Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17491 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/08/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 20/08/2020), n.17491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12719/2017 proposto da:

P.C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MONICA ROTA, e DAVIDE DARIO

BONSIGNORIO;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, ENZO MORRICO e ROBERTO ROMEI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1363/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/11/2016, R.G.N. 594/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato DAVIDE DARIO BONSIGNORIO;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI, per delega verbale avvocato ARTURO

MARESCA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1363/2016 la Corte d’appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto la domanda con la quale P.C.G. aveva chiesto la condanna di Telecom Italia s.p.a. al pagamento della somma di Euro 43.743,92 a titolo di risarcimento del danno conseguente alla mancata ottemperanza, in relazione al periodo 1.1.2012/31.5.2013, all’ordine di reintegrazione disposto con altra sentenza inter partes, divenuta definitiva, la quale, accertata la illegittimità della cessione del ramo di azienda tra la datrice di lavoro Telecom Italia s.p.a. e la cessionaria Telepost s.p.a., aveva condannato la prima alla reintegrazione del lavoratore trasferito.

1.1. La Corte di merito, in dichiarata adesione all’orientamento di legittimità espresso da Cass. n. 20422/2012, intervenuta tra le stesse parti in fattispecie identica a quella in esame tranne che per il periodo oggetto di pretesa, ha ritenuto che l’accettazione della messa in mobilità da parte di Telepost con adesione del lavoratore alle relative proposte conciliative, aveva determinato l’estinzione dell’unico rapporto di lavoro, di fatto proseguito con l’impresa cessionaria. Tanto determinava l’obbligo di restituzione di quanto nelle more percepito dal lavoratore in esecuzione della sentenza di primo grado.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P.C.G. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, censura la sentenza impugnata per avere omesso di rilevare che, come dedotto con la memoria ai sensi dell’art. 436 c.p.c., del lavoratore, l’accertamento relativo alla inidoneità della transazione intervenuta tra il P.C. e Telepost s.p.a. a determinare la risoluzione del rapporto con Telecom Italia s.p.a. era coperto da giudicato.

2. Con il secondo motivo di ricorso, deducendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., censura la sentenza impugnata per violazione del giudicato formatosi sulla questione relativa alla inidoneità della transazione intervenuta tra il P.C. e Telepost s.p.a. a determinare la risoluzione del rapporto con Telecom Italia s.p.a..

3. Con il terzo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., censura la sentenza impugnata sul rilievo che la tesi di controparte circa la efficacia estintiva della transazione scaturiva dal presupposto della esistenza di un valido trasferimento di azienda, presupposto escluso dalla sentenza della Corte di cassazione che aveva definito il giudizio per l’accertamento della illegittimità della cessione.

4. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, trattati congiuntamente per connessione, sono inammissibili per avere parte ricorrente omesso di trascrivere nella sua integralità la sentenza in relazione alla quale denunzia omesso esame (con il primo motivo) e violazione della efficacia vincolante del giudicato (con il secondo motivo).

Premesso che le censure articolate con il primo ed il secondo motivo implicano la necessità di verifica della esistenza del dedotto giudicato nei termini rappresentati dall’odierno ricorrente, si osserva che la giurisprudenza di questa Corte, da tempo, ha posto in evidenza il necessario coordinamento tra il principio secondo cui l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena, e il principio della necessaria autosufficienza del ricorso. In particolare è stato affermato che l’interpretazione di un giudicato può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass. 08/03/2018, n. 5508; Cass. 17/01/2017 n. 995, in motivazione; Cass. 31/07/2012 n. 13658, in motivazione; Cass. 13/12/2006 n. 26627; Cass. Sez. Un. 27/01/2004 n. 1416).

Tale orientamento ha inoltre rimarcato come i motivi di ricorso per cassazione fondati su un giudicato esterno debbano essere articolati con modalità conformi alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (cfr. Cass. 18/10/2011 n. 21560; Cass. 13/3/2009 n. 6184; Cass. 30/4/2010 n. 1053 10537); tanto sia sotto il profilo della riproduzione del testo integrale della sentenza passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa (cfr. Cass. 11/02/2015 n. 2617), sia sotto il profilo della specifica indicazione della sede in cui essa sarebbe rinvenibile ed esaminabile nel giudizio di legittimità (vedi Cass. n. 21560/2011 cit.).

4.1. La modalità di articolazione delle censure formulate con i motivi in esame non è conforme alla prescrizione di integrale trascrizione della sentenza passata in giudicato non potendosi ritenere il relativo onere comunque assolto dalla trascrizione solo parziale di alcuni brani della sentenza del giudice di legittimità (v. ricorso pag. 11 e sg.) inadeguati a consentire la completa cognizione, nella loro concatenazione fattuale e giuridica, delle ragioni alla base del decisum.

5. Il terzo motivo di ricorso deve essere accolto in conformità con il recente arresto di questa Corte al quale si ritiene di dare continuità.

Secondo l’indirizzo richiamato, che costituisce superamento dell’orientamento espresso dalla precedente giurisprudenza di questa Corte (orientamento che annovera, fra le altre, Cass. 25/06/2018, n. 16694 e Cass. 09/09/2014, n. 18955), in caso di accertata illegittimità della cessione di ramo d’azienda, le retribuzioni corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa, in quanto l’invalidità della cessione determina l’istaurazione di un diverso ed autonomo rapporto di lavoro, in via di mero fatto, con il cessionario (Cass. 11/11/2019 n. 29092, in motivazione; Cass. 21/10/2019 n. 26762, in motivazione; Cass. 07/08/2019, n. 21158; Cass. 03/07/2019, n. 17784).

La condivisibile argomentazione di fondo sulla quale riposa l’affermazione della natura di mero fatto del rapporto con il soggetto cessionario muove dalla considerazione che il trasferimento d’azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., che, in deroga all’art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto. Tale unicità è destinata a venire meno qualora il trasferimento sia dichiarato invalido, con la conseguenza che con il soggetto cessionario si instaura un nuovo rapporto, diverso da quello instaurato con il soggetto cedente; l’unicità del rapporto presuppone, infatti, la legittimità della vicenda traslativa regolata dall’art. 2112 c.c., sicchè accertatane l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale); in caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione) il rapporto di lavoro, quindi, non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente (cfr. da ultimo: Cass. 28/02/2019, n. 5998). Da tanto consegue che le vicende concernenti il rapporto “di fatto” instaurato con il soggetto cessionario non possono spiegare alcuna efficacia sul (parallelo) rapporto di lavoro con il cedente.

La sentenza impugnata, laddove riconosce l’efficacia estintiva del rapporto con Telecom Italia s.p.a. alla conciliazione intervenuta tra il lavoratore e la società cessionaria non è coerente con tale ricostruzione e deve essere cassata per un riesame della vicenda processuale alla luce dei principi affermati dal recente arresto giurisprudenziale.

Al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo e dichiara inammissibili il primo ed il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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