Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17516 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. III, 23/08/2011, (ud. 08/07/2011, dep. 23/08/2011), n.17516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13443/2009 proposto da:

C.O. (OMISSIS), D.P.B.

(OMISSIS), M.M. (OMISSIS) erede di

T.A., D.C.G. (OMISSIS), B.

I. (OMISSIS), A.G. (OMISSIS),

A.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato

BROCHIERO MAGRONE Fabrizio, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BELFATTO GABRIELE giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA DI PESARO E URBINO (OMISSIS);

– intimata –

nonchè da:

PROVINCIA PESARO URBINO (OMISSIS) in persona del Presidente p.t.

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA ATTILIO

FRIGGERI 18, presso lo studio dell’avvocato BONACCIO GIOVANNI,

rappresentata e difesa dall’avvocato VALENTINI ALDO giusta delega a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

A.D. (OMISSIS), D.C.G.

(OMISSIS), C.O. (OMISSIS), B.

I. (OMISSIS), A.G. (OMISSIS),

M.M. erede di T.A. (OMISSIS), D.

P.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA GIOVANNI BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato BROCHIERO

MAGRONE FABRIZIO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BELFATTO GABRIELE giusta delega in calce al ricorso

principale;

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 607/2008 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

emessa il 23/9/2008, depositata il 18/10/2008, R.G.N. 596/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato FABRIZIO BROCHIERO MAGRONE;

udito l’Avvocato PAOLO MEREU per delega dell’Avvocato ALDO VALENTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.O., S.G., A.G., A.D., T.A., D.C.G., F. G., B.I. e D.P.B. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Pesaro la Provincia di Pesaro-Urbino esponendo di essere stati assegnatari in locazione di altrettanti alloggi di edilizia residenziale pubblica, di proprietà dell’amministrazione convenuta la quale li aveva poi ceduti in proprietà a ciascuno di essi conduttori secondo le disposizioni contenute nella L. n. 560 del 1993.

Aggiungevano gli attori che successivamente agli atti di compravendita avevano potuto verificare che il prezzo di cessione era stato determinato in misura superiore a quello determinabile secondo la predetta normativa.

Risultati vani i solleciti rivolti alla suddetta amministrazione, gli attori chiesero che, previa determinazione del prezzo dei detti alloggi, l’ente convenuto fosse condannato alla restituzione delle maggiori somme versate.

La provincia eccepì l’improponibilità dell’azione per avere gli acquirenti, in forza di apposita clausola inserita nei rispettivi contratti, rinunciato preventivamente ad ogni diritto ad azione relativi alle modalità di determinazione del prezzo. Contestava poi, nel merito, la pretesa deducendo l’inapplicabilità alla specie della L. n. 560 del 1993, invocata dagli attori.

L’adito Tribunale, con sentenza del 21 marzo 2002, in accoglimento dell’eccezione preliminare, dichiarò improponibile l’azione e regolò a carico degli attori le spese di lite della Provincia.

Ritenne il Tribunale che la clausola di cui sopra di rinuncia alla revisione del prezzo di cessione,inserita in ciascun contratto sottoscritto dagli attori, non potesse essere considerata vessatoria e quindi bisognosa di apposita approvazione scritta ex art. 1341 c.c., comma 2, perchè tale disposizione si applica soltanto all’ipotesi di predisposizione unilaterale di condizioni generali di contratto destinate ad essere utilizzate per una serie indefinita di contratti od anche per una serie definita a condizione che gli altri contraenti non siano individuabili dall’inizio ed il numero dei contratti sia comunque elevato.

Proponevano appello gli attori soccombenti.

Resisteva la Provincia di Pesaro-Urbino.

La Corte d’Appello di Ancona confermava la sentenza impugnata.

Propongono ricorso per cassazione C.O., S. G., A.G., A.D., T.A., d.C.G., F.G., B.I. e D.P. B. con tre motivi.

Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato la Provincia di Pesaro e Urbino che presenta memoria.

Propongono controricorso C.O., S.G., A.G., A.D., T.A., d.C. G., F.G., B.I. e D.P.B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso parte ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione della L. 24 dicembre 1993, n. 560, art. 1, comma 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Secondo parte ricorrente la determinazione del prezzo di cessione L. n. 560 del 1993, ex art. 1, comma 10, ha carattere imperativo e inderogabile e come tale non è oggetto di libera contrattazione fra le parti.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica l’adita Corte se la previsione di determinazione del prezzo di cessione L. n. 560 del 1993, ex art. 1, comma 10, abbia carattere imperativo ed inderogabile e come tale non oggetto di libera contrattazione tra le parti e, pertanto, nelle fattispecie il prezzo di cessione debba essere determinato sulla base del sistema previsto dal citato comma 10”; “Dica l’adita Corte se la previsione di determinazione del prezzo di cessione L. n. 560 del 1993, ex art. 1, comma 11, abbia carattere imperativo ed inderogabile e conseguentemente non oggetto di libera contrattazione tra le parti”.

Con il secondo motivo si denuncia ” Violazione e falsa applicazione art. 11 preleggi. Erronea e contraddittoria motivazione”.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: dica l’adita Corte se nella fattispecie trova applicazione la L. n. 560 del 1993, art. 1, comma 10, abrogativo della L. n. 412 del 1991, art. 28.

I due motivi sono inammissibili.

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve infatti compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

Di conseguenza, è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti, come nella specie, a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o a enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

Conclusivamente, poichè a norma dell’art. 366 bis c.p.c., la formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, è palese che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

Con il terzo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1341 c.c., comma 2 e art. 1342 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Secondo parte ricorrente l’impugnata sentenza è illegittima ed errata laddove ha ritenuto, venuto meno il carattere di inderogabilità della previsione normativa di determinazione del prezzo, valida la rinuncia espressa dalle parti ricorrenti (acquirenti) e quindi valida e non affetta da nullità la clausola in ciascun contratto a tenore del quale “la stessa parte acquirente esonera la provincia venditrice da ogni responsabilità al riguardo rinunciando fin d’ora nei confronti della stessa ad ogni diritto o azione che potesse nascere relativamente alle modalità di valutazione del prezzo deliberato e applicato”.

Secondo i ricorrenti dal tenore letterale della clausola non può evincersi alcuna valida rinuncia da parte degli appellanti e ciò per l’assorbente considerazione che la rinuncia, quale espressione tipica dell’autonomia delle parti, deve essere tale, per poter essere ritenuta sussistente, da non lasciare dubbio alcuno sull’effettiva volontà abdicativa.

Concludono i ricorrenti che o la clausola de qua è vessatoria, oppure dalla formulazione non è rinvenibile alcuna volontà abdicativa in capo a loro stessi.

Il motivo è infondato.

Per potersi configurare l’ipotesi contemplata nell’art. 1341 cod. civ., comma 2, in tema di condizioni generali di contratto, non è sufficiente che uno dei contraenti abbia predisposto l’intero contratto al quale l’altra parte ha prestato adesione, ma occorre che lo schema negoziale sia precostituito e le condizioni generali siano determinate, mediante appositi strumenti (moduli o formulari) in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti (Cass., 14 febbraio 2006, n. 3184).

Nel caso in esame i contratti non sono stati predisposti unilateralmente dalla provincia di Pesaro e Urbino che non svolge alcuna attività continuativa di vendita di immobili per la quale potrebbe, in astratto, configurarsi la necessità di predisporre condizioni generali di contratto; inoltre, si versa in ipotesi di sole nove vendite effettuate in favore di altrettanti acquirenti preventivamente individuati ed aventi ad oggetto determinati e specifici immobili, anche questi individuati in precedenza.

In conclusione, il discorso sulla vessatorietà della clausola viene ad essere superato perchè il fatto che avessero previsto la determinazione del prezzo in deroga significa che prevedevano anche un risultato più favorevole per loro; vi era quindi una reciprocità di vantaggi e la clausola non aveva perciò carattere unilaterale ma era una clausola contrattata.

In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato.

Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

La peculiarità della fattispecie induce a ritenere che sussistano giusti motivi per la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi, rigetta il principale e dichiara assorbito l’incidentale. Compensa le spese processuali del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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