Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17494 del 26/07/2010
Cassazione civile sez. lav., 26/07/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 26/07/2010), n.17494
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 19581-2009 proposto da:
D.V.E.F., M.M., M.A.,
S.A., G.D.U., domiciliati in Roma,
presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e
difesi dagli avvocati Monti Andrea e Raffaella Prendin per procura a
margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – INPS, elettivamente
domiciliato in Roma, via della Frezza n. 17, presso l’Avvocatura
centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccio
Alessandro, Nicola Valente e Giuseppina Giannico per procura in calce
al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 502/2008 della Corte d’appello di Bologna,
depositata in data 10.10.2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19.05.2010 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
IANNELLI Domenico.
Fatto
RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
D.V.E.A., M.M., M.A., S.A. e G.D.U. si rivolsero al Giudice del lavoro di Ravenna per ottenere la rivalutazione (secondo il moltiplicatore 1,5) dell’anzianità contributiva prevista dalla L. 28 aprile 1992, n. 257, art. 13, comma 8, in ragione dell’esposizione ultradecennale al rischio amianto, conseguenza dell’attività svolta nel locale stabilimento Enichem quali soci o dipendenti di cooperative di facchinaggio.
Accolta la domanda, l’INPS proponeva appello lamentando che il primo giudice aveva dato per accertata la nocività dell’esposizione sulla base della semplice presenza materiale sul luogo di lavoro, senza che fosse riscontrato il superamento dei limiti di esposizione fissati dal D.Lgs. n. 277 del 1991.
La Corte di appello di Bologna, espletata consulenza tecnica, con sentenza 18.9-10.10.08, accoglieva l’impugnazione e rigettava la domanda, affermando che è necessaria l’esposizione all’amianto qualificata dal superamento dei limiti suddetti e che nella specie l’accertamento peritale aveva accertato che l’esposizione era stata inferiore al valore previsto dal D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24.
Proponevano ricorso i predetti lavoratori, deducendo: 1) violazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, nonchè omessa motivazione con il quesito: l’unico requisito richiesto per il riconoscimento del beneficio di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, è l’ultradecennale esposizione all’amianto nel corso della vita lavorativa, con esclusione di esposizione qualificata, ovvero con esclusione che detta esposizione sia rilevante solo quando risultino di fatto superati i valori soglia ad altro fine indicati dal D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24 e dalla L. n. 128 del 1998, art. 16; 2) omessa motivazione, in quanto la consulenza tecnica avrebbe omesso di prendere in considerazione che per alcuni colleghi di lavoro, addetti alle stesse mansioni ed operanti nello stesso ambiente, c’era già stata valutazione di contratto ultradecennale con l’amianto e con livello di esposizione superiori a 0,1 fibre/cc;
nonostante questa asimmetria fosse stata denunziata e supportata da idonea documentazione, la Corte di merito aveva omesso ogni valutazione al riguardo.
Si difendeva con controricorso l’INPS. Il primo motivo è infondato, in quanto il giudice di merito si è attenuto al principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale, a conclusione di un lungo percorso formativo, ha affermato che “in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, alla stregua di un’interpretazione adeguatrice della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13 … e tenuto conto delle disposizioni successive che hanno ridisciplinato la materia, per la concessione del beneficio è necessario il superamento di una certa soglia di esposizione all’amianto, atteso che sarebbe irragionevole e contrario al principio di uguaglianza ipotizzare che, mentre con la nuova disposizione il beneficio spetta solo nei casi di superamento della soglia, viceversa, secondo le disposizioni anteriori, fosse sufficiente qualunque grado di esposizione, trattandosi, in entrambi i casi, di esposizioni per lungo periodo alla sostanza nociva” (Cass. 19.10.06 n. 22422), e che “il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 … va interpretato … nel senso che tale beneficio va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentino valori di rischio per esposizione a polveri d’amianto superiori a quelli consentiti dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31”; per cui “nell’esame della domanda volta ad ottenere tale beneficio, il giudice di merito deve accertare – nel rispetto dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, ex art. 2697 c.c. – se colui che ha proposto la domanda, oltre ad aver provato la specifica lavorazione praticata e l’ambiente in cui ha svolto per più di dieci anni … tale lavorazione, abbia anche dimostrato che in tale ambiente erano presenti polveri di amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel suddetto D.Lgs. n. 277 del 1991” (Cass. 1.8.05 n. 16118).
Il secondo motivo è, invece, inammissibile non risultando la questione ivi agitata oggetto di trattazione da parte del giudice di appello e non avendo parte ricorrente indicato il momento e la sede in cui la stessa è stata sollevata. In ogni caso non appare osservato il requisito dell’autosufficienza, essendo il documento peritale da cui nascerebbe la contraddittorietà dell’accertamento peritale (e, quindi, della motivazione della sentenza che l’ha accolto) indicato solo genericamente, in modo tale da non fornire al giudice di legittimità adeguati elementi di valutazione del vizio dedotto.
Il ricorso è, dunque, infondato e deve essere rigettato.
Avendo la controversia avuto inizio dopo l’ottobre 2003, i ricorrenti debbono essere condannati alle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese che liquida in Euro 30 (trenta) per esborsi ed in Euro 2.000 (duemila) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2010