Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17491 del 31/07/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 17491 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GE.IM.s.r.1., in persona del legale rappresentante pro tempo-

re,

rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avv. Giuseppe V. Torrisi, per legge
domiciliata presso la cancelleria civile della Corte di cassazione, piazza Cavour;

– ricorrente contro
RUSSO Michele, RUSSO Giovanni e RUSSO Rosario, rappresentati e
difesi,

in forza di procura speciale notarile, dagli Avv.

Gianfranco Graziadei e Francesco Trotta, con domicilio eletto
nello studio dell’Avv. Gianfranco Graziadei in Roma, via Gramsci, n. 54;

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Data pubblicazione: 31/07/2014

- controri correnti e nei confronti di
PULVIRENTI Santo, rappresentato e difeso, in forza di procura
speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Aldo Messina,

di cassazione, piazza Cavour;

controricorrente

e sul ricorso proposto da
PULVIRENTI Santo, rappresentato e difeso, in forza di procura
speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Aldo Messina,
per legge domiciliato presso la cancelleria civile della Corte
di cassazione, piazza Cavour;

ricorrente in via incidentale

contro
RUSSO Michele, RUSSO Giovanni e RUSSO Rosario, rappresentati e
difesi, in forza di procura speciale notarile, dagli Avv.
Gianfranco Graziadei e Francesco Trotta, con domicilio eletto
nello studio dell’Avv. Gianfranco Graziadei in Roma, via Gramsci, n. 54;

– controri correnti

e nei confronti di
GE.IM.s.r.1., in persona del legale rappresentante pro tempo-

re;
– intimata –

per legge domiciliato presso la cancelleria civile della Corte

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania in data
13 agosto 2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 giugno 2014 dal Consigliere relatore Dott. Alberto

udito l’Avv. Francesco Trotta;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Renato Finocchi Ghersi, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi e, in subordine, per il
rigetto degli stessi.

Ritenuto in fatto
1. – Con atto di citazione notificato 1’11 febbraio 1994,
Mario Russo convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Ca•■■•

tania, Santo Pulvirenti e la s.r.l. Ge.Im., esponendo: che con
atto pubblico rogato dal notaio Gaetano Grasso da Fiumefreddo
il 30 dicembre 1972 (rep. 7264, racc. 4688), trascritto presso
la conservatoria dei registri immobiliari di Catania, egli aveva acquistato da Santo Pulvirenti alcune parti di un immobile sito in via Grassi Bertazzi di Acireale, tra le quali la
metà indivisa del piano terra (costituito da due botteghe) e
dei sottostanti cantinati; che, successivamente, Santo Pulvirenti aveva mutato i luoghi e trasferito alla Ge.Im., con atto
rogato dal notaio Ivan Bassi di Acireale, una parte degli immobili già costituenti oggetto della prima vendita. Tanto premesso, l’attore chiese la declaratoria del proprio diritto di

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Giusti;

proprietà sugli immobili acquistati e dell’invalidità ed inefficacia del titolo di trasferimento alla Ge.Im.
La Ge.lm. rimase contumace.
Il Pulvirenti si costituì resistendo, sostenendo di avere

gli immobili da lui pretesi. In via riconvenzionale chiese la
divisione dei beni oggetto della vendita.
Il Tribunale di Catania, con sentenza depositata 1’11 febbraio 2013, in accoglimento della domanda dell’attore affermò
e dichiarò la proprietà comune e indivisa nella esatta misura
delle metà per ciascuno tra l’attore M a rio Russo e il convenuto Santo Pulvirenti limitatamente al piano terreno ed al sottostante piano cantinato, in esatta proiezione, dell’immobile
per cui è causa; di conseguenza, dichiarò la nullità, o quantomeno la inefficacia nei confronti dell’attore Mario Russo,
per assoluta mancanza di oggetto, dell’atto di compravendita
per atti notaio Ivan Bassi di Acireale di data 11 febbraio
1993 e trascritto in data 17 febbraio 1993, ordinandone alla
conservatoria dei registri immobiliari la relativa cancellazione; provvide per il resto come da separata ordinanza di pari data, rimandando la decisione sulle spese e competenze alla
definizione del giudizio.
2. – La Corte d’appello di Catania, con sentenza resa pubblica in data 13 agosto 2008, ha rigettato l’appello della
Ge.Im. e il gravame incidentale proposto dal Pulvirenti, men-

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venduto al Russo soltanto una quota relativa ad una parte de-

tre ha accolto l’appello incidentale proposto da Michele Russo, quale procuratore generale di Mario Russo, e, in parziale
riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato che
quest’ultimo è proprietario,

pro quota, della metà indivisa

tostanti in esatta proiezione nell’edificio oggetto di causa,
confermando, nel resto, la suddetta pronuncia.
2.1. – La Corte d’appello ha rilevato che l’esame congiunto dell’art. 7 del contratto rogato dal notaio Gaetano Grasso
e della allegata scheda catastale rende evidente che le parti
vollero convenire il trasferimento al Russo di una quota ideale pari alla metà di entrambe le botteghe, costituenti
all’epoca, insieme alle rispettive pertinenze ed all’androne
condominiale, il piano terra del fabbricato costruito dal Pulvirenti. A tale conclusione la Corte territoriale è giunta sia
rilevando che il piano terra dell’immobile era costituito, al
momento della stipulazione, da due botteghe di diversa grandezza, dalle rispettive pertinenze e da ambienti condominiali,
sia considerando che nel contratto i confini vennero indicati
riferendosi ad entrambe le botteghe cumulativamente.
La Corte d’appello ha quindi statuito che il Tribunale avrebbe dovuto estendere il riconoscimento della proprietà di
Mario Russo ad entrambi i piani scantinati sottostanti le botteghe, e ha giudicato infondata, in quanto sguarnita di prova,
l’eccezione di usucapione formulata dal Pulvirenti.

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delle botteghe del piano terra e dei due piani cantinati sot-

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte
d’appello ha proposto ricorso la società Ge.Im., con atto notificato il 29 dicembre 2008 ed il 2 gennaio 2009, sulla base
di due motivi.

Rosario Russo,

eredi di Mario Russo,

deceduto nelle more del

giudizio.
Il Pulvirenti ha, a sua volta, presentato controricorso e
proposto ricorso incidentale, affidato a tre mezzi.
Michele, Giovanni e Rosario Russo hanno resistito con separato controricorso anche al ricorso incidentale.
In prossimità dell’udienza hanno depositato memorie il
Pulvirenti e i Russo. La Ge.Im. ha depositato memoria, ma fuori termine.
Considerato in diritto
l. – Con il primo motivo del ricorso principale (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., in
riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n. 5,
cod. proc. civ., con riguardo all’interpretazione data dalla
Corte di merito al titolo contrattuale rimesso al suo esame),
la società Ge.Im. ritiene che la Corte d’appello sia pervenuta
ad un risultato interpretativo non condivisibile in quanto adottato sulla base di un ragionamento logicamente viziato, che

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Hanno resistito, con controricorso, Michele, Giovanni e

trascura il tenore letterale e logico del titolo contrattuale
e ne ignora il collegamento dovuto, privilegiando, viceversa,
dati non obiettivi. Infatti, dalla documentazione catastale
prodotta risulta che l’intero piano terra non era costituito

ra, e precisamente quello di mq. 146, era stato classato
dall’UTE in origine nella categoria C/1 cioè bottega, mentre
l’altro locale di mq. 305, al momento del trasferimento, era
stato classato dall’UTE nella categoria C/2, cioè magazzino
deposito. Inoltre, dalle planimetrie catastali si rileva che
anche la bottega più piccola, contrariamente a quanto affermato in sentenza, confinava, tramite la terrazza a livello comune ai sub l e 2 della particella 179, con la costruzione in
corso e con la proprietà Barbagallo. Il risultato interpretativo sarebbe, ad avviso della ricorrente, in contrasto con
fondamentale principio della prevalenza del criterio letterale
e di quello del collegamento logico tra le varie clausole sui
vari criteri interpretativi sussidiari. Erroneamente la Corte
d’appello avrebbe escluso che la parola “costituita” dell’art.
7 del contratto (“fa parte del presente contratto la metà indivisa del piano terra costituita da numero due botteghe”) non
potesse riferirsi alla “metà indivisa” delle botteghe piuttosto che all’intero “piano terra”. Inoltre, la Corte avrebbe
omesso di considerare la circostanza che, al successivo art. 8
del contratto, il riferimento generico alla vendita della metà

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da due botteghe: solo uno dei locali costituenti il piano ter-

indivisa dei cantinati sottostanti le botteghe esclude che le
parti abbiano voluto trasferire la metà indivisa dell’intero
piano cantinato.
Il motivo è accompagnato dai seguenti quesiti di diritto:

cod. civ., nell’ambito dei criteri interpretativi, deve
ritenersi prioritario il canone fondato sul significato
letterale delle parole,

conseguendone che,

ove

quest’ultimo criterio risulti sufficiente, l’operazione
ermeneutica deve considerarsi utilmente conclusa”;
– “dica la Corte se, in applicazione degli artt. 1362 e ss.
cod. civ., nell’interpretazione delle disposizioni contrattuali, può omettersi il ricorso ai criteri interpretativi principali, ossia quello letterale e quello del
collegamento logico tra le varie clausole, anche laddove
gli stessi si siano rivelati adeguati all’accertamento
della comune intenzione delle parti”;
– “dica la Corte se può ritenersi ammissibile, ai fini
dell’interpretazione della volontà dei contraenti, il ricorso a criteri ermeneutici sussidiari rispetto a quello
letterale, laddove le espressioni adoperate nella clausola da interpretare non si presentino in alcun modo ambigue o insufficienti”.
1.1. – Con il primo motivo del ricorso incidentale, il
Pulvirenti, reiterando le doglianze già veicolate nel ricorso

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– “dica la Corte se, in applicazione degli artt. 1362 e ss.

pirncipale della Ge.Im, censura violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., in relazione all’art.
360, n. 3, cod. proc. civ. Il quesito che conclude il motivo è
il seguente: “dica la Corte se, in applicazione degli artt.

deve ritenersi prioritario il canone fondato sul significato
letterale delle parole, conseguendone che, ove quest’ultimo
criterio risulti sufficiente, l’operazione ermeneutica deve
considerarsi utilmente conclusa e se il giudice prima di accedere ad altri parametri di interpretazione sia tenuto a fornire una adeguata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale”.
1.2. – Entrambi i motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – vanno disattesi.
1.2.1. – Posto che si verte in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di appello pubblicata dopo il l ° marzo
2006 e prima del 4 luglio 2009, occorre, prioritariamente rispetto ogni altra valutazione, rilevare l’inammissibilità delle proposte censure di violazione di legge, per violazione
delle prescrizioni di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ. in
tema di quesito di diritto.
Ai sensi della disposizione indicata, invero, il quesito
inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione

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1362 e ss. cod. civ., nell’ambito dei criteri interpretativi,

del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico
generale – non può essere meramente generico e teorico ma deve
essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte
in grado poter comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore

bile; e, dovendosi risolvere in una sintesi logico-giuridica
della questione non avulsa dai rilevanti elementi fattuali
della fattispecie concreta, non può, dunque, consistere in una
semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero (come nel
caso di specie) nel mero interpello della Corte in ordine alla
fondatezza della propugnata petizione di principio o in una
generica istanza di decisione sull’esistenza delle violazioni
di legge denunciate nel motivo (tra le tante, Cass., Sez. V,
14 gennaio 2011, n. 774; Cass., Sez. Un., 23 settembre 2013,
n. 21672).
I quesiti di diritto con i quali l’esposizione del motivo
dell’uno e dell’altro ricorso si conclude, si risolvono nella
mera riproposizione della regola contenuta negli articoli del
codice che si assumono essere stati violati, ma senza in alcun
modo rapportarsi alla vicenda dedotta in lite e senza perciò
consentire l’individuazione effettiva, e non meramente retorica, di una quaestio iuris sulla quale il giudice di legittimità sia chiamato a pronunciarsi (Cass., Sez. Un., 18 ottobre
2012, n. 17838).

asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applica-

Del pari inammissibile è il primo motivo del ricorso del
ricorso principale là dove denuncia, altresì, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia, in quanto del tutto carente di un

circoscrivere puntualmente i limiti della censura proposta a
norma dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un.,
l ° ottobre 2007, n. 20603).
1.2.2. – Deve, comunque, considerarsi che tutte le doglianze in rassegna, anche quando lamentano la violazione di
legge, si risolvono in un’inammissibile richiesta di un sindacato in fatto.
Infatti, la Corte d’appello – dopo avere individuato che
il thema decidendum della controversia è costituito dalla verifica dell’oggetto del contratto di compravendita stipulato
da Santo Pulvirenti e Mario Russo il 30 dicembre 1972, occorrendo stabilire se il Pulvirenti vendette al Russo, fra
l’altro, una quota ideale, pari alla metà, di tutte le botteghe poste al piano terra dell’edificio pacificamente individuato tra le parti, realizzato dallo stesso Pulvirenti in Acireale, o, in alternativa, se venne venduta la quota ideale, pari
alla metà, di alcune soltanto fra tali botteghe – è giunta alla conclusione che le parti vollero convenire il trasferimento
al Russo di una quota ideale pari alla metà di entrambe le
botteghe, costituenti all’epoca, insieme alle rispettive per-

momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, che valga a

tinenze ed all’androne condominiale, il piano terra del fabbricato costruito dal Pulvirenti.
A tale conclusione la Corte territoriale è giunta in base
sia al tenore letterale delle parole utilizzate, con il chiaro

una quota ideale dell’intero piano), sia al disegno contenuto
nella scheda, che dà contezza dell’esistenza di due soli ampi
locali (oltre le pertinenze e le aree condominiali) al piano
terra del fabbricato in questione.
La Corte d’appello ha rinvenuto un elemento di conferma di
questo esito ermeneutico nel fatto che i confini vennero indicati nel contratto riferendosi ad entrambe le botteghe cumulativamente: laddove le parti, qualora avessero voluto indicare
i soli confini della bottega più piccola (cioè di quella posta
al lato est, al fianco del viale di accesso ai piani cantinati) per escludere l’altra dalla compravendita, avrebbero menzionato per il lato ovest soltanto l’androne ed il vano condominiale, ma non avrebbero potuto indicare (come invece fecero)
per il lato sud il fabbricato in corso di costruzione dello
stesso Pulvirenti e per il lato ovest sia l’androne sia la
proprietà Barbagallo, perché la sola bottega più piccola, in
sé considerata, non confinava né con il fabbricato in costruzione, né con la proprietà Barbagallo.
La Corte territoriale si è anche fatta carico, criticamente, dei rilievi e delle obiezioni articolate dalla Ge.Im. e

riferimento alla “metà indivisa del piano terra” (e quindi ad

dal Pulvirenti: rilevando che l’uso del genere femminile per
la parola “costituita” (“fa parte della presente vendita la
metà indivisa del piano terra costituita da numero due botteghe, confinanti . . .”) va ricondotto sicuramente ad un errore

clausola contiene l’espressa intenzione delle parti di attuare
il trasferimento della “metà indivisa del piano terra”; sottolineando che non ha rilievo la distinzione tra una porzione
del piano terra adibita a botteghe e zone dello stesso piano
terra adibite ad altri usi, perché l’esame del disegno contenuto nella richiamata scheda evidenzia che, all’epoca della
compravendita, tutto il piano terra dell’edificio era adibito
a botteghe o pertinenze delle stesse.
L’interpretazione cui è giunta la Corte d’appello riposa
su una ricerca e su un’indagine della comune intenzione delle
parti compiute nel rispetto dei canoni fissati dagli artt.
1362 e ss. cod. civ., tenendo conto sia del senso letterale
delle parole racchiuse nella clausola in contestazione, sia
del contesto complessivo in cui la medesima è inserita; ed è
affidata ad una motivazione congrua e logica. Come tale, essa
sfugge alle censure articolate dalla ricorrente in via principale e dal ricorrente in via incidentale, anche perché, per
sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data
dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica
interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una

materiale del redattore del contratto, perché la medesima

delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando
di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto
l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi

l’altra (Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24539; Cass.,
Sez. III, 25 settembre 2012, n. 16254; Cass., Sez. I, 17 marzo
2014, n. 6125).
2. – Con il secondo motivo del ricorso principale (violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ., nonché
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un
punto decisivo della controversia) si lamenta che dal testo
della sentenza non sia dato individuare quale sia stato, concretamente, il ragionamento logico che ha indotto la Corte a
concludere per il rigetto dell’eccezione sollevata
dall’appellante incidentale. Il quesito che accompagna il motivo è il seguente: “dica la Corte se, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 1158 cod. civ. e 360, n. 5, cod. proc.
civ., la Corte di appello può omettere di motivare adeguatamente il rigetto dell’eccezione di usucapione sollevata
dall’appellante incidentale, limitandosi la stessa a rilevare
esclusivamente una presunta carenza di prova anziché a tralasciare qualsiasi, pur necessaria, considerazione circa
l’ammissibilità dell’eccezione stessa”.

– 14 –

in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata

2.1. – Con il secondo mezzo del ricorso incidentale (omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia in
relazione alla eccezione di usucapione), il Pulvirenti pone il
quesito “se il potere di apprezzamento della indispensabilità,

345 cod. proc. civ., debba essere esercitato secondo criteri
logici che il giudice ha il dovere di indicare e se la mancanza di valutazione, esplicita o implicita, si risolva nel
vizio di omessa motivazione su una richiesta istruttoria relativa ad elementi decisivi ai fini della decisione”.
2.2. – Entrambi i motivi sono inammissibili.
La Corte d’appello ha ritenuto infondata l’eccezione di
usucapione formulata dal Pulvirenti nell’atto di appello incidentale, in quanto “sguarnita di prova”.
Le censure articolare dai ricorrenti sono del tutto generiche, perché il quesito che correda l’illustrazione dei motivi non indica né le risultanze probatorie, non valutate dalla
Corte d’appello, da cui si ricaverebbe la dimostrazione
dell’intervenuta usucapione, né i mezzi di prova, a sostegno
del possesso esclusivo del Pulvirenti per il tempo previsto
dalla legge, che il giudice del gravame avrebbe erroneamente
omesso di ammettere.
3.

Il rigetto del secondo motivo determina

l’assorbimento dell’esame del terzo motivo del ricorso incidentale (violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod.

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presupposto di ammissibilità della prova ai sensi dell’art.

civ.), con cui il Pulvirenti pone il quesito “se a norma
dell’art. 345 cod. proc. civ. (nella formulazione anteriore
alla riforma del 1990), l’eccezione riconvenzionale di usucapione possa essere proposta per la prima volta in appello”.

tivo al rigetto dell’eccezione di usucapione, avendo la Corte
espressamente dichiarato di prescindere da ogni considerazione
sulla ammissibilità della prova (“a parte ogni considerazione
circa la sua ammissibilità”).
4. – Il ricorso principale e quello incidentale sono rigettati.
Le spese – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

Condanna la società ricorrente in via principale e il

ricorrente in via incidentale al rimborso delle spese sostenute dai controricorrenti, che

liquida,

a carico di ciascuna

parte, in complessivi euro 3.700, di cui euro 3.500 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 giugno
2014.

La censura riveste infatti una ratio aggiuntiva del capo rela-

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