Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17514 del 26/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/07/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 26/07/2010), n.17514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato VANO VINCENZO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CREDITO EMILIANO S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 1662-2007 proposto da:

CREDITO EMILIANO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86,

presso lo studio degli avvocati CAVASOLA PIETRO e CAVASOLA GIANNETTO

che la rappresentano e difendono unitamente all’avvocato LOTTI

GIGLIOLA, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

G.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2530/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/06/2006 r.g.n. 4863/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2010 dal Consigliere Dott. PASQUALE PICONE;

udito l’Avvocato LOTTI GIGLIOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per: inammissibilità e in

subordine rigetto del ricorso principale, accoglimento

dell’incidentale.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione, in accoglimento dell’appello del Credito Emiliano – Credem – SpA contro la decisione del Tribunale di Napoli, rigetta l’impugnazione del licenziamento disciplinare intimato al dipendente G.C. in data (OMISSIS).

2. La legittimità del licenziamento disciplinare è affermata dalla Corte di appello di Napoli all’esito dei seguenti accertamenti e valutazioni.

2.1. Tra i numerosi addebiti contestati al G. erano rimasti comprovati quelli concernenti l’apertura di un conto corrente presso la filiale Credem di Nicastro senza provvista al solo fine di svolgere, in assenza di fondi, attività di trading speculativo sui diritti di opzione al capitale della Banca popolare di Lodi, con un saldo passivo all’atto del regolamento differito delle transazioni (per un totale di accrediti per L. 179.500 000 e addebiti per L. 204.800.000) di L. 25.200.000; le operazioni erano state eseguite dal collega S., autorizzato ad operare sul conto, collega che aveva svolto la stessa attività operando su altri conti in proprio e per il coniuge Gr.Ma.Ro., pure dipendente della Banca.

2.2. A giudizio della Corte di appello di Napoli i fatti indicati dimostravano l’uso della funzione apicale di district manager per realizzare operazioni irregolari che non sarebbero state consentite ad un comune cliente, in accordo con altri dipendenti (sulla cui attività aveva omesso di esercitare i poteri di controllo) ed in grado di produrre notevole rischio per la Banca, sicchè, indipendentemente dal contrasto con specifiche regole aziendali, i comportamenti tenuti dal G. risultavano contrari ai principi di lealtà, buona fede e correttezza ed avevano leso in modo irrimediabile il rapporto fiduciario connesso al livello ed alla delicatezza delle mansioni del dipendente.

3. Il ricorso di G.C. si articola in unico motivo; resiste con controricorso il Credito Emiliano e propone ricorso incidentale basata su un motivo unico.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

2. Con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia vizio della motivazione in relazione ai seguenti punti: a) contraddittorietà e insufficienza della motivazione in relazione all’esclusione di alcuni degli addebiti contestati (attività speculativa su dossier titoli clienti, in assenza di fondi, ordini e sottoscrizioni) e alla ritenuta proporzionalità della misura espulsiva, sebbene la Banca avesse posto a fondamento dell’esercizio del potere disciplinare tutti i fatti contestati e considerati particolarmente gravi quelli esclusi; b) giustificazione insufficiente dell’affermazione secondo cui l’apertura del conto corrente senza provvista sarebbe stata contraria al codice di comportamento interno, senza accertare l’esistenza, la pubblicità e l’inserimento nel contratto di tale codice; c) qualificazione arbitraria del conto corrente in termini di “apparente”, sebbene fosse stata aperta una polizza titoli in funzione del compimento delle operazioni di trading e fosse perciò consentita, come per qualsiasi cliente, l’esecuzione di operazioni allo scoperto, scoperto, peraltro, ripianato prima ancora della chiusura del conto; d) illogicità nel dare rilievo non all’esposizione di L. 25.200.000 ma all’importo complessivo delle operazioni (L. 204.800.000), atteso che non era stato contestato uno sconfinamento indebito dalla linea di credito; e) in ordine al fido concesso al Gr., la sentenza riconosce che il G. non aveva avuto alcun ruolo nell’operazione, nè poteva avere alcuna rilevanza che le somme fossero stato utilizzate per questo o quello scopo; f) l’accordo con il S. non era dimostrato dalla delega datagli dal G. per il compimento di determinate operazioni; g) non era emerso alcun comportamento diretto all’occultamento della mancanza di fondi all’atto dell’apertura del conto corrente, nè la gestione era stata effettuata in modo irregolare ed esponendo a rischio la Banca.

3. Il ricorso principale non può trovare accoglimento.

4. Va subito esaminato il primo profilo di censura, siccome concreta in realtà, al di là della formale qualificazione, anche denuncia di violazione di legge potenzialmente assorbente di altre questioni, siccome sostiene che l’accertata insussistenza di taluni fatti (o la mancata prova della loro sussistenza), ritenuti nella contestazione particolarmente gravi, precluderebbe al giudice la possibilità di ritenere ugualmente giustificato il recesso, così sostituendosi al giudizio di proporzionalità formulato dal datore di lavoro.

4.1. La tesi non è condivisibile atteso che il diritto potestativo di recesso per notevole inadempimento del lavoratore o per giusta causa trova il suo fondamento in tutti i fatti contestati, e resi così rilevanti ai fini dell’accertamento giudiziale, indipendentemente dal giudizio che il datore di lavoro possa aver formulato sulla gravità di alcuni rispetto ad altri, restando incondizionato il potere di valutazione del giudice circa la gravità e la proporzionalità della sanzione. Ciò perchè la volontà negoziale del datore di lavoro ha ad oggetto esclusivamente la risoluzione del rapporto, non la ponderazione del peso attribuito a ciascuno degli addebiti contestati, i quali costituiscono soltanto il fondamento del potere esercitato e sono perciò sottoposti al controllo del giudice indipendentemente da qualunque giudizio che il datore di lavoro possa avere eventualmente espresso sulla gravità del singolo addebito.

5. Le restanti censure concernono tutte vizi di motivazione inerenti al giudizio di gravità dei fatti e di proporzionalità con la sanzione espulsiva.

Si tratta di giudizio riservato al giudice del merito e non assoggettato al sindacato di legittimità se adeguatamente motivato (vedi Cass. 2 febbraio 2010, n. 2390).

Sul tema dell’adeguatezza della motivazione, si osserva che, in tema di licenziamento disciplinare, ai fini del giudizio di proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Il giudice del merito, quindi, deve valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (vedi Cass. 22 giugno 2009, n. 145869.

5.1 A questi principi si è attenuta la sentenza impugnata, cosicchè le critiche del ricorrente si risolvono in sostanza nel richiedere in questa sede una rivalutazione del giudizio di merito, preclusa alla Corte di Cassazione ove non si configuri l’omessa o insufficiente considerazione di fatti decisivi, ovvero il mancato rispetto della soglia di plausibilità logica delle argomentazioni.

Ed infatti, la Corte di Napoli, con esclusivo riferimento all’addebito concernente l’attività di speculazione posta in essere dal G. con il S. e la moglie: di questi, ha posto in evidenza le anomalie del conto aperto dal G. per le operazioni di trading (assenza di provvista; affidamento della gestione al S.; mancati controlli preliminari e successivi sulla sufficienza dei fondi, controlli spettanti, rispettivamente, al S. e allo stesso G.); ha constatato che le spese di acquisto compiute senza fondi ammontavano a L. 204.800.000 e rilevato che tale somma doveva essere tenuta presente ai fini dell’entità di un possibile rischio cui il G. non era in condizione di fare fronte; ha valutato negativamente i rapporti tra il G., il S. e la Gr. (accertati non certo in base alla sola delega ad operare sul conto, ma desunti da una serie di elementi, quali la regolazione dei rapporti economici e l’intervento ripianamento del passivo del conto mediante l’operazione del finanziamento al padre della Gr.), siccome rilevatore di un clima complessivo caratterizzato da comportamenti non corretti e da complicità finalizzate a sfuggire ad ogni controllo; ha, in particolare, accertato lo stretto collegamento tra le attività di trading e il finanziamento (in relazione al quale il G. si era occupato della preistruttoria) ottenuto mediante la concessione di un affidamento temporaneo di L. 130.000.000 al padre della Gr., che era stato giustificato con il futuro impiego per l’acquisto di immobile e da rimborsare con il mutuo ipotecario richiesto dalla Gr. e dal marito, mentre la somma era servita in realtà per ripianare i debiti contratti, anche dal G., per le complessive operazioni speculative. Ha, quindi, concluso nel senso che i comportamenti del G., complessivamente considerati e senza necessità di individuare la violazione di regolazioni specifiche o di codici disciplinari, non erano compatibili con i principi di lealtà, buona fede e correttezza cui doveva essere improntata la condotta di un dipendente chiamato a svolgere delicate e importanti funzioni, siccome erano consistiti nel realizzare finalità di guadagno mediante operazioni di acquisito titoli senza alcun esborso, approfittando della funzione ed evitando, in accordo con altro funzionario, gli ordinari controlli; neppure il G. poteva dirsi estraneo all’operazione della concessione dell’affidamento al padre della Gr., sia per averne curato la preistruttoria, sia soprattutto, perchè tutte le circostanze comprovavano la consapevolezza delle reali finalità dell’operazione, operazione da inserire anch’essa nel quadro dell’uso della funzione per fini privati e in conflitto di interessi con il datore di lavoro.

Risultano, di conseguenza, esaminati adeguatamente tutti i fatti rilevanti nella controversia, e valutati secondo un ragionamento che non viola i parametri logici sindacabili in sede di legittimità.

6. Con Punico motivo del ricorso incidentale si denunzia violazione degli artt. 112 e 416-436 c.p.c. in relazione al rigetto della domanda di condanna del G. alla restituzione delle somme versategli in esecuzione della sentenza di primo grado, rigetto motivato con la mancanza di prova dell’avvenuto versamento della somma richiesta. Si deduce che il giudice dell’appello avrebbe dovuto in ogni caso statuire sull’an debeatur in motivazione e in dispositivo; che aveva omesso di considerare che il fatto dell’avvenuto pagamento non era stato contestato dal G.. Ai due profili di censura corrispondono altrettanti quesiti di diritto.

6.1. Il ricorso incidentale non può trovare accoglimento.

La domanda di condanna alla restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado è stata respinta, esplicitamente in motivazione ed implicitamente nel dispositivo, in mancanza della prova del fatto costitutivo del diritto (versamento della somma richiesta) e nessun interesse, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., poteva configurarsi all’accertamento della configurabilità del diritto per il caso di riforma della sentenza di primo grado, in difetto di specifiche:

contestazioni sulla configurabilità astratta del credito restitutorio.

6.2. Non ricorre l’ipotesi dell’esonero dall’onere della prova per effetto di mancata contestazione, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., atteso che la produzione di tale effetto richiede l’allegazione di fatti specifici (nel caso di specie, tutti gli estremi del versamento che si assume effettuato), rimanendo irrilevante il riconoscimento della fondatezza in astratto, sulla base del dettato normativo, della pretesa.

7. Il difforme esito dei giudizi di merito e l’infondatezza del ricorso incidentale giustificato la compensazione per l’intero delle spese del giudizio di Cassazione.

PQM

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa per l’intero le spese e gli onorari del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2010

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