Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17489 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/08/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 20/08/2020), n.17489

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20117/2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENZO MORRICO, ROBERTO

ROMEI e FRANCO RAIMONDO BOCCIA;

– ricorrente –

contro

D.M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2084/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 20/03/2015, R.G.N. 4866/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI, per delega verbale avvocato ARTURO

MARESCA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2084/2015 la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stata respinta la opposizione di Telecom Italia s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da D.M.M. per il pagamento della somma di Euro 2.153,33, oltre interessi legali e competenze del procedimento monitorio, a titolo di tredicesima mensilità afferente all’anno 2012; la pretesa monitoria era stata fondata su precedente sentenza inter partes la quale aveva accertato la inefficacia della cessione di ramo di azienda al quale era addetto il lavoratore tra Telecom Italia s.p.a. e TNT Logistic s.r.l. e condannato la società cedente al ripristino della concreta funzionalità del rapporto in mansioni compatibili con il livello di inquadramento anteriore al trasferimento.

1.1. Ha ritenuto la Corte di merito che, per il periodo successivo alla sentenza che aveva dichiarato la inefficacia della cessione con ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro, la somma richiesta aveva natura retributiva e non risarcitoria e che come tale risultava insensibile ad eventuali guadagni ottenuti da terzi anche sub specie di retribuzioni corrisposte dal cessionario in qualità di datore di lavoro di fatto ex art. 2126 c.c.; la sentenza dichiarativa della inefficacia della cessione costituiva prova scritta idonea a fondare la emissione del decreto ingiuntivo, non richiedendosi anche la sussistenza di un titolo esecutivo.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Telecom Italia s.p.a. sulla base di tre motivi. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso, illustrato con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., omessa pronunzia sul secondo motivo formulato con il proprio atto di appello; con tale motivo aveva censurato la decisione di primo grado per avere omesso di considerare che il lavoratore aveva accettato la messa in mobilità da parte della cessionaria e percepito la relativa indennità e che tale accettazione costituiva riconoscimento in capo alla cessionaria dell’unico rapporto di lavoro.

2. Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1223,1256,1453 e 1463 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che la messa in mora del creditore e la conseguente impossibilità sopravvenuta della prestazione per fatto imputabile al creditore determinassero il diritto alla controprestazione e cioè, nello specifico, il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate, con esclusione dell’applicabilità dei principi in tema di compensatio lucri cum damno e, in particolare, di aliunde perceptum.

3. Con il terzo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso l’esame del terzo motivo di appello. Con tale motivo la sentenza di primo grado era stata censurata per non avere detratto dalle somme riconosciute dovute a titolo di retribuzione l’aliunde perceptum ed in particolare le indennità percepite dal lavoratore in relazione allo stato di disoccupazione. Lamenta, inoltre, la mancata considerazione dell’aliunde percipiendum in relazione alla possibilità per il dipendente, usando la ordinaria diligenza, di reperire una diversa occupazione lavorativa.

4. I motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono infondati risultando la sentenza impugnata coerente con i recenti approdi della giurisprudenza di legittimità in tema di diritto del lavoratore, il cui rapporto di lavoro sia stato trasferito sulla base di cessione di azienda ex art. 2112 c.c., dichiarata invalida, alle retribuzioni nei confronti del soggetto cedente.

Secondo l’indirizzo richiamato, che costituisce superamento dell’orientamento espresso dalla precedente giurisprudenza di questa Corte (orientamento che annovera, fra le altre, Cass. 25/06/2018, n. 16694 e Cass. 09/09/2014, n. 18955), in caso di accertata illegittimità della cessione di ramo d’azienda, le retribuzioni corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa, in quanto l’invalidità della cessione determina l’istaurazione di un diverso ed autonomo rapporto di lavoro, in via di mero fatto, con il cessionario (Cass. 11/11/2019 n. 29092, in motivazione; Cass. 21/10/2019 n. 26762, in motivazione; Cass. 07/08/2019, n. 21158; Cass. 03/07/2019, n. 17784).

4.1. La condivisibile argomentazione di fondo sulla quale riposa l’affermazione della natura di mero fatto del rapporto con il soggetto cessionario muove dalla considerazione che il trasferimento d’azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., che, in deroga all’art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto. Tale unicità è destinata a venire meno qualora il trasferimento sia dichiarato invalido, con la conseguenza che con il soggetto cessionario si instaura un nuovo rapporto, diverso da quello instaurato con il soggetto cedente.

Da tanto deriva che le vicende concernenti il rapporto “di fatto” instaurato con il soggetto cessionario non possono spiegare alcuna efficacia sul (parallelo) rapporto di lavoro con il cedente; nello specifico la risoluzione del rapporto di fatto con il cessionario non determina l’automatica estinzione anche del rapporto con il cedente; deriva, inoltre, che il pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente a detto accertamento ed alla messa a disposizione delle energie lavorative in favore dell’alienante da parte del lavoratore, non produce effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa (Cass. 17784/2019 cit., Cass. 21158/2019 cit.).

In particolare, Cass. 21158/2019 cit., alla quale si rinvia per l’approfondimento sistematico, ha affermato che la duplicità di rapporti di lavoro conseguenti a un trasferimento di azienda non conforme al parametro legale, comporta che “accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve ne sia un’altra giuridicamente resa in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato, non meno rilevante sul piano del diritto”. E’ proprio il persistere della rilevanza giuridica del rapporto con il soggetto datore di lavoro cedente giustifica il riconoscimento del diritto del dipendente alla retribuzione e ciò tanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti (v., Cass. 23/07/o 2008, n. 20316; Cass. 23/11/2006, n. 24886). Una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di questi rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva. Nè tale prestazione lavorativa in fatto resa per un terzo esclude una valida offerta di prestazione all’originario datore (v. Cass. 08/04/2019, n. 9747), considerato che, una volta che l’impresa cedente, costituita in mora, dovesse manifestare la volontà di accettare la prestazione, il lavoratore potrebbe scegliere di rendere la prestazione non più soltanto giuridicamente, ma anche effettivamente, in favore di essa e, ove ciò non facesse, verrebbero automaticamente meno gli effetti della mora credendi.

Da tutto quanto ora osservato scaturisce che una volta giudizialmente accertata la insussistenza dei presupposti per il trasferimento del ramo d’azienda, ove vi sia messa in mora operata del lavoratore, vi è l’obbligo dell’impresa cedente di pagare la retribuzione e non di risarcire un danno; non vi è norma di diritto positivo che consenta di ritenere che tale obbligazione pecuniaria possa considerarsi, in tutto o in parte, estinta per il pagamento della retribuzione da parte dell’impresa originaria destinataria della cessione.

4.2. Venendo ora all’esame dei singoli motivi di ricorso è da escludere che il giudice di appello sia incorso nella omessa pronunzia denunziata con il primo motivo di ricorso per cassazione.

La sentenza impugnata, infatti, ribadito che il lavoratore aveva agito per le retribuzioni e non per il risarcimento del danno, ha affermato la perdurante vigenza del rapporto con Telecom, quale effetto della illegittimità del trasferimento ex art. 2112 c.c. dichiarata giudizialmente; la sussistenza del vincolo di corrispettività in relazione al rapporto con la detta società è stata collegata alla cessazione del rapporto con la cessionaria TNT Logistic s.r.l., della quale il lavoratore aveva dato notizia a Telecom.

Alla luce di tali affermazioni, incompatibili con la possibilità di riconoscere rilievo alle vicende relative al rapporto di fatto con la cessionaria, deve ritenersi l’implicito rigetto del primo motivo di appello formulato dalla società e la insussistenza quindi, della denunziata violazione dell’art. 112 c.p.c..

4.3. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso privo di pregio risultando la sentenza impugnata coerente con i recenti approdi del giudice di legittimità ai quali si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per l’approfondimento sistematico della questione relativa alle conseguenze della mora credendi del datore di lavoro in presenza di prestazioni, quale quella del lavoratore, avente ad oggetto un facere infungibile (v. in particolare Cass. n. 21158/ 2019 cit.).

4.4. Il terzo motivo è infondato dovendosi escludere che il giudice di appello sia incorso nella omessa pronunzia sul motivo di gravame relativo alla detrabilità dell’aliunde perceptum e dell’aliunde percipiendum. Tale motivo risulta, infatti, implicitamente disatteso dal riconoscimento del titolo retributivo e non risarcitorio delle somme attribuite, titolo che preclude la considerazione di eventuali ulteriori redditi del lavoratore al fine della riduzione dell’obbligo retributivo a carico della parte datoriale; tanto assorbe la ulteriore considerazione che, in ogni caso, la invocata detraibilità delle somme percepite a titolo di indennità di disoccupazione, in quanto trattamento di natura previdenziale, risulterebbe comunque preclusa; come chiarito da questa Corte, infatti, in ipotesi di nullità della cessione di azienda o di ramo di essa, le somme percepite dal lavoratore a titolo d’indennità di mobilità non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto per il mancato ripristino del rapporto ad opera del cedente, indipendentemente dalla qualificazione – risarcitoria o retributiva – del trattamento economico dovuto al lavoratore illegittimamente trasferito, poichè l’indennità opera su un piano diverso rispetto agli incrementi patrimoniali derivanti al lavoratore dall’essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall’obbligo di prestare la sua attività, dando luogo la sua eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale, ripetibile nei limiti di legge (Cass. 18/09/2019, n. 23306).

5. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto con compensazione tra le parti delle spese del giudizio giustificata dall’essere la soluzione adottata frutto della rivisitazione del precedente indirizzo giurisprudenziale sulla questione.

6. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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