Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17486 del 04/07/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 17486 Anno 2018
Presidente: SCHIRO’ STEFANO
Relatore: TRICOMI LAURA

sul ricorso 8711/2014 proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore Centrale pro
tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n.12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope
legis;
-ricorrente contro

Data pubblicazione: 04/07/2018

Scognamiglio Aniello, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso
la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso
dall’avvocato Buonanno Roberto, giusta procura in calce al
controricorso;
-controricorrente –

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli;
– intimatoavverso la sentenza n. 10508/2013 del Tribunale di NAPOLI – sede
distaccata di POZZUOLI, depositata il 24/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21/03/2018 dal cons. TRICOMI LAURA;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale CERONI FRANCESCA che ha chiesto alla Corte
di Cassazione, riunita in camera di consiglio, di disporre il rinvio della
trattazione del ricorso R.G. n. 8711/14 in pubblica udienza, nella
quale si riserva di rassegnare motivate conclusioni orali e, in
subordine, l’accoglimento del ricorso p.q.r. In ulteriore subordine,
rimettere gli atti al Primo Presidente perché assegni eventualmente il
ricorso alle Sezioni Unite, affinché individuino il criterio da utilizzare
per la scelta del rito cui destinare la controversia.

R.G.N. 8711/2014
Cons. est. Laura Tricorni

contro

RITENUTO CHE:
In data 15/04/2013, Aniello Scognamiglio, con ricorso al Tribunale di
Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, proposto avverso la Agenzia delle
entrate e la Direzione Provinciale 1- Napoli, chiedeva che venisse
riconosciuta la gravità dei pregiudizi e dei danni della privacy che potevano
derivargli dall’applicazione del D.M. del Ministero dell’Economia e delle

attuazione del d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, istitutivo del c.d..
redditometro, alla luce del d.lgs. 30 giugno 2003, n.196, e che venisse
ordinato all’Agenzia di astenersi dal raccogliere dati ed informazioni, nonché
di monitorare le spese effettuate o effettuande da esso ricorrente,
omettendo in particolare di archiviare e mantenere l’archivio dei relativi
dati; chiedeva altresì che venisse ordinato all’Agenzia di omettere le
predette attività nonché – ove le stesse fossero già state poste in essere di distruggere e cancellare i dati acquisisti e l’archivio degli stessi. L’Agenzia
resisteva controdeducendo; si costituiva quale interventore l’Ordine degli
avvocati di Napoli che rassegnava conclusioni analoghe a quelle del
ricorrente.
Il Tribunale di Napoli, con la pronuncia impugnata in epigrafe indicata,
accoglieva il ricorso e, per l’effetto, ordinava all’Agenzia delle entrate di non
intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione o comunque attività di
conoscenza e utilizzo dei dati relativi a quanto previsto dall’art.38, commi 4
e 5, del d.P.R. n.600/1973 e di cessare, ove, iniziata, ogni attività di
accesso, analisi, raccolta dati di ogni genere relativi alla posizione del
ricorrente; ordinava altresì all’Agenzia di comunicare al ricorrente se era in
atto un’attività di raccolta dati nei suoi confronti ai fini dell’applicazione del
c.d. redditometro e, in caso positivo, di distruggere tutti i relativi archivi
formatisi successivamente al 21/12/2012 e previa specifica informazione a
parte del ricorrente.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione con sei
mezzi, corredato da memoria ex art.378 cod. proc. civ.; ha replicato con
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Cons. est. Laura Tricorni

Finanze 24 dicembre 2012 (in G.U. n.3 del 04/01/2013) emesso in

controricorso il contribuente, mentre il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Napoli è rimasto intimato.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi
degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.
Il sostituto Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte.

CONSIDERATO CHE:

disporre il rinvio della trattazione del ricorso in pubblica udienza in ragione
della portata innovativa delle questioni sottese, concernenti la possibilità di
ricorrere innanzi al giudice ordinario per ottenere una tutela preventiva del
proprio diritto alla tutela dei dati personali; in subordine ha chiesto
l’accoglimento del ricorso e, in ulteriore subordine, la rimessione della
controversia al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni
Unite, in merito all’individuazione del criterio da utilizzare per la scelta del
rito cui destinare la controversia.
1.2. Le richieste di remissione alla pubblica udienza ed al Primo
Presidente vanno disattese.
1.3. Quanto alla prima, ritiene la Corte di dare seguito al condiviso
principio secondo il quale «Non sussiste alcun obbligo, né vi sono ragioni di
opportunità, perché, all’esito dell’adunanza in camera di consiglio, il collegio
rimetta la causa che preveda la trattazione di questioni rilevanti o,
comunque, prive di precedenti in pubblica udienza, mediante una sorta di
mutamento del rito di cui all’art. 380-bis.1 cod. proc. civ. Invero, una
simile soluzione sarebbe priva di costrutto, essendo la trattazione con il rito
camerale pienamente rispettosa sia del diritto di difesa delle parti, le quali,
tempestivamente avvisate entro un termine adeguato del giorno fissato per
l’adunanza, possono esporre compiutamente i propri assunti, sia del
principio del contraddittorio, anche nei confronti del P.G., sulle cui
conclusioni è sempre consentito svolgere osservazioni scritte.»

(Cass. n.

8869 del 05/04/2017): questo principio, che non prevede l’obbligo, ma
neppure vieta, nei casi indicati la remissione alla pubblica udienza, è in linea
con il disposto dell’art. 375, ultimo comma, cod. proc. civ. che parla di
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Cons. est. Laura Tricorni

1.1. Nel rassegnare le conclusioni la Procura Generale ha chiesto di

”opportunità” della trattazione in pubblica udienza, che nel caso di specie
non ricorre.
Tale conclusione, peraltro, non contrasta in modo insuperabile con altri
orientamenti espressi da questa Corte che hanno valorizzato, appunto, la
possibilità di un mutamento del rito a favore della pubblica udienza e non la
sua obbligatorietà, sottolineando che tale opzione non era ostacolata dalla

n. 5533 del 06/03/2017; Cass. n. 19115 del 01/08/2017).
1.4. In mancanza di un sostanziale contrasto e non ravvisandosi una
questione di massima di particolare importanza, quanto alla seconda
richiesta, va escluso anche che vi sia una plausibile ragione per rimettere la
questione e il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle
Sezioni Unite.
1.5. Il ricorso può essere pertanto trattato in adunanza camerale,
risultando comunque garantito il pieno contraddittorio su tutte le
problematiche toccate dall’oggetto della decisione impugnata e dal
contenuto del ricorso e del controricorso.
2.1. Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità
del ricorso proposte dal controricorrente.
2.2. Questa eccezioni vanno tutte disattese.
Per quanto riguarda la prima e la seconda eccezione, va osservato che il
controricorrente, lamentando che il ricorso non si sarebbe confrontato con
la giurisprudenza di legittimità e con le regole giurisprudenziali
sovranazionali in contrasto con il decisum impugnato, non solo non ha
sostanziato di specifici riferimenti tale doglianza, limitandosi a frasi
assertive prive di argomentazioni circa la concreta rilevanza, ma ha
trascurato che la questione affrontata nel giudizio risulta sostanzialmente
nuova.
Va quindi disattesa la terza eccezione, in quanto ai sensi dell’arti°,
comma 6, del d.lgs. 10 settembre 2011, n. 150, per tutte le controversie in
materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione
dei dati personali è previsto un solo grado del giudizio ordinario di merito,
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assegnazione della causa alle sezioni ordinarie in camera di consiglio (Cass.

con la conseguenza che la sentenza emessa è direttamente ricorribile in
cassazione.
Anche le eccezioni quarta, con la quale si denuncia una difettosa
formulazione della rubrica dei motivi del ricorso, quinta, riferita alla
mancanza di un elenco dettagliato dei documenti su cui si fonda il ricorso, e
sesta, concernente l’inesatto – a detta del controricorrente – richiamo

motivi stessi ai vizi denunciati, sono da respingere. Invero la non puntuale
formulazione della rubrica, così come la sovrabbondante indicazione di
riferimenti normativi e la inesatta indicazione del vizio denunciato non
determinano di per sé l’inammissibilità del ricorso ove la Corte – come nel
caso di specie, alla luce della complessa ed articolata esposizione dei motivi
– possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio
denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal
ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale
della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo
l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e
qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 14026
del 03/08/2012), così come non costituisce condizione necessaria la
corretta menzione dell’ipotesi appropriata di doglianza, tra quelle in cui è
consentito adire il giudice di legittimità, purché si faccia valere un vizio della
decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia (Cass. n.1370 del
21/01/2013). Quanto alla mancata indicazione dell’elenco dei documenti,
l’eccezione risulta generica in quanto priva di riferimenti a specifici
documenti ed alla concreta rilevanza.
3.1. Passando all’esame dei motivi, si osserva che l’Agenzia, nel
proporre il ricorso, ha individuato due statuizioni in cui sarebbe articolata la
sentenza impugnata:
A) la prima rinvenibile nell’ordine rivolto all’Agenzia stessa, con il
dispositivo della sentenza,

«di non intraprendere alcuna ricognizione,

archiviazione o comunque attività di conoscenza e utilizzo dei dati relativi a
quanto previsto dall’art.38, commi 4 e 5, del d.P.R. n.600/1973 e di
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normativo contenuto nella rubrica dei motivi e la non riconducibilità dei

cessare, ove, iniziata, ogni attività di accesso, analisi, raccolta dati di ogni
genere relativi alla posizione del ricorrente», nonché «… di distruggere tutti
i relativi archivi formatisi successivamente al 21/12/2012»;
B) la seconda individuata nel passaggio motivazionale dove è affermato
che il D.M. 24/12/2012 n.65648 «è non solo illegittimo, ma radicalmente
nullo ai sensi dell’art.21 septies legge n.241/19990 per carenza di potere e

costituzionale e comunitaria».
Quindi ha articolato le censure sub A) in relazione alla prima statuizione
e le censure sub B), in via subordinata, in relazione alla seconda, mediante
tre motivi per ciascuna.
3.2.1. Con riferimento alla prima statuizione concernente l’inibizione
del potere dell’amministrazione di effettuare accertamenti ex art.38, commi
4 e 5, del d.P.R. n.600/1973 e l’ordine di distruzione dei dati archiviati
riguardanti il contribuente, la ricorrente articola tre motivi sub A).
3.2.2. Primo motivo (Al) – Violazione degli artt.37 (difetto di
giurisdizione) e 99 (principio della domanda) cod. proc. civ. (art.360, primo
comma, n.4, cod. proc. civ.).
La ricorrente eccepisce l’improponibilità e/o l’inammissibilità della
domanda, sia perché la parte era carente di

legitimatio ad causam –

mancando una posizione giuridica soggettiva riconducibile ad una norma
astrattamente idonea a configurare il diritto azionato e tutelabile -, sia per
l’avvenuta adozione di una pronuncia che eccedeva i limiti della potestà
giurisdizionale del giudice nei confronti dell’Amministrazione dello Stato.
L’Agenzia lamenta che il provvedimento impugnato non si sia limitato a
inibire, anche in via preventiva, l’utilizzazione del D.M. 24/12/2012 e a
disapplicarlo, ma che, travalicando i poteri del giudice ordinario, abbia
emesso l’ordine di non intraprendere le attività accertative con metodo
sintetico, disciplinate dall’art.38, commi 4 e 5, del d.P.R. n.600/1973.
Sottolinea in proposito che il D.M. si limita a disciplinare le modalità di
trattamento dei dati – raccolti e conservati in base ad altre e diverse
disposizioni di legge -, al fine di determinare mediante un complesso
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difetto assoluto di attribuzione in quanto emanato fuori dalla legalità

procedimento di elaborazione, il presumibile reddito imponibile del
contribuente e che, quand’anche dovesse venire meno l’applicazione di
detto strumento attuativo, resterebbe comunque impregiudicato il
potere/dovere dell’Amministrazione finanziaria di raccogliere e conservare i
dati e di procedere all’accertamento, anche se non mediante il
redditometro.

sull’art.53 della Cost. e sulla legislazione ordinaria che disciplina l’attività di
accertamento e la raccolta dei dati attuata presso l’Anagrafe tributaria, che
tale complesso di norme va armonizzato con la disciplina della protezione
dei dati personali, considerato il disposto degli artt. 18, commi 2 e 3, 19,
comma 1, 20, comma 1, 66 del d.lgs. n.196/2003, secondo quanto previsto
dall’art.154, comma 4, del d.lgs. cit. che prevede che gli atti
dell’Amministrazione relativi al trattamento di dati personali sono sottoposti
al parere del Garante, a garanzia della legalità dell’azione amministrativa.
Conclude sostenendo che, con la statuizione impugnata, il Tribunale non
si è limitato a disapplicare il D.M., ma ha disapplicato le norme di legge che,
ove ritenute non legittime, avrebbero dovuto essere sottoposte al vaglio
della Corte Cost.
3.2.3. Secondo motivo (A2) – Violazione e falsa applicazione dell’art.152
del d.lgs. n.196/2003 e dell’art.10, comma 2, del d.lgs. 10 settembre 2011,
n.150, in relazione all’art.4 del d.lgs. n.196/2003 (art.360, primo comma,
n.2, cod. proc. civ.).
Secondo la ricorrente, il Tribunale erroneamente a ritenuto la propria
competenza, sul presupposto che il diritto dell’attore fosse messo a
repentaglio dall’attività accertativa dell’Ufficio delle entrate competente per
il circondario di residenza del contribuente.
Sostiene quindi che la competenza territoriale, funzionale ed
inderogabile, andava individuata nel Tribunale in cui aveva la residenza “il
titolare del trattamento dei dati” e cioè l’Agenzia delle entrate che
attraverso apposito software applicativo, provvedeva ad acquisire ed
elaborare i dati disponibili nell’Anagrafe Tributaria ed a comunicarli agli
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Ricorda che la potestà impositiva dell’Amministrazione si fonda

Uffici periferici per i successivi adempimenti, di guisa che la competenza
andava radicata presso il Tribunale di Roma.
3.2.4. Terzo motivo (A3) – Violazione e falsa applicazione dell’art.53 e
dell’art.101 Cost.; dell’art.38, commi 4 e 5, del d.P.R. n.600/1973, come
modificato dall’art.22 del d.l. 31 maggio 2010, n.78, conv. con mod. dalla
legge 30 luglio 2010, n.122; del d.P.R. 29 settembre 1973, n.605, nonché

(art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.).
Secondo la ricorrente le statuizioni del Tribunale sono manifestamente
illegittime per violazione delle norme anzidette che disciplinano
l’accertamento sintetico, sia puro (art.38, comma 4, del d.P.R. n.600/1973)
che redditometrico (art.38, comma 5, del cit. d.P.R.).
La ricorrente sostiene che il Tribunale ha errato nel porre quale
presupposto essenziale della decisione, l’asserita esistenza di un nesso di
causalità tra il D.M. 24/12/2012 – che disciplina il nuovo redditometro – ed
il potere di accertamento dell’Amministrazione, che ha ritenuto di dover
inibire.
Rimarca che il D.M.

in questione rappresenta esclusivamente un

modello tecnico operativo per effettuare la stima del reddito, sulla scorta di
dati ed elementi acquisiti aliunde in attuazione di altre leggi e regolamenti.
Afferma che la fonte del potere dell’Amministrazione di raccogliere,
conservare e trattare i dati personali discende dalle regole generali
desumibili dagli artt. 18, 19 e 68 del d.lgs. n.196/2003 (in materia di tutela
dei dati personali), dal d.P.R. n.605/1973 (istitutivo dell’Anagrafe
tributaria), dall’art.21 del d.l. 31 maggio 2010, n.78 (disposizioni per istituti
bancari e operatori commerciali, etc.), del tutto autonome e non influenzate
dal D.M. di cui si discute.
Si duole che l’ordine di non eseguire accertamenti e distruggere i dati
attui un’illegittima ed eccesiva disapplicazione di norma di legge.
Sostiene che la presunta illegittimità del D.M. non avrebbe potuto
incidere sull’applicabilità dell’art.38, comma 4, del d.P.R. n.600/1973 che
disciplina l’accertamento sintetico “puro” e che l’asserita illegittimità del
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dell’art.66 del d.lgs. n.196/2003 in rel. agli artt. 20 e 21 dello stesso d.lgs.

”redditometro” non avrebbe potuto giustificare il divieto di raccolta e di
utilizzazione dei dati e l’ordine di distruzione, come formulato, trattandosi di
attività non disciplinate dal D.M. in questione, di guisa che il provvedimento
avrebbe dovuto essere inteso solo ad impedire l’uso del D.M. elaborato dal
Ministero.
Sulla scorta delle considerazioni svolte la ricorrente esclude la

Sostiene che non essendo in discussione il potere di raccolta e di
utilizzazione dei dati (disciplinato da altre leggi) il tema controverso è
limitato alla specifica attività di trattamento, al fine di evitare che le
modalità operative risultino contrarie al d.lgs. n.196/2003; riconosce i rischi
del trattamento dei dati fiscali, ricordando che sono stati evidenziati anche
dal Garante nel provvedimento del 21/11/2013. Tuttavia, afferma che
l’emanazione del D.M. non ha comportato l’immediato avvio dell’attività
accertativa dell’Agenzia, che richiedeva la necessaria elaborazione di un
software applicativo sulla base di apposita circolare dell’Agenzia delle
entrate sottoposta al parere del Garante che si è espresso con il
provvedimento del 21/11/2013 sul cui specifico contenuto si sofferma, per
giungere alla conclusione che il possibile contrasto tra le previsioni del D.M.
e il d.lgs. n.196/2003 non sembra idoneo a comportare ipotetiche lesioni
irreparabili dei diritti della personalità, ma solo la correttezza dei risultati
finali, attesa la possibilità che un uso dei dati disponibili non conforme alle
regole vigenti potesse condurre a risultati inadeguati, in violazione dei diritti
(diversi da quelli della personalità) che attengono esclusivamente al
rapporto tributario. La ricorrente afferma che il bene giuridico esposto a
rischio dal D.M. non è un diritto della personalità, anche se dovesse
derivare dalla violazione del d.lgs. n.196/2003, di guisa che non potrebbe
configurarsi il pericolo di un danno grave ed irreparabile tale da richiedere la
immediata tutela ex ante, dovendosi invece ritenere sufficiente la tutela ex
post per il contribuente che ritenga di essere assoggettato ad oneri tributari
maggiori del dovuto a causa dell’illegittimità del redditometro. Ricorda la

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sussistenza di ragioni di una tutela preventiva.

giurisprudenza della Cassazione sulla illegittimità di domande volte
all’accertamento anticipato dell’inesistenza di una obbligazione tributaria.
Afferma, infine, che il D.M. non era operativo, in assenza
dell’emanazione della circolare attuativa dell’Agenzia delle entrate e
dell’elaborazione dell’apposito software applicativo, previa acquisizione del
parere del Garante.

pronuncia di nullità del D.M. la ricorrente propone altri tre motivi articolati
sub B), in via subordinata e cautelativa, qualora si dovesse ritenere che la
sentenza in esame non si sia limitata a disapplicare il provvedimento
ministeriale, ma abbia inteso dichiarare la nullità dello stesso mediante
un’autonoma statuizione idonea a passare in giudicato.
3.3.2. Quarto motivo (B1) – Violazione e falsa applicazione dell’art.102
Cost. dell’art.7 del d.lgs. 2 luglio 2010, n.104, nonché degli artt. 152 e ss
del d.lgs. n.30 giugno 2003, n.196 (art.360, primo comma, n.1, cod. proc.
civ.).
La ricorrente censura la decisione impugnata assumendo che il
Tribunale ha dichiarato la nullità del DM perché violerebbe i diritti soggettivi
dell’attore, in quanto le disposizioni sarebbero lesive del suo diritto alla
riservatezza: osserva, però, che solo alcune delle argomentazioni (lettere
c), j), K), I) ed m), come riepilogate in ricorso, fol. 26/28) utilizzate dal
Tribunale hanno attinenza con la tutela della privacy: ne deduce che la
sentenza è perciò viziata da eccesso di potere giurisdizionale, nella parte in
cui investe tutti gli altri profili estranei alla tutela del trattamento dei dati
personali.
3.3.3. Quinto motivo (B2) – Violazione e falsa applicazione dell’art.101
cod. proc. civ. (art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.).
La ricorrente sostiene che la sentenza, qualora avesse inteso accertare
e dichiarare la nullità del D.M., sarebbe illegittima in quanto emessa nei
confronti di soggetto non legittimato, da ravvisarsi – a suo dire – nel
Ministero delle Finanze.
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3.3.1. Con riferimento alla seconda statuizione concernente la ipotizzata

3.3.4. Sesto motivo (B3) – Violazione e falsa applicazione degli artt.2,
3, 13, 14, 24, 47 e 53 della Cost.; degli artt. 1, 7 e 8 della Carta dei diritti
fondamentali della U.E.; dell’art.13 del Trattato dell’Unione Europea; della
legge m. 241/1990; dell’art.38 del d.P.R. n.600/1973, nel testo novellato
dall’art.22, comma 1, del d.l. 21 n.78/2010; del d.P.R. 29/09/1973, n.605;
dell’art.21 del d.l. n.78/2010 in relazione agli artt. 18, 19, 20 e 66 del d.lgs.

La ricorrente sostiene che il Tribunale ha errato nel ritenere che il D.M.
costituisca la fonte del potere dell’Agenzia di utilizzare i dati relativi alla
spesa dei contribuenti per fini accertativi.
4.1. Il primo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente
per connessione e vanno accolti perché fondati, nei termini e nei limiti di
seguito precisati.
4.2. Osserva la Corte che la controversia, pur afferente a dati di rilievo
fiscale, è centrata sulla violazione della disciplina del trattamento dei dati
personali, di guisa che occorre prendere in esame, innanzi tutto, le
disposizioni che disciplinano il diritto di accesso ai dati personali e agli altri
diritti enunciati dall’art. 7 del d.lgs. n.196/2003, per quel che rilevano in
questa sede.
4.3. Dalla lettura dell’art.7 cit. si evince che l’interessato ha diritto di
ottenere la conferma o meno dell’esistenza di dati personali che lo
riguardano e la loro comunicazione in forma intellegibile (primo comma),
nonché di ottenere le ulteriori informazioni di cui al secondo comma , ed
ancora di ottenere l’aggiornamento, la rettificazione o l’integrazione dei dati,
la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati
trattati in violazione di legge (terzo comma) e di opporsi per motivi legittimi
al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo
scopo della raccolta.
4.4. A fronte di questi diritti/poteri dell’interessato, l’originario
ricorrente Scognamiglio – sul presupposto dei gravissimi pregiudizi che gli
sarebbero potuti derivare dall’attivazione in concreto delle procedure di
accertamento secondo le modalità del D.M. 24/12/2012 e della nullità o
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n.196/2003 (art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.).

inesistenza di detto decreto per difetto assoluto di attribuzione, per essere
stato emanato non solo contro ma fuori dalla legalità costituzionale e
comunitaria, o comunque della sua illegittimità con necessità della sua
disapplicazione – ha chiesto, riconosciuta la gravità dei pregiudizi e dei
danni:
– ordinarsi all’Agenzia delle entrate di astenersi dal raccogliere dati e

ricorrente, omettendo in particolare di archiviare e mantenere l’archivio dei
relativi dati;
– ordinarsi all’Agenzia di omettere le predette attività nonché – ove
queste fossero già state poste in essere – di distruggere e cancellare i dati
acquisiti e l’archivio degli stessi.
4.5. Il Tribunale, sul presupposto che il D.M. 24/12/2012 fosse nullo
per carenza dei presupposti di esistenza del relativo potere come
disciplinato dalla norma attributiva (carenza di potere) – in quanto non
rispettoso delle condizioni fissate dall’art. 38 d.P.R. n.600/1973 e della
restante normativa primaria applicabile alla fattispecie, in particolare del
codice della riservatezza – e dovesse essere pertanto disapplicato, ha
accolto il ricorso, ordinando all’Agenzia di non intraprendere alcuna
ricognizione, archiviazione o comunque attività di conoscenza e utilizzo dei
dati relativi a quanto previsto dall’art. 38, commi 4 e 5, del d.P.R.
n.600/1973 e di cessare, ove iniziata, ogni attività di accesso, analisi,
raccolta dati di ogni genere relativi alla posizione del ricorrente; nonché
ordinando all’Agenzia di comunicare se era in atto un’attività di raccolta dati
nei suoi confronti ai fini dell’applicazione del redditometro e , in caso
positivo, di distruggere tutti i relativi archivi formatisi successivamente al
24/12/2012.
4.6. Tale decisione è errata e va cassata.
4.7. Appare prioritario, per un corretto inquadramento normativo della
questione, ricordare che il potere dell’Amministrazione finanziaria di
svolgere attività accertative con metodo sintetico trova il suo fondamento,
non già nel citato D.M., che disciplina soltanto le modalità di trattamento dei
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informazioni, nonché di monitorare le spese effettuate o effettuande dal

dati, raccolti ed elaborati in base ad altre e diverse disposizioni di legge, ma
in primo luogo nell’art. 38, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 600/1973, nel
contesto della potestà impositiva dell’Amministrazione che si fonda sull’art.
53 Cost. e nell’attività di accertamento e di raccolta di dati attuata presso
l’Anagrafe tributaria.
4.8. Sulla base di tali premesse non può dubitarsi che la domanda

dall’insieme dei diritti enunciati dall’art. 7 del d.lgs. n.196/2003, con
conseguente difetto di legitimatio ad causam dello stesso ricorrente, nella
parte relativa alla richiesta di astenersi dal raccogliere dati e informazioni,
nonché di monitorare le spese effettuate o effettuande dal ricorrente,
omettendo in particolare di archiviare e mantenere l’archivio dei relativi
dati, non essendo l’astensione, da parte dell’Amministrazione, dall’attività di
raccolta dati e informazioni oggetto di alcuno dei diritti enunciati nello
stesso art. 7, e sotto altro profilo, nella parte relativa alla richiesta di
distruggere e cancellare i dati acquisiti e l’archivio degli stessi, si scontrasse
inequivocabilmente, restando priva di fondamento, con la previsione all’art,
7, comma 3, del diritto alla cancellazione o al blocco dei dati trattati in
violazione di legge, laddove nel caso di specie il trattamento dei dati trova
fondamento diretto nella disposizione di legge e, segnatamente nell’art. 38
citato, come integrato con l’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 196/2003, che
stabilisce che il trattamento da parte di un soggetto pubblico riguardante
dati diversi da quelli sensibili e giudiziari, è consentito, per lo svolgimento
delle funzioni istituzionali, anche in mancanza di una norma di legge o di
regolamento che lo preveda espressamente.
4.9. E’ appena il caso di rilevare, inoltre, che i diritti di cui all’art. 7
concernono il trattamento illegittimo di dati specificamente individuati e
non genericamente il trattamento di tutti i dati riguardanti un interessato e
indistintamente indicati, come dedotto nella specie dal ricorrente anche con
riferimento al diritto all’opposizione per motivi legittimi al trattamento dei
dati personali (art. 7, quarto comma) traducendosi altrimenti l’iniziativa in
una non consentita opposizione da parte del contribuente all’azione di
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R.G.N. 8711/2014
Cons. est. Lauro Tricorni

introduttiva del ricorrente, come sopra illustrata, da un lato esorbitasse

accertamento dell’Amministrazione, fondata su disposizioni di legge, così da
impedire all’Amministrazione di esercitare le potestà ad essa attribuite dalla
legge.
4.11. Va inoltre rilevato che la sentenza impugnata, con il dispositivo
sopra richiamato, ha attribuito al ricorrente una tutela che esorbita
dall’ambito dei diritti riconosciuti dall’art. 7 citato e che non trova

radicalmente viziata da nullità per violazione di legge, tanto più in quanto
fondata su una insussistente nullità assoluta del decreto ministeriale per
carenza di potere, laddove il decreto stesso trae ragione della sua esistenza
proprio nella previsione del citato art. 38, e comunque sulla disapplicazione
di detto decreto fuori dall’ipotesi consentita, essendo pacifico in
giurisprudenza che il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo
illegittimo da parte del giudice ordinario non può essere esercitato nei
giudizi in cui sia parte la P.A., ma unicamente nei giudizi tra privati e nei
soli casi in cui l’atto illegittimo venga in rilievo, non già come fondamento
del diritto dedotto in giudizio (come nel caso di specie, in cui si invoca la
tutela del diritto alla riservatezza al fine di prevenire gravi e irreparabili
pregiudizio dall’attività di trattamento dati asseritamente svolta con
modalità illegittime), bensì come mero antecedente logico, sicché la
questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico (Cass.
Sez. U. n. 2244 del 06/02/2015; Cass. n. 19659 del 13/09/2006).
5.1. I motivi secondo, quarto, quinto e sesto sono assorbiti
dall’accoglimento dei motivi primo e terzo.
6. In conclusione il ricorso va accolto sui motivi primo e terzo, assorbiti
gli altri; la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito
con il rigetto dell’originario ricorso.
Le spese dell’intero giudizio si compensano in ragione della novità della
questione.

P.Q.M.
– Accoglie il ricorso sui motivi primo e terzo, assorbiti gli altri;
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R.G.N. 8711/2014
Cons. est. Laura Tricorni

fondamento nel disposto dell’art. 38 richiamato, così da risultare

-

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta

l’originario ricorso;
– Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il giorno 21 marzo 2018.

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