Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17499 del 26/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/07/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 26/07/2010), n.17499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20598-2009 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

STAZIONE DI MONTE MARIO 9, presso lo studio dell’avvocato GULLO

ALESSANDRA, rappresentata e difesa dall’avvocato MAGARAGGIA GIUSEPPE,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in Persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PULLI CLEMENTINA, giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, COMUNE di CORSANO (Lecce);

– intimati –

avverso il provvedimento n. 427/2009 della CORTE D’APPELLO di LECCE

del 23.2.09, depositata il 26/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8/06/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. COSTANTINO

FUCCI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso del 20.1.2005 R.G. conveniva in giudizio l’Inps, il Ministero dell’Economia, ed il Comune di Corsano e chiedeva accertarsi il suo diritto alla pensione di inabilità civile o in subordine all’assegno di invalidità civile di cui alla L. n. 118 del 1971, con condanna dell’Inps a pagamento della relativa prestazione a decorrere dalla domanda amministrativa del 4.9.2003.

Il Tribunale di Lecce, disposta una CTU, rigettava la domanda.

La Corte di Appello di Lecce, disposto il rinnovo della CTU, con sentenza depositata il 26 marzo 2009, in parziale accoglimento dell’appello dell’assistita, dichiarava che l’appellante aveva diritto all’assegno di invalidità dal 1 novembre 2007 e condannava l’Inps al pagamento della relativa prestazione. La Corte territoriale dichiarava di condividere le conclusioni del CTU nominato in appello secondo cui la periziata aveva raggiunto un grado di invalidità pari all’80 per cento dal 1 novembre 2007.

Avverso detta sentenza la sig.ra R. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi con i quali ha denunciato: 1) omessa ed insufficiente motivazione, per avere il giudice di appello aderito alle conclusioni del CTU nominato in secondo grado senza tener conto dei rilievi formulati dall’assistita alla relazione peritale; 2) violazione della L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13 e omessa motivazione, per non avere il giudice di appello considerato che, in caso di concorso di più malattie, il danno biologico va determinato in modo globale considerando l’incidenza reale di dette minorazioni sulla complessiva validità del soggetto.

L’Inps ha resistito con controricorso. Gli altri intimati non si sono costituiti.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Premesso che le censure relative alla violazione di norme di legge sono solo evidenziate nell’intestazione dei motivi di ricorso ma non sono poi in alcun modo sviluppate nel corso dell’impugnazione, per quanto concerne i vizi di motivazione si osserva che per costante insegnamento della S.C., ove il giudice di merito ritenga di dover aderire alla consulenza tecnica d’ufficio non è tenuto a dare particolareggiata motivazione delle ragioni dell’adesione, ben potendo il relativo obbligo ritenersi assolto con l’indicazione della relazione peritale (Cass. n. 17770/2007, n. 4170/2006, n. 15108/2005).

In particolare è stato affermato che nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali derivanti da patologie dell’assicurato, il ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia accolto le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio è ammissibile solo se venga allegata, con serie argomentazioni medico- legali, l’incidenza, sulla valutazione della complessiva capacità lavorativa, di malattie non diagnosticate o di un errore diagnostico per documentata inosservanza dei canoni della scienza medica comunemente condivisi dalla comunità scientifica, poichè in mancanza di tali errori e omissioni le censure si risolvono nella mera prospettazione di un dissenso diagnostico rispetto alle risultanze della CTU, che il giudice di legittimità, non abilitato alla valutazione autonoma dei fatti di causa, non può prendere in considerazione (Cass. n. 4929/2004, n. 15796/2004).

La ricorrente lamenta la omessa valutazione da parte del giudice di appello dei rilievi mossi alla CTU nelle memorie difensive La censura è priva di pregio poichè la Corte territoriale ha dato atto di aver preso in considerazione detti rilievi, ritenendoli però generici e non concludenti. Al riguardo va osservato che il giudice di merito non è tenuto ad esaminare e confutare analiticamente tutti i rilievi mossi dalle parti, ma è tenuto a valutare compiutamente le condizioni di salute del periziato ed a dare adeguata giustificazione sul piano logico e medico-scientifico delle conclusioni cui è giunto il CTU, restando in tal modo implicitamente disattese le diverse conclusioni sollecitate dalla parte privata.

La ricorrente lamenta ancora carenze e deficienze diagnostiche, ma omette di precisare quali accertamenti diagnostici nella specie andavano effettuati secondo la più corretta prassi medica e sono stati omessi dal perito d’ufficio. In definitiva deve ritenersi che alla valutazione del contrapposto un diverso apprezzamento della entità delle patologie riscontrate al periziato, senza evidenziare alcuna specifica carenza o deficienza diagnostica o errore scientifico, bensì limitandosi ad esprimere una diversa valutazione del medesimo quadro patologico.

In definitiva il ricorso deve essere respinto. La ricorrente deve essere condannata al pagamento in favore dell’INPS delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo attualmente vigente, in mancanza della prescritta dichiarazione. Nulla per le spese nei confronti degli intimati non costituiti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento n favore dell’INPS delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro trenta per esborsi ed in Euro millecinquecento per onorari, oltre accessori di legge. Nulla per le spese per gli altri intimati.

Così deciso in Roma, il 8 giungo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2010

 

 

 

Sommario

IntestazioneFattoP.Q.M.

Copia

 

 

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