Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17486 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. III, 23/08/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 23/08/2011), n.17486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA NICOLA FABRIZI 11 A, presso lo studio dell’avvocato

D’ALESSANDRO MARIA, rappresentata e difesa dall’avvocato CONTE SILVIA

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ORTI DELLA FARNESINA 126, presso lo, studio dell’avvocato

STELLA RICHTER GIORGIO, che lo rappresenta e difende giusta mandato

in calce al controricorso;

– controricorrante –

avverso la sentenza n. 3156/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

sezione Seconda civile, emessa l’124/10/2007, depositata il

28/11/2007; R.G.N. 4856/C/2005.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato CONTE SILVIA;

udito l’Avvocato STELLA RICHTER GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per accoglimento p.q.r..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28/11/2007 la Corte d’Appello di Milano respingeva i gravami interposti dai sigg.ri Z.S. e M.R. S. nei confronti della pronunzia Trib. Sondrio 20/1/2005 di rigetto delle domande dai medesimi tra loro reciprocamente proposte, rispettivamente, di risarcimento dei danni asseritamente sofferti in conseguenza di calunniosa denuncia di tentativo di uxoricidio sporta nei suoi confronti (lo Z.), e di lite temerara ex art. 96 c.p.c. (la S.).

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la S. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 7 motivi.

Resiste con controricorso lo Z., che ha presentato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2712, 2733 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e degli artt. 112, 132, 118 disp. att. c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè 2insufficiente e illogica motivazione” su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 3 motivo la ricorrente denunzia contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 4 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132, 118 disp. att. c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè omessa motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 5 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 368, 56, 575, 485, 640 c.p., 2043, 2059 c.c., art. 96 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 6 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 89 c.p.c, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; nonchè omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 7 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, 96 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; nonchè “vizio di motivazione” su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso va dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, art. 366 bis e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366 bis c.p.c. dispone che, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 “e art. 4 c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia -tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel caso risultano i formulati quesiti non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

Essi si sostanziano invero in richieste prive (quantomeno) di decisività, non appalesandosi idonei a consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr.

Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un.,- 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Con riferimento in particolare al 1 motivo, va ulteriormente sottolineato che giusta principio consolidato in giurisprudenza di legittimità, la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (v. Cass., 27/7/2006, n. 1714, e, conformemente, Cass., 28/10/2009, n. 22801. V. altresì Cass., 2/8/2001, n. 10569 e Cass., 20/11/2009, n. 24542).

L’indicazione in sentenza, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., delle disposizioni di legge applicate, non è prescritta a pena di nullità e, pertanto, non sono ravvisabili nè il vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè il vizio di violazione di legge ai sensi del comma 1, n. 3, della stessa norma qualora nella sentenza impugnata non sia stato operato l’espresso richiamo alla specifica disciplina legale posta a fondamento della statuizione, atteso che, in base alla “ratio” dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, è essenziale che dal complesso delle argomentazioni svolte dal giudice emergano gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della decisione adottata (v. Cass., 24/11/2008, n. 27890).

In altri termini, la valutazione delle prove, e con essa il controllo sulla loro attendibilità e concludenza, e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, sono rimesse al giudice del merito e sono sindacabili in cassazione solo sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta nell’attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall’istruttoria piuttosto che ad un altro. In particolare, ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo, invece, sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'”iter” logico seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata. In tema di valutazione delle prove, difatti, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia delle prove stesse, nel senso che (fuori dai casi di prova legale) esse, anche se a carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice di merito per essere poste a fondamento del suo convincimento (v.

Cass., 28/6/2006, n. 14972).

Si è per altro verso osservato che in tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento il convincimento del giudice sulla verità di un fatto può basarsi anche su una presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se dal medesimo ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria (v. Cass., 18/4/2007, n. 9245).

Nè può d’altro canto sottacersi che la ricorrente non ha al riguardo denunziato violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con particolare riferimento al 6 motivo va infine richiamato il principio affermato da questa Corte in base al quale ove nel giudizio d’appello una domanda o un’eccezione della quale sia stata dichiarata l’inammissibilità venga anche esaminata nel merito, per affermarne l’infondatezza, tale esame costituisce attività giurisdizionale svolta in carenza di potere. Pertanto la valutazione di infondatezza irritualmente compiuta integra una motivazione ad abundantiam di per sè insuscettibile di arrecare nocumento alla parte, la quale, una volta dichiarata soccombente per effetto della pronunziata inammissibilità della domanda o dell’eccezione proposta, è priva di interesse a censurare in sede di legittimità la sentenza anche con riferimento al capo nella parte in cui ha irritualmente esaminato nel merito la sua pretesa (v. Cass., 16/8/2006, n. 18170).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a principio consolidato che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che, rispetto alla mera illustrazione del motivo, l’art. 366 bis c.p.c. impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso i motivi con i quali si denunzia vizio di motivazione non recano invero la “chiara indicazione” -nei termini più sopra indicati- delle relative “ragioni”, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della gravata decisione, rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le ragioni della decisione costituiscono peraltro giusti motivi per disporsi la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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