Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17491 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/06/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 28/06/2019), n.17491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 452-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2566/25/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA, depositata

l’08/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MOCCI

MAURO.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che aveva accolto l’appello di P.G. contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Bergamo. Quest’ultima aveva respinto l’impugnazione del contribuente contro un avviso di accertamento IRPEF, relativo all’anno 2007.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a tre formali motivi;

che, col primo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 e dell’art. 2697 c.c., del D.M 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992, giacchè la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che le risultanze del redditometro non potessero assurgere al rango di presunzioni legali;

che, col secondo, l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e del D.L. n. 78 del 2010, art. 22, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto di non attribuire rilievo, ai fini dell’accertamento sintetico, alle spese per incrementi patrimoniali sostenute precedentemente al 2009; che, col terzo, la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 e art. 2697 c.c., del D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992 e del D.L. n. 78 del 2010, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo i giudici di appello sostanzialmente negato il valore presuntivo legale dei beni-indice e senza che il contribuente avesse assolto in modo rigoroso all’onere probatorio su di lui gravante;

che l’intimato non si è costituito;

che il primo motivo è fondato;

che, in tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, la disponibilità di beni-indice integra, ai sensi del citato D.P.R., art. 2, nella versione ratione temporis vigente, una presunzione di capacità contributiva “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicchè il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perchè già sottoposta ad imposta o perchè esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Sez. 6-5, n. 17217 del 02/07/2018; Sez. 6-5, n. 17487 del 01/09/2016);

che anche il secondo motivo è fondato;

che l’Ufficio ha agito secondo il disposto del previgente D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, a mente del quale qualora l’Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla.spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, savo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro anni precedenti; che in tal senso è l’orientamento consolidato di questa Corte – ribadito di recente da Sez. 6-5, n. 12207 del 16 maggio 2017 e da Sez. 5, n. 1510 del 20 maggio 2017 (che il Collegio condivide e rispetto alla quale la sentenza richiamata dal ricorrente, Sez. 6-5, n. 7147 del 12/04/2016, costituisce precedente isolato), secondo cui la norma di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 legittima la presunzione, da parte dell’amministrazione finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal contribuente sulla base di elementi indiziarì dotati dei caratteri della gravita, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e, in particolare, per quel che in questa sede interessa, in ragione della spesa per incrementi patrimoniali, la quale si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui e stata effettuata e nei quattro precedenti;

che, in presenza di tale presupposto, la norma non impone altro onere all’amministrazione ma piuttosto facoltizza (e onera) il contribuente a offrire la prova contraria: prova testualmente riferita, nel successivo comma 6, al fatto che “il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente e costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte”, con la espressa precisazione che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”;

che, d’altronde, il D.L. n. 78 del 2010, art. 22 (convertito in L. 30 luglio 2010, n. 122), testualmente premette: “Al fine di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico, mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficiente e dotandolo di garanzie per il contribuente, anche mediante il contraddittorio, al del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto, i commi 4, 5, 6, 7 e 8 sono sostituiti”;

che, pertanto, il richiamo al predetto articolo nel caso di specie è improprio, giacchè, per gli anni d’imposta in considerazione, la CTR avrebbe dovuto prendere in esame il testo vigente “ratione temporis” tra la L. n. 413 del 1991 ed il D.L. n. 78 del 2010, in forza del quale l’Amministrazione finanziaria può presumere il reddito complessivo netto sulla base di una serie di indici di capacità contributiva sostanzialmente fondati sui consumi, tra cui la disponibilità dei beni e servizi descritti nella tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992, ed anche sulla base di ulteriori circostanze di fatto indicative di una diversa capacità contributiva (Sez. 5, n. 15289 del 21/07/2015);

che, infatti, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dal D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto redditometro, non pone alcun problema di retroattività, stante la natura procedimentale e non sanzionatoria che ne comporta, pertanto, l’applicabilità in rapporto al momento dell’accertamento (Sez. 6-5, n. 7590 del 23/03/2017; Sez. 6-5, n. 22744 del 06/11/2015);

che, nella specie la prova fornita dal contribuente appare generica, posto che la CTR si limita a motivare, senza alcuna specificazione, neppure con riguardo alla continuità del possesso dei redditi nel tempo;

che il terzo motivo resta assorbito;

che, pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza va cassata ed il giudizio rinviato alla CTR Lombardia, in diversa composizione, affinchè si attenga agli enunciati principi e si pronunzi anche con riguardo alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere nche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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