Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17488 del 22/08/2011

Cassazione civile sez. I, 22/08/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 22/08/2011), n.17448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30680/2005 proposto da:

FALLIMENTO ARCOPEL S.R.L., in persona del Curatore Dott. M.

S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99,

presso l’avvocato PUNZI Carmine, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LEONZI PIERFRANCO, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

PERLETTI S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 14 – SC.A INT. 4, presso l’avvocato PAFUNDI Gabriele,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FELLI ENRICO,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 685/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 20/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

07/04/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato GABRIELE PAFUNDI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con istanza datata 2/7/1999, la Perletti s.p.a. chiedeva al G.D. del Fallimento della Arcopel s.r.l. di essere ammessa al passivo per la differenza di L. 27.818.259, previa compensazione tra il proprio credito per forniture di merci di L. 43.178.940, maturato nel periodo agosto 1997 – marzo 1998, ed il credito della Arcopel, per forniture di merce e servizi eseguiti a favore della Perletti, per il totale di L. 15.360.681. Il G.D. ammetteva la Perletti al passivo per l’importo come richiesto.

Con atto di citazione del 17 gennaio 2001, la Curatela del Fallimento Arcopel s.r.l. agiva nei confronti della Perletti, chiedendo la revocatoria, L. Fall., ex art. 67, n. 2, dei pagamenti pari a L. 15.360.681, in quanto effettuati con mezzi anormali.

Il Tribunale accoglieva la domanda, rilevando che l’ammissione al passivo della Perletti come da domanda non determinava alcuna preclusione da giudicato sulla successiva revocatoria, della quale riteneva nel merito la sussistenza degli elementi costitutivi.

La pronuncia veniva impugnata dalla Perletti; la Curatela si costituiva, chiedendo il rigetto dell’appello.

La Corte d’appello, con sentenza depositata il 20/7/2005, in accoglimento dell’appello, ha respinto le domande proposte dal Fallimento Arcopel s.r.l., condannando lo stesso alla rifusione alla Perletti delle spese dei due gradi del giudizio.

La Corte territoriale ha ritenuto fondata la prima censura avanzata dall’appellante, applicando il principio generale, secondo il quale “la preclusione dell’azione revocatoria dopo l’ammissione al passivo del credito può ritenersi in tutti quei casi nei quali l’azione stessa, incidendo direttamente sull’atto dal quale il credito ammesso deriva, si riflette sulla formazione della massa passiva e, quindi, interferisce direttamente sulla verifica dei crediti ammessi, ma va negata nell’ipotesi in cui i suoi effetti, anche se non limitati alla mera integrazione dell’attivo, non importano, comunque, esclusione in tutto o in parte del credito ammesso e non incidono, quindi, sul provvedimento di ammissione nella sua esistenza formale e nel suo elemento contenutistico. La revoca di un pagamento parziale, cioè, lascia del tutto integro il provvedimento di ammissione del giudice delegato” (così Cass. 3236/1975, S.U. 1333/1976, Cass. 2848/1988, Cass. 6237/1991).

Applicando tale principio alla compensazione, la Corte del merito ha rilevato che il creditore, che sia a sua volta debitore del fallito, e che voglia far valere la compensazione L. Fall., ex art. 56, ha la facoltà di chiedere al Giudice delegato di pronunciarsi sulla compensazione e quindi di essere ammesso al passivo per la differenza; che avendo nel caso il creditore chiesto al Giudice delegato di essere ammesso per la differenza tra il suo credito e quello della società fallita, sottoponendo espressamente la questione della compensazione ed essendo stata la domanda ammessa come da richiesta, sul punto si era formato giudicato endofallimentare, per cui la successiva revocatoria, diretta alla declaratoria di inefficacia delle forniture effettuate dalla Arcopel a favore della Perletti, proposta dal Curatore, doveva ritenersi inammissibile, in quanto il Giudice delegato ne aveva riconosciuto la legittimità, compensando i due debiti.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione il Fallimento Arcopel, sulla base di due motivi; resiste con controricorso la Perletti.

Il Fallimento ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo, il Fallimento denuncia la violazione del combinato disposto dell’art. 112 c.p.c., L. Fall., artt. 94 e 71, pur nella consapevolezza dell’orientamento contrario, ma confortato dalla sentenza del S.C. 2910/1979.

Secondo il ricorrente, il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e la natura giudiziale della domanda di insinuazione al passivo, non consentono, a fronte del petitum della domanda stessa, l’ammissione per un importo superiore a quello preteso dalla parte sulla base di una compensazione, che per di più, esula dall’ambito conoscitivo proprio dell’accertamento del passivo fallimentare.

Inoltre, ad ammettere la sussistenza del giudicato endofallimentare e l’obbligo di ammettere per intero il credito, ove si negasse la compensazione, ne conseguirebbe l’illogica possibilità di una successiva ammissione del convenuto in revocatoria anche ai sensi della L. Fall., art. 71: in pratica, il creditore del fallito, ammesso per l’intero, potrebbe essere ammesso anche per l’importo revocato, L. Fall., ex art. 71.

1.2.- Con il secondo motivo, prospettato dalla parte come il principale, il Fallimento denuncia violazione delle norme di diritto, di cui alla L. Fall., artt. 95, 56 e 67, nonchè, connesso con la prima censura, vizio di omessa, insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.

L’erroneità, in tesi, della pronuncia impugnata, è riscontrabile alla stregua del rilievo che l’azione revocatoria non era stata promossa nei confronti del credito vantato dalla Perletti verso la fallita Arcopel, ma, quale “pagamento con mezzi non normali”, nei confronti della prestazione di servizi compiuta dal fallito in favore del proprio creditore, sicchè la avvenuta compensazione era stata addirittura presupposta dal Curatore, laddove aveva posto a fondamento dell’azione l’atto solutorio in tal modo posto in essere.

Il Fallimento, ad ulteriore conferma dell’errore di inquadramento in cui sarebbe incorsa la Corte bresciana, richiama il passo di cui a pagina 7 della sentenza, ove si afferma che nell’ipotesi di ammissione della sola differenza insinuata dal creditore istante, il curatore “non può più chiedere il pagamento del credito spettante al fallito”: nel caso, il Curatore non ha affatto chiesto il pagamento di un credito spettante al fallito, ma ha azionato la revocatoria, deducendo la natura non normale del pagamento, effettuato mediante la fornitura di merci e di servizi compiuta da Arcopel.

Il Fallimento non contesta la tesi giuridica accolta dalla Corte del merito, ma bensì che tale tesi sia pertinente al caso di specie, atteso che “proprio l’estinzione per effetto della compensazione del credito vantato dal fallito ha formato oggetto della specifica prospettazione dell’azione revocatoria proposta avverso l’atto solutorio in tal modo posto in essere”.

Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata determina il risultato concreto della compensabilità tra il credito della massa azionato dal Curatore ed il credito della Perletti verso il fallito, in violazione della L. Fall., art. 56;

inoltre, la revocatoria non ha interessato il tema dell’esistenza, validità, efficacia del titolo negoziale dal quale è derivato il credito del fallito opposto in compensazione, la cui esistenza è stata invero postulata, onde far valere l’inefficacia del sottostante atto solutorio.

2.1.- Il primo motivo, nelle due censure fatte valere, va disatteso.

I due profili di vizio di violazione di legge prospettati si prestano all’immediato rilievo di inconferenza: quanto alla prima censura, anche ad ammettere la fondatezza della tesi del ricorrente, non si vede come potrebbe essere la sentenza impugnata viziata da ultrapetizione, che se mai potrebbe essere configurabile in relazione al provvedimento di ammissione al passivo; quanto alla seconda censura, la stessa non è attinente al caso di specie, essendo stata la Perletti ammessa al passivo per la differenza e non per l’intero, e, a ritenere il giudicato endofallimentare, e quindi ammessa dal G.D. la compensazione, non si porrebbe la questione dell’ammissione al passivo per l’intero credito e per quello revocato, L. Fall., ex art. 71.

2.2.- Il secondo motivo del ricorso, nelle prospettazioni di vizio di violazione di legge e di motivazione, è infondato.

L’estinzione delle reciproche posizioni di dare ed avere si è verificata successivamente all’apertura della procedura concorsuale, in conseguenza della dichiarazione contenuta nella domanda di ammissione e dell’accoglimento della stessa; la compensazione L. Fall., ex art. 56, si è verificata tra il credito vantato dalla Perletti nei confronti di Arcopel, esistente alla data del fallimento, ed il minor debito di cui alle fatture del 1998 e 1999, nè è stato opposto in compensazione il debito di restituzione nei confronti della massa derivante dalla revocatoria,come intenderebbe affermare la difesa del Fallimento. In materia, è intervenuta la recentissima sentenza delle Sezioni unite, 16508/2010, che ha ribadito il principio costantemente (quanto meno implicitamente) affermato, “per il quale il creditore che sia anche debitore del fallito per somma inferiore al proprio credito è legittimato a sollevare l’eccezione di compensazione L. Fall., ex art. 56, in sede di verifica dello stato passivo, ed a richiedere l’ammissione al passivo per la somma corrispondente al conguaglio tra le rispettive posizioni di credito-debito (Cass. 21 ottobre 1998, n. 10408, Cass. 20 marzo 1991, n. 3006, Cass. 13 marzo 1982, n. 1634), sia in ragione della natura legale e non giudiziale della compensazione prevista dalla L. Fall., art. 56, che per evidenti motivi di economia processuale”; il Giudice delegato può alternativamente accogliere o respingere la compensazione, e, pur non essendovi univocità di indirizzo in quest’ultimo caso, in ordine all’ammissibilità dell’intero importo originario (Cass. 3006/1991, 882/1975) ovvero soltanto per il residuo, in conformità della somma indicata nell’istanza di ammissione(Cass. 2910/79), la posizione del creditore è adeguatamente tutelata, potendo proporre nel caso di rigetto l’opposizione L. Fall., ex art. 98 (Cass. 10408/1998).

Le Sezioni Unite sono pervenute ad affermare il seguente principio di diritto:”quando il creditore richiede l’ammissione al passivo per un importo inferiore a quello originario deducendo la compensazione, l’esame del giudice delegato investe il titolo posto a fondamento della pretesa, la sua validità, la sua efficacia e la sua consistenza. Ne consegue che il provvedimento di ammissione del credito residuo nei termini richiesti comporta implicitamente il riconoscimento della compensazione quale causa parzialmente estintiva della pretesa, riconoscimento che determina una preclusione endofallimentare, che opera in ogni ulteriore eventuale giudizio promosso per impugnare, sotto i sopra indicati profili dell’esistenza, validità, efficacia, consistenza, il titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione”.

Ne consegue che, a seguito dell’ammissione al passivo del credito Perletti per il saldo residuo derivante dalla compensazione L. Fall., ex art. 56, si è determinata una preclusione endofallimentare in relazione al titolo negoziale da cui è derivato il credito del fallito, per cui il Curatore non poteva più agire per la revoca delle operazioni che avevano dato origine a detto credito, deducendo la natura anormale del pagamento effettuato dal fallito mediante la fornitura di merci e servizi, bensì avrebbe dovuto sollevare detta questione in sede di verifica dei crediti.

In sede di memoria ex art. 378 c.p.c., il Fallimento argomenta il proprio dissenso nei confronti della sentenza delle Sezioni Unite, principalmente in relazione alle argomentazioni di cui al par. 4 a), e successivi, rilevando che la Corte non avrebbe affrontato espressamente il tema della compatibilita di un giudicato endofallimentare (in realtà, avente efficacia esterna) che nella vigenza della normativa antecedente, si sarebbe formato nonostante la pacifica impossibilità di qualificare il Curatore, in sede di accertamento del credito, parte processuale, essendo invece lo stesso ausiliario “collaboratore” del Giudice delegato, come confermato dalla L. Fall., art. 98, che, ante riforma, prevedeva la legittimazione del solo creditore all’opposizione allo stato passivo, laddove il vigente art. 98 contempla, coerentemente con il nuovo impianto, il Curatore tra i soggetti legittimati all’impugnazione.

Secondo il Fallimento, la pronuncia in oggetto avrebbe introdotto nel sistema processuale un’ipotesi di formazione del giudicato avente efficacia esterna, derivante dal provvedimento reso in sede di accertamento sommario, atto a pregiudicare le ragioni di una parte processuale che, all’epoca della formazione del giudicato, non era presente e costituita nel giudizio; nè infine il ricorrente condivide il passo della sentenza, ove si afferma che gli effetti pregiudizievoli per il Fallimento, per la riscontrata preclusione, “saranno eventualmente addebitabili al curatore, ove ne ricorrano le condizioni e i presupposti, per la mancata formulazione di eccezioni idonee a contrastare l’assunto relativo all’esistenza della compensazione del ricorrente”, rilevando che il Curatore, prima della riforma, non formulava eccezioni, non era parte, da cui la difficoltà di ipotizzare la responsabilità dello stesso per non avere sollevato eccezioni, rilevabili d’ufficio in relazione a questione di diritto che il Giudice delegato era tenuto a conoscere ed aveva erroneamente applicato.

A fronte di dette critiche, va rilevato che il Curatore, nella disciplina ante riforma, che qui interessa, in sede di formazione dello stato passivo, può sollevare eccezioni e contestazioni, come per le istanze di ammissione tardiva (sul punto, vedi tra le altre, le pronunce 3013/08, 11096/98, 6937/05), ed è parte processuale, in quanto rappresenta i creditori ammessi al concorso;tale rilievo è di per sè idoneo a contrastare il passaggio nodale delle argomentazioni prospettate dal Fallimento in sede di memoria.

3.1.- Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo,seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il Fallimento ricorrente a rifondere alla Perletti s.p.a. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2011

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