Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17500 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. III, 23/08/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 23/08/2011), n.17500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GAVORRANO 12 SC. B INT. 4, presso lo studio dell’avvocato

MARIO GIANNARINI, rappresentato e difeso dall’avvocato RICCA LUCIO

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE B. BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato D’ALESSIO

ANTONIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FIACCAVENTO MARIO con

studio in 96100 SIRACUSA, VIALE TERACATI 75 giusta delega a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 17/2009 DEL TRIBUNALE di SIRACUSA SEZIONE

DISTACCA DI AVOLA, emessa il 23/1/2009, depositata il 04/02/2009,

R.G.N. 13/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 10 gennaio 2006 M.G. propose opposizione avverso l’esecuzione iniziata nei suoi confronti da A.C. in forza di titolo giudiziale costituito dalla sentenza della Corte d’appello di Catania in data 6 luglio 2005, di condanna di A.M. a reintegrare l’esecutante nel compossesso del chiosco sito nella Piazza Trento del Comune di Avola.

Espose che l’azienda relativa al bar era stata da lei acquistata dal predetto A.M. con atto pubblico di cessione di azienda e che ella era rimasta estranea al procedimento civile nel quale il titolo si era formato.

Con sentenza del 23 gennaio 2009 il Tribunale di Siracusa ha accolto l’opposizione.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre A.C., articolando tre motivi, con pedissequi quesiti.

Resiste con controricorso M.G..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante denuncia violazione dell’art. 2909 cod. civ., artt. 111 e 474 cod. proc. civ. Deduce che il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno della disciplina dettata dall’art. Ili cod. proc. civ., non avendo tenuto conto della opponibilità del giudicato ai terzi aventi causa, quale era sicuramente la M..

E invero l’ordine di immettere A.C. nel possesso del chiosco-bar spiegava efficacia nei confronti non soltanto del destinatario della relativa statuizione, ma di chiunque si trovava a detenere l’azienda. Aggiunge che, per giurisprudenza assolutamente consolidata, il terzo detentore e/o possessore del bene è immediatamente soggetto all’esecuzione senza che possa avere rilevanza alcuna la circostanza che l’esecutante non gli abbia notificato titolo esecutivo e precetto e che venga a conoscenza dell’esecuzione solo al momento dell’accesso dell’ufficiale giudiziario.

1.2 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2908 e 2909 cod. civ., art. 111 cod. proc. civ.. Evidenzia che la M., con singolare istanza, rintracciabile nel fascicolo d’ufficio, aveva chiesto al giudice di disporre le modalità di esecuzione del titolo azionato, così mostrando piena acquiescenza alle statuizioni in esso contenute.

1.3 Con il terzo motivo torna a dedurre violazione dell’art. 111 cod. proc. civ., per avere il giudice di merito erroneamente considerato il richiamo alla predetta norma oggetto di un’eccezione svolta dall’opposto, laddove questi aveva contestato la carenza di legittimazione attiva della controparte ad ostacolare l’esecuzione, segnatamente evidenziando che più adeguato mezzo di tutela sarebbe stato l’esperimento di un giudizio petitorio o di opposizione di terzo avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania.

Aggiunge che, in base ai principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte nella sentenza n. 11583 del 2005, l’azione esecutiva che nasce da una sentenza di condanna alla reintegrazione nel possesso va rivolta nei confronti del soggetto che si trova, rispetto al bene, nella situazione possessoria che consente di compiere l’attività necessaria ad adempiere al comando contenuto nella sentenza di condanna. E che, dovendo l’azienda qualificarsi come una universalità di mobili, non opera, in relazione ad essa, il principio possesso di buona fede vale titolo di cui all’art. 1153 cod. civ. (art. 1156 cod. civ.).

2.1 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate per le ragioni che seguono.

Occorre muovere dalla considerazione che il giudice di merito ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio del disposto dell’art. 111 cod. proc. civ., u.c., sul rilievo che la sentenza portata ad esecuzione nei confronti del terzo acquirente non nasceva da una domanda di natura petitoria, ma obbligatoria: il titolo azionato era invero basato su un’azione di adempimento contrattuale, e precisamente sugli impegni assunti da A.A. nei confronti del fratello C. con la scrittura in data 30 aprile 1976, nella quale essi avevano convenuto che il bar sarebbe stato gestito da entrambi separatamente e singolarmente, alternativamente una settimana per ciascuno, e che gli incassi della settimana, durante la quale avrebbero avuto la gestione del bar, sarebbero stati interamente trattenuti da ognuno di loro.

2.2 Questo significa che il Tribunale si è mosso nella prospettiva che il diritto che la sentenza della Corte d’appello aveva inteso tutelare fosse un mero diritto di credito all’uso turnario del bene, diritto personale di godimento, di carattere squisitamente relativo, in quanto azionatale solo nei confronti della controparte del rapporto obbligatorio e non trasferibile insieme alla ras alla quale ineriva, al di fuori di vicende traslative che si ponessero in termini di cessione di contratto. E in tale contesto ha qualificato la sentenza portata ad esecuzione nei confronti dell’opponente, come sentenza di accoglimento di una domanda di adempimento del contratto, alternativamente proponibile con quella di risoluzione, a fronte dell’inadempimento della controparte (art. 1453 cod. civ.).

3 Ora, per giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte Regolatrice, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, l’interpretazione del titolo esecutivo da parte del giudice dell’esecuzione si risolve in un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione esente da vizi logici o giuridici (confr. Cass. civ. 14 gennaio 2011, n. 760). Con particolare riguardo all’interpretazione del titolo esecutivo consistente in una sentenza passata in giudicato compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione, è stato anzi precisato che la sua natura di apprezzamento fattuale non è incisa dai poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte di questa Corte, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come giudicato esterno (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, al pari degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto in fatto dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere alla stessa (confr.

Cass. civ. 6 luglio 2010, n. 15852; Cass. civ. 9 agosto 2007, n. 17482).

4 Peraltro l’intrinseca congruità dell’opzione ermeneutica operata dal giudice di merito emerge all’evidenza a sol considerare che la necessità di prospettare l’esistenza di un titolo spendibile anche nei confronti del terzo, pur nell’indiscusso carattere contrattuale e obbligatorio della pretesa a suo tempo azionata, era stata avvertita anche dall’opposto il quale, costituendosi, aveva invocato l’art. 2558 cod. civ. e art. 111 cod. proc. civ., specificamente deducendo che il cessionario dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa non aventi carattere personale, allegazione condivisibilmente, ancorchè implicitamente, disattesa dal giudice a quo, in ragione della palese estraneità del contratto a suo tempo concluso tra A. e A.C. e all’area dei cosiddetti contratti di azienda -aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento della attività imprenditoriale – e a quella dei cosiddetti contratti di impresa, attinenti propriamente alla organizzazione dell’impresa stessa, come i contratti di somministrazione con i fornitori, i contratti di assicurazione o i contratti di appalto (confr. Cass. civ. 29 marzo 2010, n. 7517).

5 Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente riconosciuto al possessore al quale, ancorchè non nominato nel titolo esecutivo, sia coattivamente richiesta la consegna di un bene (art. 606 cod. proc. civ.), la legittimazione a proporre opposizione all’esecuzione al fine di fare accertare l’inesistenza del diritto a procedere nei suoi confronti, perchè divenuto proprietario esclusivo del bene stesso (confr. Cass. civ. 12 gennaio 2011, n. 517; Cass. civ. 22 gennaio 1998, n. 603; Cass. civ. 10 novembre 1993, n. 11090).

Tale affermazione, pienamente condivisa dal collegio, oltre a disvelare la sostanziale inconsistenza delle critiche formulate nel terzo motivo di ricorso, in ordine alla idoneità del mezzo azionato dall’esecutata, comporta che, anche a voler ragionare in termini di possesso, di spoglio e di ordine di reintegra – secondo l’asciutto dato testuale della sentenza portata ad esecuzione – la scelta decisoria del giudice dell’opposizione resiste alle critiche formulate in ricorso. Queste le ragioni.

L’allegazione di fondo dell’opponente – che, pur qualificandosi successore a titolo particolare ex art. 111 cod. proc. civ., ha rivendicato la titolarità di un diritto autonomo e incompatibile con quello accertato dalla sentenza, e non suscettibile, pertanto, di essere dalla, stessa pregiudicato (confr. pag. 18 del ricorso) – va valutata alla luce della rotazione impressa al sistema dei rapporti tra giudizio possessorio e giudizio petitorio dalla sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 1992: alla luce, in particolare, delle piste difensive aperte al convenuto nel giudizio possessorio – ed eo magis, al successore a titolo particolare nel diritto controverso, per sottrarsi agli effetti della sentenza pronunciata nei confronti del suo dante causa all’esito di un giudizio possessorio – dallo smussamente del divieto di contaminatio diabolica, tra possessorio e peti torio, sancito, in via di principio, dall’art. 705 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 31 maggio 2005, n. 11583).

Non può invero sfuggire che, sdoganata la possibilità di proporre giudizio petitorio anche prima della definizione di quello possessorio e della esecuzione della relativa decisione, almeno nel caso in cui da questa derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto (art. 705 cod. proc. civ., comma 1, nella riscrittura operatane dal Giudice delle leggi), l’opposizione all’esecuzione della M. è stata positivamente valutata dal Tribunale anche come mezzo di rivendicazione della titolarità esclusiva dell’azienda, a fronte di un diritto personale di godimento consustanzialmente inopponibile al terzo, diritto la cui soddisfazione coattiva, oltre a pregiudicare il regolare svolgimento dell’attività di impresa, avrebbe solo irragionevolmente procrastinato la tutela dell’acquirente, con inutile spreco di ricchezza, come avvertì in tempi lontani questa Corte allorchè, con giurisprudenza pretoria, ammise che l’azione possessoria potesse essere paralizzata dal contemporaneo esercizio, in separato giudizio, di un’azione petitoria (confr. Cass. 29 gennaio 1929, n. 405, specificamente richiamata nella pronuncia della Corte costituzionale innanzi menzionata).

6 Non è superfluo evidenziare, per puro scrupolo di completezza, che le allegazioni concernenti l’istanza asseritamente inoltrata dall’opponente al giudice, al fine di sentir disporre le modalità di esecuzione del titolo azionato, specificamente svolte nel secondo motivo, prospettano problematica del tutto nuova, in quanto non trattata nella sentenza impugnata, e comunque priva di qualsivoglia rilevanza decisoria, ai fini che qui interessano.

7 In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.

La difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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