Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1751 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2019, (ud. 17/09/2018, dep. 23/01/2019), n.1751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4183-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IL DENTICE BLU SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 286/2010 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO,

depositata il 21/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2018 dal Consigliere Dott.ssa NAZZICONE LOREDANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO che ha chiesto

l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Dentice Blu s.r.l. propose ricorso dinanzi alla C.T.P. di Roma avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva determinato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ricavi per l’anno 1999 di Lire 1.550.552.160, a fronte di dichiarati Lire 1.482.375.000, e per l’anno 2000 di Lire 1.994.051.600, a fronte di dichiarati Lire 1.553.512.000.

La pronuncia di rigetto del ricorso è stata impugnata dalla contribuente dinanzi alla C.T.R. del Lazio, che, con sentenza del 22 novembre 2010, ha accolto l’impugnazione.

Il giudice di appello ha ritenuto illegittimo l’accertamento con metodo induttivo, in presenza di contabilità regolare ed in mancanza di incongruenza dei dati in essa esposti, e, d’altro canto, il sistema delle presunzioni utilizzato è comunque connotato da aleatorietà ed approssimazione; mentre, nella specie, lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli accertati era, tenuto conto di quanto sopra, del tutto accettabile e rientrante nella connaturata indicazione approssimativa dei calcoli operati; infine, anche sulla base degli studi di settore risulterebbe del tutto congruo quanto dichiarato.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.

Non svolge difese l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, per non avere la sentenza impugnata tenuto conto del principio enunciato dal giudice di legittimità, secondo cui l’amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento analitico induttivo anche in presenza di contabilità regolare, sempre che l’attendibilità della medesima sia inficiata da presunzioni contrarie, non richiedendosi una sperequazione tale dei dati da determinarne la totale inattendibilità.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, per non avere la sentenza impugnata tenuto conto del principio enunciato dal giudice di legittimità, secondo cui l’amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento analitico induttivo mediante elementi certi desunti dal volume di affari in relazione alle singole merci, alle rimanenze iniziali e finali, al numero delle prestazioni, sulla scorta delle indicazioni fornite dal titolare, metodo appunto utilizzato nel caso di specie, in cui il gestore del ristorante aveva dichiarato le quantità di prodotto utilizzare per ogni porzione.

Con il terzo motivo, censura la motivazione insufficiente, non essendo esposte le ragioni per le quali sono state ritenute inidonee le presunzioni gravi, precise e concordanti, su cui l’avviso di accertamenti si fondava.

2. – I tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono fondati.

Questa Corte ha da tempo affermato il principio secondo cui l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale l’Ufficio finanziario procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, è consentito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ancorchè si sia in presenza di contabilità formalmente tenuta, in quanto detta norma presuppone proprio scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, le quali facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (Cass. 7 aprile 2017, n. 9084; Cass. 22 agosto 2017, n. 20267; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26036; Cass. 5 novembre 2014, n. 23550; Cass. 2 luglio 2014, n. 15027; Cass. 20 giugno 2014, n. 14068; Cass. 13 dicembre 2007, n. 26130; Cass. 15 dicembre 2006, n. 26919; ed altre).

In particolare, si è chiarito (Cass. 15 dicembre 2017, n. 30276; Cass. 11 febbraio 2013, n. 3197) come, in tema di rettifica della dichiarazione Iva, la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta, in sede di accertamento induttivo, deve avvenire adottando un criterio che sia: (a) coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame; (b) applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato; (c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni; tale modalità di determinazione della reale percentuale di ricarico prescinde del tutto dalla circostanza che la contabilità dell’imprenditore risulti formalmente regolare.

Ancora più specificamente, con riferimento all’attività di ristorazione, questa Corte ha precisato che l’accertamento può essere presuntivamente condotto sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, e sempre che l’esito del metodo adottato non confligga con le possibilità teoriche di servizio dell’esercizio commerciale (Cass. 24 settembre 2014, n. 20060; Cass. 15 giugno 2011, n. 13068; Cass. 5 ottobre 2007, n. 20857; Cass. 24 novembre 2006, n. 25001): onde ben può l’ufficio finanziario, come nella specie, procedere alla rettifica di singoli componenti reddituali nei confronti di impresa operante nel settore della ristorazione, desumendo il numero di piatti preparati dalla quantità delle materie prime utilizzate, così come risultanti in contabilità e tenuto conto delle normali dispersioni.

Nella specie, la C.T.R. si è discostata da tale principio, in quanto ha finito per escludere la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo, argomentando sulla base della esistenza di una contabilità regolare e della mera considerazione secondo cui il metodo predetto ha natura presuntiva connotata da “insopprimibile aleatorietà”: pretendendo, così, di individuare un intervallo di ragionevole scostamento, che non trova fondamento nella norma e che diventa totalmente aleatorio determinate.

3. – La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla medesima C.T.R., in diversa composizione, perchè esamini l’appello sulla base del principio esposto.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, innanzi alla Commissione tributaria regionale di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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