Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17490 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/08/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 20/08/2020), n.17490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25662/2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROBERTO ROMEI, ENZO

MORRICO, e FRANCO RAIMONDO BOCCIA;

– ricorrente –

e contro

B.M.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 13/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/05/2015, R.G.N. 901/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI per delega verbale avvocato ARTURO

MARESCA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 13/2015 la Corte di appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stato respinto il ricorso in opposizione di Telecom Italia s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da B.M.A. per il pagamento della somma di Euro 29.353,05 corrispondente all’importo delle retribuzioni maturate nel periodo 1.9.2009/31.12.2011, periodo durante il quale la società Telecom non aveva ottemperato alla sentenza inter partes che, accertata la inefficacia della cessione del ramo di azienda al quale era addetta la lavoratrice, aveva condannato la società cedente alla riassunzione in servizio della B. ed al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate.

1.1. Ha osservato la Corte di appello che la sentenza dichiarativa della illegittimità del trasferimento del ramo di azienda, sentenza nelle more divenuta definitiva, comportava il diritto della B. al risarcimento del danno subito, in ragione della inefficacia della cessione, nel periodo decorrente alla offerta delle prestazioni lavorative avvenuta mediante l’invio di plurime raccomandate alla società datrice; in questa prospettiva ha considerato irrilevanti le deduzioni della società appellante in ordine al fatto che gli effetti costitutivi della sentenza si sarebbero prodotti solo con il relativo passaggio in giudicato posto che la declaratoria di inefficacia del trasferimento di azienda, statuizione idonea a fondare la offerta delle prestazioni lavorative ed il connesso risarcimento del danno, non aveva effetti costitutivi essendosi limitata ad accertare che il rapporto con la cedente non era mai cessato. La Corte di merito ha, inoltre, puntualizzato che era infondato l’assunto della società secondo la quale la lavoratrice aveva agito per ottenere l’adempimento delle obbligazione retributiva e non per il risarcimento del danno, che non vi era prova in relazione al dedotto periodo della percezione di redditi da detrarre all’importo liquidato quale aliunde perceptum e che, quanto all’aliunde percipiendum, la eccezione della società in ordine alla esistenza del fatto colposo della B. per il danno che si sarebbe potuto evitare usando la ordinaria diligenza nel reperire una nuova occupazione lavorativa era sfornita di adeguate allegazioni non essendo sufficiente a far emergere il fatto colposo della lavoratrice la sola circostanza della mancata prestazione di attività lavorativa.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Telecom Italia s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. e dell’art. 210 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibile la istanza con la quale essa società aveva chiesto ordinarsi alla B. la produzione delle dichiarazioni dei redditi, relative al periodo oggetto della domanda risarcitoria.

2. Con il secondo motivo di ricorso, deducendo omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, e violazione dell’art. 1223 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, censura la decisione di appello per avere ritenuto che essa società Telecom avesse prospettato la detraibilità della indennità di mobilità, percepita dalla B. in un periodo che asserisce diverso da quello oggetto di causa, laddove era stata dedotta la detraibilità della indennità di disoccupazione; assume che il diritto alla detrazione del relativo importo si giustificava in ragione del titolo risarcitorio delle somme riconosciute restando irrilevante che il trattamento fosse erogato dall’INPS.

3. Il primo motivo di ricorso è da respingere.

3.1. La denuncia di violazione di legge riferita all’art. 1223 c.c., è priva di fondamento in relazione alle ragioni alla base della decisione. La sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione in diritto in contrasto con la necessità, sancita dalla disciplina dettata dall’articolo richiamato, di ristoro del danno nei limiti del pregiudizio effettivamente subito dal creditore della prestazione; anzi, la Corte di merito riconosce, in linea generale, la necessità di detrazione dell’aliunde perceptum (v. sentenza, pag. 7, primo capoverso), ma ritiene che non vi sia spazio per operare in concreto tale deduzione, in quanto, come accertato dal giudice di primo grado, nel periodo dedotto, la B. non aveva percepito redditi; tanto emergeva, infatti, dalla scheda anagrafico professionale della quale, in prime cure, era stata ordinata la produzione e le cui risultanze non erano state specificamente contestate dalla società appellante.

3.2. Analoghe considerazioni valgono in relazione alla deduzione di violazione dell’art. 210 c.p.c., non essendo dato rinvenire nella sentenza impugnata alcuna affermazione in diritto in contrasto con il presupposto della indispensabilità al quale è condizionato il potere del giudice di ordinare l’esibizione di documenti ex art. 210 c.p.c. (Cass. 16/05/2018, n. 11994; Cass. 24/01/2014, n. 84); il rigetto della istanza da parte del giudice di appello è, infatti, coerente sia con l’accertamento raggiunto sulla base del chiaro quadro probatorio delineatosi in prime cure che aveva escluso la percezione di redditi da lavoro in capo alla B., sia con la natura esplorativa del contenuto della istanza di Telecom Italia (Cass. 16/11/2010, n. 23120; Cass. 23/02/2010, n. 4375) contrastata dall’odierna ricorrente sulla base di argomentazioni del tutto generiche ed assertive.

4. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

4.1. La Corte di appello ha escluso che vi fosse spazio per la detraibilità dell’aliunde perceptum ritenendo sulla base della risultanze probatorie raggiunta la prova della mancata percezione di redditi da parte della B.. Ha, quindi, osservato che, pur dovendosi negare in linea generale che l’indennità di disoccupazione o altre analoghe indennità erogate dall’INPS riducano l’entità del danno trattandosi di somme non acquisite in via definitiva ma ripetibili in ipotesi di ripristino in via giudiziale del rapporto, il problema in concreto non si poneva in quanto la lavoratrice non aveva percepito indennità riferite allo stato di disoccupazione nel periodo in questione posto che dalla scheda anagrafico professionale risultava che la B. era stata in mobilità con sussidio in periodi antecedenti a quelli oggetto del giudizio.

4.2. La esclusione della detraibilità della indennità di disoccupazione o altre analoghe indennità erogate dall’INPS risulta, quindi, fondata dal giudice d’appello su una duplice ratio decidendi, e cioè l’assenza, in astratto, di definitività delle dette acquisizioni patrimoniali per la possibilità di ripetizione da parte dell’ente erogatore una volta venuto meno il relativo presupposto e la mancata percezione in concreto delle stesse nel periodo di riferimento.

4.3. Le doglianze articolate con il motivo in esame non sono idonee alla valida censura della prima ratio decidendi risultando la decisione sul punto conforme alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente escluso la compensatio lucri cum damno in ipotesi di trattamenti previdenziali che presuppongono lo stato di disoccupazione; una volta accertato o ricostituito il rapporto di lavoro in via giudiziale tali erogazioni non sono, infatti, sorrette da alcun titolo giustificativo e pertanto suscettibili di essere oggetto di ripetizione da parte dell’ente erogatore (Cass. 28/04/2010, n. 10164; Cass. 14/02/2005, n. 2928).

4.4. Tanto determina la definitività della statuizione sul punto risultando assorbito il rilievo di inammissibilità della prima censura, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, collegata al mancato assolvimento dei prescritti oneri in tema di reperibilità e trascrizione del documento (scheda anagrafico professionale) alla base delle doglianze (Cass. 13/11/2018, n. 29093; Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 19/08/2015, n. 16900; Cass. 12/12/2014, n. 26174; Cass. 24/10/2014, n. 22607; Cass. Sez. Un. 25/03/2010, n. 7161).

5. Sussistono i presupposti processuali per il pagamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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