Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17503 del 31/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 17503 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

ORDINANZA
sul ricorso 26993-2011 proposto da:
PIASTRI LUIGI PSTLGU55S01L463H, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA GERMANICO 96, presso lo studio dell’avvocato
TAVERNITI BRUNO, rappresentato e difeso dall’avvocato
VALETTINI ROBERTO, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI
CALIULO, GIUSEPPINA GIANNICO, ANTONELLA PATTERI,
SERGIO PREDEN, giusta procura speciale in calce al controricorso;

Data pubblicazione: 31/07/2014

- controricoirente avverso la sentenza n. 388/2011 della CORTE D’APPELLO di
o
GENOVA del 22.4.2011, depositata il /05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17/06/2014 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO;

agli scritti.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito
di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio.
La Corte di appello di Genova, accogliendo il gravame proposto
dall’INPS, in parziale riforma della pronuncia di primo grado,
dichiarava il diritto di Piastri Luigi alla rivalutazione contributiva per
esposizione ultradecennale all’amianto con applicazione del
coefficiente di maggiorazione 1,25 in luogo del coefficiente 1,50, ai
sensi dell’art. 47 d.l. n. 269 del 2003. Disattendeva l’eccezione di
inammissibilità dell’appello per acquiescenza ex art. 329 c.p.c., sollevata
dall’appellato per avere l’Inps dato esecuzione alla sentenza di primo
grado liquidando il trattamento pensionistico con la maggiorazione
1,50 riconosciuta dal Tribunale.
Osservava la Corte territoriale che dalla spontanea esecuzione della
sentenza di primo grado non poteva desumersi la volontà dell’Istituto
soccombente di prestare acquiescenza al provvedimento “dal
momento che il comportamento dell’Inps non è che la conseguenza
della provvisoria esecuzione della sentenza stessa e non comporta
pertanto nessun riconoscimento o rinuncia”.
Per la cassazione di tale sentenza Piastri Luigi propone ricorso,
affidato a due motivi. Resiste l’Inps con controricorso.

Ric. 2011 n. 26993 sez. ML – ud. 17-06-2014
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udito per il controricorrente l’Avvocato Sergio Preden che si riporta

Con il primo motivo, il Piastri denuncia carenza di motivazione (art.
360 n. 5 c.p.c.) per avere la Corte territoriale esposto in modo
insufficiente le ragioni per le quali aveva ritenuto di disattendere
l’eccezione di acquiescenza senza debitamente esaminare i profili
specificamente prospettati dall’appellato nella sua memoria difensiva.

L’acquiescenza prevista dall’art. 329, primo comma, cod. proc. civ.,
quale comportamento idoneo ad escludere la proponibilità
dell’impugnazione, configura un negozio giuridico processuale – che
presuppone una univoca volontà abdicativa della parte, non ravvisabile
nel solo adeguamento alle statuizioni di una sentenza esecutiva – in
relazione al quale l’apprezzamento del giudice di merito è sindacabile in
sede di legittimità sia sotto il profilo della violazione dei criteri legali di
ermeneutica negoziale, ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., sia con
riguardo alla congruità della motivazione, ex art. 360, n. 5, stesso
codice (Cass. n. 5689 del 2003). Nella specie, non è stato chiarito in
quale modo la sentenza abbia violato i criteri di logicità o i canoni di
ermeneutica negoziale nell’escludere che la spontanea esecuzione della
sentenza di primo grado da parte dell’Istituto potesse configurare
acquiescenza al provvedimento, sì da precluderne la successiva
impugnazione.
Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, l’adempimento
degli obblighi fissati da una sentenza esecutiva non configura di per sé
acquiescenza a norma dell’art. 329 cod. proc. civ.. L’acquiescenza alla
sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 cod. proc.
civ. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame,
giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia
espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla
legge), consiste nella manifestazione da parte del soccombente della
Ric. 2011 n. 26993 sez. ML – ud. 17-06-2014
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Il motivo è manifestamente infondato.

volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa
che tacita: in quest’ultimo caso, l’acquiescenza può ritenersi sussistente
soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti incompatibili
con la volontà di avvalersi dell’impugnazione. Ne consegue che la
spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole non

che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le
eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione
(v. tra le più recenti, Cass. 11769 del 2012, n. 21385 del 2012). Il fatto
che l’Inps abbia dato esecuzione al dictum giudiziale non solo non è atto
incompatibile con la volontà di proporre gravame, ma nel caso di
specie non può dirsi neppure fatto spontaneo, essendo l’esecuzione
stata sollecitata dall’interessato che ebbe ad avanzare istanza in tal
senso (risulta dallo stesso ricorso per cassazione l’avvenuta
presentazione di un’istanza amministrativa del Piastri in data 26.1.2010,
a seguito della sentenza di primo grado del 13.1.2010).
Del tutto irrilevante è poi la circostanza che la liquidazione della
pensione sia avvenuta senza riserva, non avendo l’INPS alcun onere di
rendere tale specificazione ai fini di escludere che la sua condotta
potesse essere qualificata come acquiescenza al provvedimento; del
pari irrilevante agli stessi fini è l’eventuale mancata contestazione in
primo grado della operatività del coefficiente 1,50. La condotta del
soccombente – che non abbia altrimenti manifestato la volontà di
rinunciare all’impugnazione – è da ritenere ispirata all’unico scopo di
impedire gli effetti pregiudizievoli derivanti dal mancato adempimento
degli obblighi di conformazione della propria condotta alla statuizione
giudiziale, ancorché non definitiva.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 3,
comma 132, legge n. 350 del 2003 (art. 360 n. 3 c.p.c.) nella parte in cui
Ric. 2011 n. 26993 sez. ML – ud. 17-06-2014
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comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento

fa salva la previgente normativa (legge n. 257/92) nelle ipotesi di
maturazione del diritto alla rivalutazione contributiva alla data del
2.10.2003. Ad avviso del ricorrente, dovrebbero trarsi argomenti per
una interpretazione diversa da quella seguita dal giudice di appello (che
ha richiamato Cass. n. 15679/2006) dalla sopravvenuta legge n. n.

dell’art. 13 legge n. 257/92 – e quindi la maggiorazione 1,5 – ai
lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il
diritto al conseguimento dei benefici previdenziali in questione.
Anche tale motivo deve ritenersi manifestamente infondato.
L’attuale ricorrente al 2 ottobre 2003 non aveva maturato il diritto a
pensione; non aveva presentato domanda amministrativa di
prestazione, né quella di accertamento della esposizione, né aveva
ancora iniziato il giudizio; egli non versava dunque in alcuna della
ipotesi che, a norma dell’art. 47, del d.l. n. 269 del 2003, conv. in legge
n. 326/03 consentivano l’applicazione della previgente e più favorevole
disciplina, essendo priva di fondamento normativo la tesi di vedere
applicata la disciplina previgente a tutti coloro che furono esposti ad
amianto entro la data del 2.10.2003 anche a prescindere dalla
presentazione della domanda amministrativa.
Il ricorrente richiama, in via interpretativa, il comma 20 dell’art. 1
della legge n. 247 del 2007, secondo il quale “ai fini del conseguimento
dei benefici previdenziali di cui all’ articolo 13, comma 8, della legge 27
marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono valide le
certificazioni rilasciate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro
gli infortuni sul lavoro (INAIL) ai lavoratori che abbiano presentato
domanda al predetto Istituto entro il 15 giugno 2005, per periodi di
attività lavorativa svolta con esposizione all’amianto fino all’avvio
dell’azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003, nelle
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247/07, art. 1, comma 20, che prevede che si applichi il comma ottavo

aziende interessate dagli atti di indirizzo già emanati in materia dal
Ministero del lavoro e della previdenza sociale”. Secondo il ricorrente,
la norma legittimerebbe un’interpretazione della normativa in esame
per cui tutti coloro che furono esposti all’amianto anteriormente al
2.10.2003 (come lo stesso Piastri) dovrebbero fruire del beneficio della

La questione è dunque se il diritto al conseguimento dei benefici
previdenziali di cui all’art. 13 comma 8 L. 257/92, cui fa riferimento la
L. 350/03, corrisponde al diritto a pensione o coincide con la
prestazione di attività lavorativa con esposizione ad amianto per oltre
10 anni alla data del 2/10/2003 (come ritenuto dal ricorrente).
La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in
tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti
all’amianto, la L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 132, che —
con riferimento alla nuova disciplina introdotta dal D.L. 30 settembre
2003, n. 269, art. 47, comma 1, ( convertito, con modificazioni, nella L.
24 novembre 2003, n. 326) — ha fatto salva l’applicabilità della
precedente disciplina, prevista dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13
per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano avanzato
domanda di riconoscimento all’INAIL od ottenuto sentenze favorevoli
per cause avviate entro la medesima data, va interpretato nel senso che
: a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del
diritto a pensione; b) tra coloro che non hanno ancora maturato il
diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati
che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento
amministrativo o giudiziario perl’accertamento del diritto alla
rivalutazione contributiva ( così, ex pluribus Cass. 11 luglio 2006, n.
15679, conforme alle precedenti Cass. 15 luglio 2005, n. 15008; Cass.

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rivalutazione in base al coefficiente 1,5 (ex legge n. 257 del 1992).

18 novembre 2004, n. 21862, nonché anche recentemente Cass. 8
febbraio 2011, n. 3122).
La Corte Costituzionale ( decisione del 28 novembre 2008, n. 376)
ha confermato tale opzione interpretativa, secondo cui la maturazione
del diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13,

nella diversità del testo rispetto al comma 6 bis dell’art. 47 D.L.
269/03, conv. nella L.326/03 che fa riferimento alla maturazione del
diritto al trattamento pensionistico) coincide con il diritto a pensione,
per l’assorbente considerazione che la disposizione di cui all’art. 13,
comma 8 della L. 257/92 non ha istituito una nuova prestazione
previdenziale, ma soltanto un sistema più favorevole di calcolo della
contribuzione per la determinazione della pensione, di tal che non si
può<< configurare la maturazione del diritto ai benefici indipendentemente dal conseguimento del diritto a pensione>>.
L’interpretazione espressa in Cass. n. 15679 del 2006 – condivisa dal
giudice di appello nella sentenza impugnata – risulta poi avvalorata
dall’ulteriore recente pronuncia di questa Corte n. 8649 del 2012,
secondo cui, in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori
esposti all’amianto, l’art. 3, comma centotrentadue, della legge 24
dicembre 2003, n. 350, – con riferimento alla nuova disciplina
introdotta dall’art. 47, comma primo, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269
(convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326) ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, prevista dall’art.
13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, per i lavoratori che alla data del 2
ottobre 2003 abbiano avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL,
stabilendo una disciplina ritenuta costituzionalmente legittima da Corte
cost. n. 376 del 2008, in quanto espressione di discrezionalità, non
irragionevolmente esercitata, del legislatore che, nella disciplina
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comma 8 L. 257/92, prevista dall’art. 3, comma 132 L. 350/03 ( pur

transitoria ha fatto salva la posizione di chi avesse già presentato
domanda amministrativa per ottenere il beneficio meno
favorevolmente regolato dalle nuove disposizioni.
A tali considerazioni – espresse nella relazione – deve aggiungersi che
la soluzione sopra esposta trova ora ulteriore conferma nelle

2014.
In tali pronunce è stata espressamente affrontata la questione
riguardante l’interpretazione da darsi all’art. 3, comma 132, della legge
n. 350/2003 e all’art. 1, comma 2, dm 27 ottobre 2004 (di attuazione
dell’art. 47, di n. 269/2003), nella parte in cui sanciscono l’applicabilità
della previgente disciplina (utilizzo del coefficiente moltiplicatore 1,5
tanto ai fini tanto dell’accesso a pensione, quanto a quello della relativa
liquidazione) nei confronti di coloro che avevano maturato “il diritto al
conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8,
della legge 27 marzo 1992, n. 257” alla data del 2 ottobre 2003.
E’ stata, innanzitutto, disattesa l’opzione ermeneutica fondata sulla
differenza lessicale tra il comma 6 bis dell’art. 47 di n. 269/03 (“diritto
al trattamento pensionistico”) e il comma 132 dell’art. 3 n. 350/03
(“diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo
13, comrna 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257”); secondo tale tesi, la
seconda locuzione esprimerebbe un diverso concetto (da accogliersi in
base ai principi della successione delle leggi nel tempo), ossia quello
che vorrebbe far salva l’applicazione della disciplina previgente per
tutti coloro che, rientrando nelle previsioni di quest’ultima, al
momento dell’entrata in vigore della novella fossero risultati in
possesso dei requisiti a cui era condizionato il riconoscimento del
beneficio previdenziale, indipendentemente dal fatto che avessero
maturato il diritto alla pensione.
Ric. 2011 n. 26993 sez. ML – ud. 17-06-2014
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recentissime sentenze di questa Corte nn. 9096 e 9097 del 22 aprile

La Corte ha osservato che tale argomento non spiega per quale
ragione la seconda locuzione, alla luce di un’interpretazione sistematica
della normativa di riferimento, non potrebbe configurare una
sostanziale sinonimia della prima, “ma soprattutto, proprio sotto il
profilo letterale, si risolve nell’attribuire natura di diritto soggettivo,

soltanto una situazione fattuale costituente uno dei requisiti perché il
diritto stesso possa essere conseguito. Laddove, se il legislatore avesse
inteso garantire l’applicabilità delle previgenti disposizioni alla mera
ricorrenza di tale situazione fattuale, lo avrebbe esplicitato, così come
ha fatto in riferimento ad altre situazioni fattuali ben determinate,
quale ad esempio, l’avere “avanzato domanda di riconoscimento
all’INAIL”, la cui contemplazione risulterebbe invece pleonastica
seguendo l’interpretazione sopra prospettata (sent. cit.).
E’ stato inoltre osservato che, sempre sotto il profilo sistematico,
l’interpretazione invocata non si concilia con la natura dei benefici
previdenziali de quibus, posto che, come condivisibilmente riconosciuto
da un ormai consolidato indirizzo ermeneutico di questa Corte, “la
rivalutazione contributiva non rappresenta una prestazione
previdenziale autonoma, ma determina i contenuti del diritto alla
pensione” (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 21257/2004; 21862/2004;
15007/2005; 15008/2005; 16179/2005; 441/2006; 15679/2006;
23068/2007; 18135/2010; 3122/2011; 8649/2012), ovvero, in altri
termini, introduce “una modalità di calcolo della anzianità contributiva
ai fini delle ordinarie prestazioni pensionistiche di vecchiaia e di
anzianità o di queste sostitutive in regimi speciali” (cfr, Corte
Costituzionale, n. 376/2008).
Si è dunque concluso che la maturazione, alla data del 2 ottobre
2003, del “diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui
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come previsto dalla legge (“diritto al conseguimento …”), a ciò che è

all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e
successive modificazioni”deve essere intesa nel senso del
perfezionamento del diritto al trattamento pensionistico anche sulla
base del beneficio di cui all’art. 13, comma 8, legge n. 257/92; onde,
per questa parte, la locuzione utilizzata al ridetto art. 3, comma 132,

voluto significare con quella di maturazione del “diritto al trattamento
pensionistico” contenuta nell’art. 47, comma 6 bis, dl. n. 269/03.
Corollario di quanto testé affermato è che i lavoratori che, in epoca
antecedente all’ottobre 2003, fossero stati esposti all’amianto per un
periodo superiore a dieci anni nello svolgimento di attività assoggettate
all’assicurazione obbligatoria dell’Inail “non erano titolari di un diritto
soggettivo perfetto alla pensione e alla sua determinazione secondo i
criteri di cui all’art. 13, comma 8, legge n. 257/92, ma soltanto
portatori di una legittima aspettativa a che tale diritto si concretizzasse
al momento dell’eventuale (sempre che, cioè, venissero a realizzarsi gli
ulteriori requisiti) futura maturazione del diritto a pensione. Dal che
discende che non può ritenersi che la riforma del 2003 abbia inciso,
retroattivamente, su posizioni di diritto soggettivo già acquisite” (v.
sent. nn. 9096 e 9097 del 2014, cit.).
Sono stati altresì disattesi i rilievi di incostituizionalità, osservandosi
che “secondo i principi enunciati a più riprese dalla Corte
Costituzionale (cfr, ex plurimis, Corte Costituzionale, nn. 349/1985;
822/1988; 573/1990; 390/1995), le disposizioni modificatrici in senso
sfavorevole della precedente disciplina dei rapporti di durata emanate
dal legislatore ai fini pensionistici, non devono concretare un
regolamento irrazionale ed arbitrario, lesivo delle situazioni sostanziali
poste in essere da leggi precedenti e frustrare l’affidamento dei cittadini
nella sicurezza giuridica, che è elemento fondamentale dello Stato di
Ric. 2011 n. 26993 sez. ML – ud. 17-06-2014
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legge n. 350/03 costituisce soltanto la conferma di quanto già si era

diritto. Nella specie, tuttavia, la (comunque solo parziale) frustrazione
delle aspettative pensionistiche dei destinatari dell’art. 13, comma 8,
legge n. 257/92 (per quanto, ovviamente, già non avessero maturato il
diritto alla pensione) non si connota da arbitrarietà ed irrazionalità,
inserendosi al contrario in un complessivo quadro di trasformazione

esposti”.
Inoltre, quanto alla dedotta arbitraria discriminazione tra situazioni
uguali i dubbi sollevati “trovano già risposta, nel senso della loro
infondatezza, nelle considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale
nella ricordata sentenza n. 376/2008, ove viene puntualizzato che il
legislatore ha dettato la disciplina transitoria inerente al passaggio da un
regime ad un altro in correlazione con il mutamento di funzione e di
struttura della misura disciplinata e che, considerando che tale
passaggio comportava un trattamento meno favorevole, ha voluto far
salve alcune situazioni ritenute meritevoli di tutela, introducendo
disposizioni derogatorie rispetto all’immediata applicazione della nuova
disciplina; ciò nell’ambito di quell’ampia discrezionalità che, secondo la
costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, va riconosciuta al
legislatore “nella fissazione delle norme di carattere transitorio dettate
per agevolare il passaggio da un regime ad un altro, tanto più ove si
tratti di disciplina di carattere derogatorio comportante scelte connesse
all’individuazione delle categorie dei beneficiari delle prestazioni di
carattere previdenziale”.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le difficoltà interpretative sottese alla materia e al succedersi degli
interventi normativi giustificano la compensazione delle spese
dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Ric. 2011 n. 26993 sez. ML – ud. 17-06-2014
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radicale dell’istituto, nei termini e per le ragioni già diffusamente

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 giugno 2014

esidente

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