Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17485 del 18/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 18/06/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 18/06/2021), n.17485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27940-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SAFIN SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo

studio dell’avvocato ASTOLFO DI AMATO, rappresentata e difesa

dall’avvocato DOMENICO STANGA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1841/2018 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA,

depositata il 28/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2020 dal Consigliere Dott. MARGHERITA TADDEI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con la sentenza n. 6291/9/2016, accoglieva il ricorso della SpA Safin, annullando per omessa motivazione, l’avviso di liquidazione, dell’imposta di registro relativa al decreto ingiuntivo n. 733/12 emesso dal Giudice di pace di S. Maria Capua Vetere, con cui si liquidava tale imposta a carico di F.C., in conseguenza di un finanziamento rimasto insoluto, dal F. ottenuto dalla società Fiidiitalia SpA, che in seguito aveva ceduto il credito alla Safin SpA;

– la Commissione Tributaria Regionale Campania, con la sentenza qui impugnata, respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate, che aveva sostenuto di aver tassato in misura fissa sia il decreto ingiuntivo sia la cessione del contratto di finanziamento in esso enunciato, a norma del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, confermando la decisione della CTP che aveva integralmente annullato l’avviso di liquidazione mancando ogni motivazione in ordine alla sussistenza e tassabilità dell’atto enunciato;

– in particolare la CTR, confermando l’illegittimità dell’avviso di liquidazione in punto di omessa motivazione dell’atto e conseguente lesione del diritto di difesa del contribuente, aveva anche ribadito che nella fattispecie in esame, intercorrendo i due rapporti giuridici, finanziamento – cessione del credito, tra soggetti diversi, non era applicabile il principio della doppia imposizione decreto ingiuntivo/atto ivi enunciato, non potendo trovare applicazione il principio, ex art. 22 TUR, invocato dall’appellante, che richiede l’identità dei soggetti agenti;

– per la cassazione della predetta sentenza l’Ufficio ha interposto ricorso e l’intimata ha depositato contro deduzioni, ribadite con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che la sentenza è affetta da extrapetizione, avendo rigettato in toto l’appello dell’Ufficio, nonostante la contribuente avesse ammesso la debenza dell’imposta sul decreto ingiuntivo, ma in misura fissa e non proporzionale.

– Il ricorso deve essere accolto nei termini di cui in motivazione.

– La decisione dei giudici della CTR procede dalla valutazione di omessa motivazione dell’atto impugnato così espressa: “la locuzione PROP, contenuta nella scheletrica motivazione dell’atto non poteva che riferirsi alla parola proporzionale, così ingenerando nel contribuente una falsa rappresentazione delle ragioni poste a base del tributo e della aliquota applicata”. Di conseguenza, confermando la prima decisione, i giudici dell’appello annullavano l’atto di liquidazione integralmente.

– A ben vedere, peraltro, il ricorso originario della Safin SpA, avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta di Registro, non contesta la tassabilità del decreto ingiuntivo ma si limita a lamentare un errore nella misura della tassazione, risultando dalla motivazione una tassazione in misura proporzionale invece che fissa, in ossequio a quanto disposto dall’art. 40 TUR, in ordine al principio dell’alternatività IVA-Registro. Il che smentisce l’assunto della CTR circa la pretesa falsa rappresentazione delle ragioni poste a base del tributo, avendo la contribuente percepito negli esatti termini il vizio della motivazione dell’atto amministrativo, riguardante solo la misura della tassazione e non la debenza stessa.

– Ciò che non è corretto nella decisione qui impugnata e che ne determina la relativa cassazione è l’annullamento integrale dell’avviso di liquidazione, non essendosi i giudici del merito uniformati al consolidato principio di questa Corte, secondo cui, essendo il processo tributario a cognizione piena e tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso,” solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, di acquisire “aliunde” i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso.” (tra le tante, non tutte massimate, Cass. n. 11935 del 2012; Cass. n. 13294 del 2016; Cass. n. 18777 del 2020).

– Come, peraltro, già è stato detto da questa Corte con l’ordinanza n. 12597/2020, relativa ad analogo ricorso, devolutosi tra gli stessi soggetti e sullo stesso oggetto, “è principio consolidato di questa Corte e condiviso dal Collegio, quello secondo cui “Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicchè il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, ultimo periodo, la pronuncia di una sentenza parziale solo sull'”an” o di una condanna generica” (Cass. n. 13294 del 28/06/2016, Rv. 640171; in termini, tra le tante, Cass. n. 24611 del 2014, n. 26157 del 2013, n. 13034 del 2012 nonchè Cass., Sez. U., n. 13916 del 2006).

– Principio, questo, che muove sulla scia di quello, analogamente condivisibile, secondo cui “Il processo tributario è a cognizione piena e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, con la conseguenza che solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, di acquisire “aliunde” i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11935 del 13/07/2012, Rv. 623322). Pertanto, quando “il giudice (…) ravvisata) l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve nè può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal “petitum” delle parti” (Cass. n. 17072 del 2010), dando “alla pretesa dell’amministrazione un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parlai contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., (…) in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria” (Cass. n. 1852 del 2008), oppure costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo chiaramente consentito al giudice tributario, in un giudizio che non è solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo…”.

– Questo collegio condivide i principi ispiratori della su estesa decisione che, pur in presenza di vizi formali della motivazione, contempera il diritto di difesa del contribuente con quello dell’effettività del potere di controllo e di valutazione, consentito al giudice tributa -, nel giudizio tributario che non si devolve solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, consentendo la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo, anche in considerazione della indispensabile economicità dell’azione amministrativa.

– Nel caso in esame, pur partendo da una corretta disamina del rapporto tributario, le Corti di merito sono pervenute ad una decisione che pretermette i principi, su richiamati, cui deve ispirarsi il giudizio tributario, essendo pacifica, all’esito del giudizio, la debenza dell’imposta di registro in misura fissa pari ad Euro 168,00 per l’ingiunzione di pagamento e la non configurabilità della tassa di titolo, in assenza dei presupposti di legge, a causa della totale omissione della motivazione dell’avviso di liquidazione, sul punto.

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto nei limiti di cui in motivazione, per quanto attiene alla tassazione del d.i. in misura fissa pari ad Euro 168,00: la sentenza va, pertanto, cassata e non essendo necessario alcun accertamento di merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., decidendo nel merito, dichiara dovuta l’imposta di registro, in misura fissa pari ad Euro 168,00.

Le spese dell’integrale giudizio vanno compensate, tenuto conto della complessità della vicenda.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, dichiara dovuta l’imposta di registro, in misura fissa, pari ad Euro 168,00. Spese dell’intero giudizio compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, con modalità da remoto, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2021

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