Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17502 del 21/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/08/2020, (ud. 05/06/2020, dep. 21/08/2020), n.17502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18660-2019 proposto da:

K.I.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

NUNZIA LUCIA MESSINA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA;

– intimato –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CATANIA, depositata il

15/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con decreto comunicato a mezzo pec il 3 maggio 2019 il Tribunale di Catania ha respinto il ricorso di K.I.S., cittadino della Guinea, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della relativa domanda da parte della locale Commissione territoriale. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal proprio Paese perchè i suoi fratellastri si erano appropriati dell’eredità del padre, lasciandolo privo di una casa e di mezzi per sostenersi. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo al fatto che non si avevano notizie di scontri indifferenziati in Guinea.

Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità del decreto di rigetto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 4, e motivazione apparente per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Deduce che, in ordine al diniego della protezione sussidiaria e umanitaria, la motivazione del decreto impugnato non consente di comprendere l’iter logico-giuridico posto a fondamento della decisione. Ad avviso del ricorrente, dalla suddetta motivazione non è dato evincere se il Tribunale abbia esaminato gli elementi allegati a sostegno del suo diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria, non avendo i Giudici di merito valutato la situazione socio-politica della Guinea e non avendo gli stessi fatto alcun riferimento a quanto risultante dalle fonti di conoscenza, e in particolare dai report di Amnesty International 2017/2018, allegati al fascicolo di parte, e dal sito web Viaggiare sicuri. Ad avviso del ricorrente neppure è dato evincere dalla motivazione del decreto impugnato che sia stata esaminata la situazione personale del ricorrente, giunto in Italia quando era ancora minorenne, e che sia stata effettuata la comparazione tra le sue condizioni di vita in Guinea e quelle in Italia, dove aveva cercato di integrarsi.

2.1. Con i motivi secondo e quarto il ricorrente si duole dell’omessa valutazione sia della situazione della Guinea, sia di quella del Paese di transito (Libia), denunciando la violazione del D.Lgs. n. 46 del 2017, art. 35 bis, comma 9, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ragione dell’omessa acquisizione di informazioni sul Paese di provenienza e su quello di transito.

2.2.Con i motivi terzo e quinto si duole del diniego della protezione umanitaria, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, non avendo i Giudici di merito proceduto ad alcuna valutazione della sua vulnerabilità, in particolare avuto riguardo alle sue condizioni di vita in Guinea, alla minore età che aveva quando è arrivato in Italia e alle esperienze terribili che aveva subito in Libia.

3. Il primo motivo è inammissibile.

3.1. Il ricorrente, nel dolersi della nullità del decreto impugnato per motivazione apparente in ordine al diniego del riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, svolge censure non pertinenti al decisum e prive di specificità.

3.2. In particolare, circa il giudizio di non credibilità della vicenda personale narrata, che, in principalità, rileva per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), e, in via gradata, per quello della protezione umanitaria, il ricorrente non censura la ricostruzione dei fatti addotti a cagione della fuga dal suo Paese (estromissione dall’eredità paterna attuata dai fratellastri) effettuata dal Tribunale, nè adduce di aver indicato nel giudizio di primo grado altri e diversi fatti di rilevanza, ed anzi ripropone la medesima versione (pag. n. 3 ricorso), aggiungendo solo di essere giunto in Italia quando era appena diciassettenne, di avere avuto “enormi difficoltà di vita” nel suo Paese e di essere preoccupato per la situazione economica della zia e dei suoi fratelli, dato che non riuscivano “a mangiare sempre”(pag. n. 3 e 5 ricorso). In altri termini, in base alle allegazioni dello stesso ricorrente, la sua fuga è stata determinata da fatti di natura privata ed economica, non integranti fattispecie di rischio effettivo di grave danno ai sensi del citato art. 14, lett. a) e b), sicchè non vi è ragione alcuna di attivare i poteri di istruzione officiosa, come in tutte le ipotesi in cui il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non credibili o non rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione (Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019).

3.3. In ordine alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il ricorrente non afferma di avere allegato, in sede di merito, una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona nel Paese di origine, come è, invece, necessario, a livello di allegazione, secondo la giurisprudenza di questa Corte a cui il Collegio intende dare continuità (Cass. n. 11312/2019). Nel ricorso neppure si fa riferimento ad una situazione siffatta, ma alla distinta, e non rilevante ai fini che qui interessano, condizione di “tensione sociale”, che si assume sussistente in base alle fonti di conoscenza richiamate nell’atto di gravame. In assenza di allegazione, da parte del richiedente, della violenza indiscriminata nei termini precisati, non ricorre l’obbligo di cooperazione nell’accertamento della situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine.

4. Anche gli altri motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

4.1. La protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), è stata esclusa dal Tribunale per la ritenuta mancanza di un rischio effettivo di subire un grave danno, richiamato quanto infra esposto, nonchè ribadita l’assenza di allegazioni, da parte del ricorrente, sulla violenza indiscriminata, per ciò che concerne la protezione sussidiaria ex art. 14 lett. c). Le doglianze svolte al riguardo sono generiche, risolvendosi in diffusi richiami della normativa di settore e di giurisprudenza, privi di specifica attinenza al caso concreto, nel senso già precisato.

4.2. La situazione esistente nel Paese di transito (Libia) di per sè non rileva nè per la protezione sussidiaria, nè per la umanitaria, perchè non è la Libia il Paese ove il ricorrente verrebbe ricondotto in caso di rimpatrio, all’esito del diniego della protezione internazionale. In ogni caso, sotto ulteriore e assorbente profilo, il ricorrente non allega di aver subito violenze in Libia nel periodo in cui vi si è trattenuto, nè evidenzia quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese e il contenuto della domanda (Cass. n. 31676/2018; Cass. n. 29875/2018; Cass. n. 13096/2019).

4.3. Quanto alla protezione umanitaria, occorre precisare che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019). Ciò posto, non è specificata in ricorso quale sia la condizione di vulnerabilità del ricorrente, che è stata esclusa con motivazione idonea dal Tribunale. Si è detto che i Giudici di merito hanno espresso un giudizio sulla natura privata della vicenda personale narrata dal ricorrente, che quest’ultimo non censura specificamente. Il ricorrente non indica altri elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019).

Neppure possono assumere, di per sè sole, specifico rilievo, ai fini che interessano, la giovane età del ricorrente e quella che aveva al momento dell’espatrio. Non può, infatti, valorizzarsi in tal senso la sentenza della Corte di giustizia 12 aprile 2018, C550/16, la quale, affermando che nel processo deve essere trattato come “minore” il cittadino straniero che abbia un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della domanda di asilo e che raggiunga la maggiore età nel corso della procedura di asilo, mira a garantire l’immediata applicazione delle norme a tutela dei minori (domanda di ricongiungimento famigliare) e comunque sempre che la persona “(ottenga) in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato”. La sentenza della Corte di giustizia non riguarda la protezione umanitaria ma i richiedenti lo status di rifugiato, atteso che il Considerando 9 stabilisce che “la presente Dir. (2004/83/Ce) non si applica ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi cui è concesso di rimanere nel territorio di uno Stato membro non perchè bisognosi di protezione internazionale, ma per motivi caritatevoli o umanitari riconosciuti su base discrezionale” ed analoga disposizione è contenuta nel Considerando 15 Dir. 2011/95/Ue (così anche l’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 11751/2019).

Infine, la situazione del Paese di origine, in termini generali ed astratti, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata).

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nulla dovendosi disporre in ordine alle spese del giudizio di legittimità, stante la mancata costituzione del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2020

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