Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17507 del 18/06/2021
Cassazione civile sez. VI, 18/06/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 18/06/2021), n.17507
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16010-2019 proposto da:
C.L., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della
CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso
dall’avvocato FRANCESCO LAURETTA;
– ricorrente –
contro
COMUNE POMPEI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato GERMANA PAGANO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2392/2018 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA,
depositata il 06/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA
PELLECCHIA.
Fatto
RILEVATO
che:
1. Il Giudice di Pace di Torre annunziata, con sentenza n. 7423/2016 depositata il 26 ottobre 2016, rigettò la domanda di C.L. proposta nei confronti del Comune di Pompei, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito di un sinistro stradale.
2. Tale decisione veniva impugnata da C.L. con atto notificato in data (OMISSIS) con i quale egli chiedeva, in via preliminare, la sospensione dell’esecuzione della sentenza e, nel merito, l’accertamento della responsabilità del Comune.
Il Tribunale di Torre Annunzia con sentenza n. 2392/2018 ha dichiarato l’appello inammissibile in quanto proposto oltre il termine dei sei mesi dalla pubblicazione della sentenza previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1.
3. Avverso tale decisione C.L. propone ricorso per cassazione sulla base di un motivo. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, il Comune di Pompei.
Diritto
CONSIDERATO
che:
4. Occorre innanzitutto esaminare l’eccezione di tardività della notifica del ricorso posta dal controricorrente.
Essa è infondata.
La sentenza impugnata è stata pubblicata il 6 novembre 2018. Dal giorno successivo a tale data decorre il termine di sei mesi per impugnare la sentenza. Il ricorso è stato notificato il 6 maggio 2019 come risulta dalle attestazioni depositate dal ricorrente (tra cui la ricevuta di accettazione della notificazione del ricorso), quindi nei termini previsti dalla legge.
5. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta erronea insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’interpretazione degli artt. 133 e 327 c.p.c.. Espone il C. che la tardività nella proposizione dell’appello, lungi dal poter essere imputata alla parti, era stata causata dal malfunzionamento Uffici Giudiziari in quanto a seguito dell’accorpamento degli Uffici dei giudici di Pace, ogni accesso alla Cancellerie per verificare il deposito delle sentenze era stato impedito e la loro conoscenza e conoscibilità era affidata esclusivamente all’invio della PEC da parte della Cancelleria. Nel caso di specie la comunicazione della sentenza a mezzo PEC era pervenuta alle parti a distanza di molto tempo dalla sua pubblicazione, quando mancavano solo venti giorni allo spirare del termine lungo per impugnare, con grave lesione del diritto di difesa e ciò avrebbe legittimato la remissione in termini per la proposizione dell’appello.
Il motivo è infondato.
Le censure avanzate dal ricorrente, infatti, si sostanziano in una esposizione delle ragioni che hanno reso impossibile la tempestiva proposizione del ricorso. Si tratta, tuttavia, di censure di merito che non sono suscettibili di essere oggetto di esame in questa sede.
In ogni caso “la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, ravvisabile laddove la parte si dolga dell’omessa comunicazione della data di trattazione dell’udienza e/o della sentenza stessa, atteso che il termine di cui all’art. 327 c.p.c., decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria medesima, degli obblighi di comunicazione alle parti, e che, inoltre, rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa” (Cass. n. 5946 del 2017).
Il Tribunale ha correttamente osservato che ai sensi dell’art. 327 c.p.c., commi 1 e 133, il termine di sei mesi per proporre impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza mentre è irrilevante la data di comunicazione che è estranea al procedimento della pubblicazione e non integra nè un elemento costitutivo nè un elemento condizionante l’efficacia di essa.
Si tratta di una motivazione adeguata e coerente con il disposto legislativo e pertanto non censurabile in questa sede.
Il ricorso sarebbe anche inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Tale articolo stabilisce che il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali sui quali il ricorso si fonda ed il successivo art. 369, comma 2, precisa che insieme al ricorso debbano essere depositati “a pena di improcedibilità” i documenti sui quali il ricorso si fonda. La ratio delle suddette previsioni riposa nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo di ricorso senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (cass. sez. III, n. 86 del 10 gennaio 2012), non potendosi affidare al giudice di legittimità il compito di svolgere un’attività di ricerca negli atti (cfr. cass. sez. III n. 4201 del 22 febbraio 2010).
Nel caso di specie il ricorrente fa riferimento ad una comunicazione della Cancelleria dalla quale risulterebbe confermato che la conoscenza della pubblicazione delle sentenze del Giudice di Pace di Torre Annunziata per le parti era possibile esclusivamente attraverso la loro comunicazione, ma non indica in quale luogo delle sue produzioni si trovi tale atto e neppure ne allega copia al ricorso.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
7. Infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.000 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2021