuale della parte, in quanto l’indicato evento non risulta veicolato nel processo a mezzo della dichiarazione del procuratore, pacificamente mancata.

L’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese – là dove a detto evento non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo al soggetto estinto e si accompagni invece un fenomeno successorio nella pendenza di rapporti di dare ed avere – legittima l’applicazione dei principi processuali relativi alla estinzione della persona fisica (quanto – a quest’ultimo profilo: Cass. SU n. 6070 – del 12/03/2013) e in quanto evento non veicolato all’interno del processo nelle debite forme, e, quindi a mezzo della dichiarazione del procuratore, produce l’effetto di stabilizzare la posizione giuridica della parte rispetto alle altre ed al giudice (Cass. 28/04/2003 n. 6588); l’effetto è quello della ultrattività del mandato alle liti (Cass. SU.04/07/2014 n. 15295; Cass. 22/08/2018 n. 20964).

1.2. La contestazione contenuta nella “Memoria” depositata dal ricorrente ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. sulla legittimazione all’odierno giudizio di D.R.M. – costituitosi, come indicato nel controricorso, “in proprio e quale avente causa. (come socio illimitatamente responsabile di società di persone cessata)” e tanto in ragione. di autonome vicende traslative attestate dall’allegata visura, prodotta con il ricorso, presso la CCIAA, su di una fusione per incorporazione della società in altra e distinta s.a.s., e che – sottrarrebbero legittimazione a – resistere al controricorrente in ordine alle poste rivendicate in lite là dove il ricorso per cassazione è stato notificato dal Comune di Torrita Tiberina alla D.R.M. C s.a.s. in persona del legale rappresentante p.t. non sortisce l’effetto voluto.

Si tratta per vero, in termini di utilità per il ricorrente, di qualificare come inammissibili le deduzioni spiegate nel controricorso sulla legittimazione della D.R.M. & C. s.a.s. a riassumere con il patrocinio dell’avvocato Gigliotti, in sede di rinvio, il giudizio, e tanto nel rilievo ufficioso del tema dalle prime proposto, Per una vicenda. successoria non emersa nel giudizio di merito, come più sopra indicato, nelle dovute forme.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36, della L. n. 741 del 1981, art. 4 e dell’art. 1367 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I giudici di legittimità con la sentenza n. 22911 del 2011 avevano rilevato il vizio di violazione di legge ed il difetto di motivazione in cui era incorsa con la sentenza n. 3435 del 2005 la Corte territoriale a cui avevano rinviato il giudizio per nuovo esame del merito.

La Corte di merito avrebbe erroneamente interpretato quanto statuito dalla Corte di cassazione in punto di diritto con il ritenere che i giudici di legittimità avevano affermato la nullità della previsione contrattuale che richiamava il D.L. n. 55 del 1983, art. 13 e che spettassero, pertanto, all’impresa gli interessi moratori.

La Corte di cassazione con la diversa sentenza n. 19370 del 2011, investita del sindacato su altra pronuncia di appello adottata in distinto giudizio di opposizione ad altro decreto ingiuntivo ottenuto dall’impresa in relazione al medesimo rapporto, aveva infatti escluso la debenza degli interessi e rigettato il ricorso della impresa D.R.M. & C s.a.s. La Corte di appello con salto argomentativo non avrebbe considerato che la clausola nulla era contenuta nel bando di gara, ma non nel contratto che con specifica previsione (art. 5) prevedeva essa stessa la limitazione del periodo di decorrenza degli interessi, senza rinvio ad altra normativa.

A siffatta previsione convenzionale doveva applicarsi il principio di conservazione negoziale e comunque non le norme del capitolato generale vincolanti solo per lo Stato, con conseguente inesistenza della mora debendi potendo l’ente committente rispettare un termine di adempimento pattuito convenzionalmente nel suo interesse in deroga alla L. n. 741 del 1981, art. 4.

3. Con il terzo motivo l’amministrazione ricorrente fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, integrato dalla data di ultimazione dei lavori.

La data di ultimazione dei lavori al 20 febbraio 1998, apprezzata dalla Corte di appello al fine di determinare il ritardo nel collaudo, era stata, per vero, contestata dall’Amministrazione sin dal primo grado e sin dall’inizio si sarebbe quindi trattato di circostanza solo dedotta, ma non dimostrata dall’impresa.

4. I motivi si prestatici ad una valutazione di inammissibilità per le ragioni che vengono di seguito indicate.

Viene innanzitutto in applicazione il principio per il quale. “in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio fondato” sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per gretto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto; nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto. ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di Cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale iudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest’ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare, il giudizio; è tenuto a giustificare. il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del o provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati” (Cass. n. 2652 del 2/02/2018; Cass. n. 13719 del 14/06/2006).

Sulla indicata premessa di principio questa Corte di legittimità, adita in annullamento di sentenza adottata in sede di rinvio dal giudice del merito, è chiamata da esercitare il proprio sindacato come segue.

4.1. Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte di appello di Roma, che ha pronunciato in sede di rinvio, si è attenuta al principio di diritto affermato da questa Corte di legittimità, con la sentenza n. 22911 del. 2011, adottata in seguito all’annullamento, per violazione di legge, della precedente sentenza della Corte di appello di Roma, la n. 3435 del 2005.

Correttamente la Corte territoriale ha rilevato che i giudici di legittimità avevano escluso che potesse trovare applicazione il D.L. n. 55 del 1983, art. 13, non trattandosi nella fattispecie in esame cli un mutuo concesso al Comune di Torrita Tiberina dalla Cassa Depositi e Prestiti, ha quindi- ritenuto la nullità assoluta ed insanabile della clausola negoziale che, in difetto dei presupposti di legge ed in deroga alla disciplina generale di cui alla L. n. 747 del 1981, art. 4, recepisse l’art. 13 cit..

Null’altro questa Corte è chiamata a verificare nell’esercizio del sindacato a lei rimesso.

4.2. Ancora quanto al secondo e, quindi, al terzo motivo di ricorso per cassazione, vero è che l’annullamento è intervenuto per violazione di legge e vizio di motivazione.

Questa Corte di legittimità nella fase rescindente, quanto al ritardo nel collaudo delle opere, ha infatti:

a) rilevato che la Corte di appello con la sentenza del 2005 aveva in modo erroneo assolto l’Amministrazione dall’onere sulla stessa gravante, per pacifico principio di legittimità, di provare che quel ritardo non fosse dipeso da fatto alla stessa imputabile;

b) ritenuto che i giudici di appello, incorrendo in vizio di motivazione, in ogni caso avessero escluso, in concreto, il ritardo dell’Amministrazione nel collaudo per circostanze “prive di collegamento” rispetto alla questione dibattuta (ritardo nell’erogazione del finanziamento regionale e omessa separazione contabile dell’ultimo stato di avanzamento dei lavori dal saldo finale, non incidenti sul completamento delle opere e sulla effettuazione delle operazioni di collaudo).

4.2.1. La Corte di appello qui impugnata, in applicazione dell’indicato principio, ha quindi gravato l’Amministrazione dell’onere di provare l’inimputabilità del ritardo nel collaudo.

4.2.2. Nel resto, quanto al dedotto vizio di motivazione, nelle forme catione temporis applicabili, il giudice di rinvio, chiamato a rinnovare il giudizio, ha giustificato il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, quali il ritardo nell’erogazione del finanziamento, fermo altresì l’accertamento di fatto che del principio era applicazione, ovverosia il ritardo nel collaudo (Cass. n. 17353 del 23/07/2010; Cass. n. 20887 del 22/08/2018).

La Corte di merito ha ritenuto la sussistenza del ritardo nel collaudo imputabile alla committenza, accertando al 20 febbraio 1998 l’epoca di ultimazione dei lavori – presupposto di fatto del ritardo nel collaudo – e ciò in ragione di deduzioni ed allegazioni di parte, scrutinate per esercizio dei poteri di accertamento di merito alla prima rimessi.

Tanto risulta all’esito del sindacato rimesso a questa Corte di cassazione chiamata a verificare l’applicazione in sede di rinvio del portato della sentenza di annullamento.

4.3. La critica, quindi, contenuta in ricorso che la prova dell’avvenuta ultimazione dei lavori, pregiudiziale al ritardo nel collaudo, sarebbe gravata sull’appaltatore neppure sì confronta con la motivazione impugnata, là dove la Corte di merito ha scrutinato l’indicato estremo in ragione delle contestazioni portate in giudizio dalle parti, nella parte in cui la data di ultimazione delle opere dedotta dall’appaltatrice era stata contestata dall’Amministrazione in ragione di una esecuzione non a regola d’arte, evidenza ritenuta dai giudici di appello generica e non fondata.

5. In via conclusiva il ricorso è inammissibile. Le spese sono liquidate secondo soccombenza come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, pari a quello definito a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (come da ultimo chiarito da Cass. SU n. 4315 del 20/02/2020).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente Comune di Torrita Tiberina a rifondere a D.R.M. le spese di lite che liquida in Euro 2.300,00 per compensi ed in Euro 100,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul Compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove. dovuto, pari a quello definito a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

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