Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17491 del 26/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/07/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 26/07/2010), n.17491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 16928-2009 proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – INPS, elettivamente

domiciliato in Roma, via della Frezza n. 17, presso l’Avvocatura

centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccio

Alessandro, Nicola Valente e Clementina Pulli per procura rilasciata

in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

B.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 602/2008 della Corte d’appello di Messina,

depositata il 7/7/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19.05.2010 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

IANNELLI Domenico.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

B.S. si rivolse al giudice del lavoro di Patti per ottenere, a far data dal raggiungimento del requisito di età, la trasformazione della pensione di invalidità – in godimento in base al R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636 (e quindi antecedente alla L. 12 giugno 1984, n. 222) – in pensione di vecchiaia, ai sensi della detta L. n. 222, art. 1, comma 10.

Accolta la domanda e proposto appello dall’INPS, la Corte di appello di Messina con sentenza pubblicata il 7.07.08 rigettava l’impugnazione, rilevando che sussisteva il diritto al mutamento della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, in presenza dei prescritti requisiti anagrafici e contributivi, non esistendo nell’ordinamento previdenziale un principio ostativo in tal senso.

Pertanto, facendo applicazione della L. n. 222, art. 1, comma 10, riteneva i periodi di godimento della pensione di invalidità, nei quali non era stata prestata attività lavorativa, utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia (e non dell’importo della stessa), riconoscendo altresì un importo della pensione di vecchiaia non inferiore a quello della pensione di invalidità in godimento.

Proponeva ricorso l’INPS, deducendo: 1.- violazione del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10, della L. n. 222 del 1984, art. 1, commi 6 e 10, rilevando che la disciplina della pensione di invalidità non consente l’accredito di contributi figurativi per il periodo di fruizione di tale pensione e che a tale conclusione non può pervenirsi in virtù di interpretazione estensiva o analogica della disciplina dell’assegno ordinario di invalidità di cui alla L. n. 222, art. 1; 2.- violazione della L. n. 222, art. 1, comma 10, del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 8 in quanto, per l’inapplicabilità in via analogica dell’art. 1, comma 10 (per il quale l’importo della pensione rimane invariato solo nel caso di trasformazione dell’assegno ordinario di invalidità in pensione di vecchiaia), in mancanza di espressa previsione legislativa non può riconoscersi che il diritto ad ottenere la trasformazione in pensione di vecchiaia implichi anche il diritto a conservare l’eventuale trattamento economico più favorevole della pensione di invalidità concessa ex R.D.L. n. 636 del 1939.

Non svolgeva attività difensiva l’intimato.

Il consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori costituiti.

Il ricorso è fondato.

La L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, comma 10, prevede che “Al compimento dell’età stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia, l’assegno di invalidità si trasforma, in presenza dei requisiti di assicurazione e contribuzione, in pensione di vecchiaia.

A tal fine i periodi di godimento dell’assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa, si considerano utili ai fini del diritto e non anche della misura della pensione stessa. L’importo della pensione non potrà, comunque, essere inferiore a quello dell’assegno d’invalidità in godimento al compimento dell’età pensionabile”.

Il giudice di merito, partendo dal presupposto che deve affermarsi il diritto al mutamento della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, in presenza dei prescritti requisiti anagrafici e contributivi, non esistendo nell’ordinamento previdenziale un principio ostativo in tal senso, ha fatto applicazione di detto art. 1, comma 10, ed è pervenuto a due conclusioni: a) i periodi di godimento della pensione di invalidità nei quali non sia stata prestata attività lavorativa sono utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia (e non dell’importo della stessa); b) la pensione di vecchiaia deve essere in tal caso di importo non inferiore a quello della pensione di invalidità in godimento.

Circa l’applicabilità alla fattispecie in esame – in cui si chiede la trasformazione della pensione di invalidità concessa ex R.D.L. del 1939 in pensione di vecchia – della norma in questione, la giurisprudenza della Corte di cassazione, correggendo un precedente favorevole orientamento (Cass. 7.2.08 n. 2875), ha affermato che “la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia al compimento dell’età pensionabile è possibile ove di tale ultima pensione sussistano i requisiti propri anagrafico e contributivo, non potendo essere utilizzato, ai fini di incrementare l’anzianità contributiva, il periodo di godimento della pensione di invalidità.

Infatti,” prosegue la Corte, “deve escludersi la possibilità di applicare alla pensione di invalidità la diversa regola prevista dalla L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, in riferimento all’assegno di invalidità – secondo cui i periodi di godimento di detto assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa si considerano utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia – giacchè ostano a siffatta operazione ermeneutica la mancanza di ogni previsione, nella normativa sulla pensione di invalidità, della utilizzazione del periodo di godimento ai fini dell’incremento dell’anzianità contributiva, il carattere eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento previdenziale attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di prestazione di attività lavorativa e di versamento di contributi, nonchè le differenze esistenti tra la disciplina sulla pensione di invalidità e quella sull’assegno di invalidità, là dove quest’ultimo, segnatamente, è sottoposto a condizioni più rigorose, anche e soprattutto rispetto al trattamento dei superstiti” (Cass. 7.7.08 n. 18580, ribadita da Cass. 6.10.09 n. 21292; più in generale si veda Cass., S.u., 19.5.04 n. 9492, la quale afferma il principio generale che è consentita la conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia solo nel caso che di questa siano maturati tutti i requisiti anagrafici e contributivi).

Deve, dunque, ritenersi che erroneamente il giudice di merito abbia esteso al titolare di pensione di invalidità ottenuta nel regime antecedente, in base al R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, il beneficio contributivo previsto dalla L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, per i titolari dell’assegno di invalidità.

Consegue anche l’erroneità dell’affermazione che in caso di trasformazione, l’importo della pensione di vecchiaia non può essere minore di quello della pensione di invalidità, trattandosi anche in questo caso di previsione valida solo nel regime della trasformazione della prestazione da assegno ordinario di invalidità concesso L. n. 222, ex art. 1, comma 6 e segg. in pensione di vecchiaia.

I due motivi sono dunque fondati e il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Non facendosi questione di spettanza della trasformazione del titolo pensionistico per ragioni diverse da quelle dedotte in giudizio, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 deve provvedersi nel merito e procedersi al rigetto della domanda.

Sussistono giusti motivi, costituiti dalla sovrapposizione temporale dei principi giurisprudenziali, per procedere alle compensazione delle spese per l’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie: il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, provvedendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2010

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