Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17490 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/06/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 28/06/2019), n.17490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 383-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 153/4/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SARDEGNA, depositata il 19/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MOCCI

MAURO.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna, che aveva accolto l’appello di T.A. contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Cagliari. Quest’ultima aveva rigettato l’impugnazione del contribuente avverso l’avviso di accertamento IRPEF, IVA e IRAP, per gli anni 2005-2006.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a due motivi;

che col primo, la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che, infatti, la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che, pur non avendo presentato il contribuente alcuna dichiarazione dei redditi, l’Ufficio non avrebbe potuto avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, tanto più che gli avvisi erano stati emessi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38, i quali avrebbero configurato una presunzione legale e non semplice;

che, col secondo, l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, giacchè la sentenza impugnata sarebbe stata apparente, non esternando le ragioni della decisione con riguardo alla valutazione degli elementi probatori addotti dal contribuente per vincere le presunzioni di legge

che l’intimato non si è costituito;

che il secondo motivo, dotato di priorità logica, è infondato;

che il sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dal Cost., art. 111, comma 6, individuabile nelle ipotesi di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Sez. 3, n. 23940 del 12/10/2017);

che, nella specie, la motivazione della sentenza impugnata non può definirsi apparente, neppure con riguardo al complesso delle giustificazioni addotte dal contribuente per giustificare il suo possesso;

che il primo motivo è fondato, per quanto di ragione;

che, nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita l’Ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo, utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, per cui incombe sul contribuente l’onere della prova contraria, che, però, non essendo tipizzata, può essere offerta con qualsiasi mezzo idoneo a dimostrare la provenienza non reddituale dell’elemento valutato. (Sez. 5, n. 7258 del 22/03/2017; Sez. 5, n. 4585 del 24/02/2017);

che è pertanto erronea l’affermazione della CTR, secondo cui “l’accertamento non è adeguatamente motivato, difettando di quel grado di gravità, precisione e concordanza degli indizi che lo devono caratterizzare per costituire base sufficiente alla imposizione tributaria induttiva”;

che, invece, il discorso si deve spostare sul contenuto e la pregnanza della prova contraria (costituita da fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa tributaria);

che, in proposito, la motivazione della CTR – per la sua palese genericità (“il T. ha adeguatamente versato in causa la giustificazione del possesso delle risorse contestate dall’Ufficio, indicandone con precisione la provenienza e fornendo la prova documentale di quanto affermato”) – non consente di verificare il rispetto dei canoni di cui al citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (Sez. 6-5, n. 7389 del 23/03/2018; Sez. 5, n. 21143 del 19/10/2016);

che, pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata ed il giudizio rinviato alla CTR Sardegna, in diversa composizione, affinchè si attenga agli enunciati principi e si pronunzi anche con riguardo alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, secondo, cassa la sentenza impugnata e Commissione Regionale della Sardegna, composizione, cui demanda di provvedere anche del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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