Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17503 del 18/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 18/06/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 18/06/2021), n.17503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1768/2020 proposto da:

M.E., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difeso dall’avvocato MASSIMO GILARDONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 2511/2019 del TRIBUNALE DI

CALTANISSETTA, depositato il 12/11/2019 R.G.N. 1682/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/02/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. il Tribunale di Caltanissetta, con decreto pubblicato il 11 novembre 201, ha respinto il ricorso proposto da M.E., di nazionalità ghanese, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. il Tribunale ha preliminarmente ritenuto inattendibile il racconto del richiedente asilo che aveva narrato di essere fuggito “per timore di essere arrestato dalla Polizia dopo che era stata scoperta la sua attività di prostituzione omosessuale svolta insieme ad altre persone”; in ragione di ciò ha escluso che sussistessero le condizioni per riconoscere la protezione sussidiaria; circa la richiesta di protezione umanitaria, il Tribunale ha considerato che “non è stata lamentata o anche semplicemente esposta alcuna condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani tale da giustificare l’allontanamento del ricorrente, dal paese d’origine”;

3. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento impugnato il soccombente con 2 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione “del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8”, lamentando che il Tribunale non avrebbe “esaminato il tema delle discriminazioni in atto nel Ghana per motivi legati all’orientamento sessuale”; si rileva che l’audizione del ricorrente era stata condotta da un giudice onorario delegato dal Collegio, mentre avrebbe dovuto essere condotta da un giudice professionale; il Collegio si sarebbe limitato “a leggere il verbale delle dichiarazioni rese avanti al Giudice onorario”;

il secondo motivo lamenta il diniego della protezione umanitaria, deducendo violazione e falsa applicazione di legge D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 32, comma 2; si critica il decreto impugnato per aver negato che fossero stati allegati “fattori di oggettiva vulnerabilità” e si sostiene che l’indagine avrebbe dovuto essere condotta mediante l’audizione dell’interessato;

2. il primo motivo è fondato;

nel quadro dei principi unionali, questa Corte (da ultimo Cass. n. 29935 del 2020) ha formulato una serie di orientamenti in materia di protezione internazionale, affermando – tra l’altro – che: I) “la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata” alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 dello stesso articolo, senza dare rilievo esclusivo è determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto” (Cass. 14674/2020; conf. Cass. n. 10908/2020, n. 11925/2019, n. 26921/2017, n. 24064/2013, n. 16202/2012); II) la suddetta valutazione deve essere, anche argomentata dal giudice del merito “in modo idoneo a rivelare, la relativa “ratio decidendi”, senza essere basata, invece, su elementi irrilevanti o su notazioni che, essendo prive di riscontri processuali, abbiano la loro fonte nella mera opinione del giudice, cosicchè il relativo giudizio risulti privo della conclusione razionale” (Cass. n. 13944/2020); III) quanto al richiedente, egli “è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva”, sempre che questo sia stato “condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. n. 6936/2020, n. 15794/2019, n. 19716/2018); IV) una volta assolto da parte del richiedente l’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, si rende operativo “il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali”, sostanziandosi nel “potere-dovere di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione” (Cass. n. 11096/2019, n. 19716/2018, n. 17069/2018); V) spetta altresì al giudice della protezione internazionale “il compito di colmare le lacune informative, avendo egli l’obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta – soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le indicazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 – e verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, ove astrattamente sussumibile nelle tipologie tipizzate di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rientro al momento della decisione” (Cass. n. 17576/2017, n. 14998/2015, n. 7333/2015);

in sintesi, può dirsi che la valutazione di credibilità, pur integrando un apprezzamento di fatto sindacabile in sede di legittimità solo per assoluta mancanza, apparenza o perplessità della motivazione (Cass. 13578/2020) ovvero, nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 11925/2019), deve essere comunque effettuata secondo i criteri normativamente previsti, restando altrimenti censurabile in sede di legittimità anche per violazione delle relative disposizioni di legge (Cass. 14674/2020); in particolare, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice di sottoporre le dichiarazioni del richiedente, se non suffragate da prove, a un controllo di coerenza – intrinseca (con riguardo al racconto) ed estrinseca (con riguardo alle informazioni generali e specifiche di cui si dispone) e ad una verifica di plausibilità (con riguardo alla logicità e razionalità delle dichiarazioni) della vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019), stabilendo tra l’altro che, “qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: (…) c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; (…) e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”;

in particolare, l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale, nella specie omosessuale, del richiedente protezione internazionale non può essere escluso dal rilievo che le dichiarazioni della parte non ne forniscano la prova dal momento che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, dispone che tali dichiarazioni, se coerenti con i requisiti di cui alle lett. da a) ad e) della norma, possono da sole essere considerate veritiere pur se non suffragate da prova, ove comparate con COI aggiornate, e la Corte di Giustizia (sentenza 25/1/2018 C-4731/16 alla luce dell’art. 13, par. 3, lett. a, della Direttiva 2005/85 e dell’art. 115, par. 3, lett. a, della Direttiva 2013/32), ha evidenziato che, in relazione all’omosessualità, il colloquio deve essere svolto da un “intervistatore competente”; che si deve tenere conto della situazione personale e generale in cui s’ingeriscono le dichiarazioni, ed in particolare dell’orientamento sessuale; che la valutazione di credibilità non può fondarsi su nozioni stereotipate associate all’omosessualità ed in particolare sulla mancata risposta a domande relative a tali nozioni, quali quelle concernenti la conoscenza di associazioni per la difesa dei diritti degli omosessuali (Cass. n. 9815 del 2020); la stessa pronuncia ha chiarito che, in tema di protezione internazionale, l’allegazione da parte dello straniero di una condizione personale di omosessualità impone che il giudice si ponga in una prospettiva dinamica, e non statica, vale a dire che verifichi la sua concreta esposizione a rischio, sia in relazione alla rilevazione di un vero e proprio atto persecutorio, ove nel paese di origine l’omosessualità sia punita come reato e sia prevista una pena detentiva sproporzionata o discriminatoria, sia in relazione alla configurabilità della protezione sussidiaria, che può verificarsi anche in mancanza di una esplicitamente omofoba ove il soggetto sia esposto a gravissime minacce da agenti privati e lo Stato non sia in grado di proteggerlo, dovendosi evidenziare che tra i trattamenti inumani e degradanti lesivi dei diritti fondamentali della persona omosessuale non vi è solo il carcere ma vi sono anche gli abusi medici, gli stupri ed i matrimoni forzati, tenuto conto che non è lecito pretendere che la persona tenga un comportamento riservato e nasconda la propria omosessualità (CGUE 7/11/2013, C-199/2012 e C-201/2012) (v. pure Cass. n. 11172 del 2020 e, in precedenza, Cass. n. 15981 del 2012);

avuto riguardo al Paese di provenienza dell’istante si è affermato chè: “In tema di protezione internazionale, posto che l’autorità amministrativa e il giudice di merito svolgono un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni le acquisire tutta la documentazione necessaria, ove il richiedente adduca il rischio di persecuzione, al fine di ottenere lo “status” di rifugiato, o il danno grave, ai fini, della protezione sussidiaria, il giudice non deve valutare nel merito la sussistenze o meno del fatto, ossia la fondatezza dell’accusa, ma deve, invece accertare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2, e 14, lett. c), se, tale accusa sia reale, cioè effettivamente rivolta al richiedente nel suo paese, e dunque suscettibile di rendere attuale il rischio di persecuzione o danno grave in relazione alle conseguenze possibili secondo l’ordinamento straniero. (Fattispecie relativa a cittadino del Gambia accusato di omosessualità, punita da quell’ordinamento con pene gravissime quali tortura, ergastolo, decapitazione)” (Cass. n. 26969 del 2018; Cass. n. 32670 del 2019);

nel caso di specie, lo scrutinio del Tribunale territoriale sulla credibilità del ricorrente risulta non rispettoso dei criteri normativi sopra richiamati e neanche sorretto da una valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente, mediante l’assunzione di informazioni che siano pertinenti al caso – e quindi relative al trattamento degli omosessuali – ed aggiornate, al momento dell’adozione della decisione (Cass. n. 9230 del 2020), risultando citato nel decreto impugnato il sito web (OMISSIS) (peraltro inutilizzabile; cfr. Cass. 20334 del 2020) solo ai fini di verificare l’esistenza di una violenza indiscriminata in Ghana;

3. conclusivamente, accolto il primo motivo di ricorso relativo alle protezioni maggiori, deve essere dichiarato assorbito il secondo, riguardante la protezione umanitaria, con cassazione del decreto impugnato e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al tribunale di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2021

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