Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17485 del 14/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 14/07/2017, (ud. 26/05/2017, dep.14/07/2017),  n. 17485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2114/2010 proposto da:

LACCHI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. BANDI, 34,

presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA BRUNI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI

GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO PASQUALI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA GERIT SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 452/2009 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 10/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/05/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la CTR del Lazio, con la sentenza n. 452/1/09, depositata il 10/9/2009, ha accolto parzialmente l’appello proposto dalla Lacchi s.p.a., avverso la sentenza della CTP di Roma che aveva respinto i ricorsi rispettivamente proposti dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento e la cartella esattoriale, per tassa di smaltimento rifiuti (TARSU), relativa agli anni 2001 e 2002, emessi dal Comune di Roma sul presupposto che la predetta società non avesse adempiuto al pagamento di quanto dovuto per le superfici produttive, site in (OMISSIS);

che il giudice di appello ha motivato la propria decisione nel senso che la notifica dell’avviso di accertamento per l’annualità più risalente (2001) era stata effettuata tardivamente, per violazione del D.P.R. n. 507 del 1993, art. 71, con conseguente travolgimento in parte qua anche della cartella esattoriale, e che, per l’altra annualità (2002), non ricorreva la dedotta violazione del D.P.R. n. 507 del 1993, art. 62, secondo il quale non sono tassabili i locali e le aree che non possono produrre rifiuti, o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati, o perchè risultano in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione, in quanto, avuto riguardo alla attività di “confezionamento, etichettatura ed imballaggio della merce, attività questa assoggettabile a tassazione secondo la categoria 04”, l’accertamento del Comune risultava sul punto non superabile ed i vizi della delibera comunale di determinazione della tariffa applicata non esaminabili dal giudice tributario in quanto carente di giurisdizione;

che la contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui l’intimato Comune resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, e art. 4, Regolamento TARSU del Comune di Roma, nonchè di tutte le norme e principi in materia di imposizione tributaria, violazione e falsa applicazione dell’art. 267 c.c., e di tutte le norme e principi in materia di onere della prova, violazione dell’art. 111 Cost., e di tutte le norme e principi in materia di giusto processo, giacchè la CTR ha considerato soggetti ad imposizione tributaria tutti i locali e le aree della società Lacchi, nonostante quest’ultima, ben prima della iscrizione nei ruoli, avesse rappresentato all’ente impositore, con lettera del 18/7/2004, le superfici effettivamente tassabili, e presentato denuncia corredata da relazione tecnica di parte circa la mancata produzione di rifiuti, nonostante l’onere probatorio, incombente sulla Amministrazione comunale, di dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto della pretesa impositiva;

che con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 7, eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà manifesta con gli atti in possesso dell’Amministrazione, giacchè la CTR ha omesso di esaminare la specifica censura concernente la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, redatto su modulo prestampato, attribuendo alla contribuente una superficie lavorativa di mq. 4.075, assoggettata alla categoria 4 (magazzino senza attività di vendita) di cui alla Delibera C.C. n. 6 del 17-18/1/2000, senza neppure tenere conto della porzione di mq. 106 regolarmente denunciata quale ufficio;

che con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3, nullità della impugnata sentenza per omessa pronuncia, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69, giacchè la CTR ha omesso di pronunciarsi sulla illegittimità della delibera C.C. n. 6 del 17-18/1/2001, la quale si limita a riportare categorie ed importi della tariffa TARSU senza alcuna correlazione tra l’imposizione ed i costi del servizio espletato, in modo da porre il cittadino in grado di comprendere l’iter logico seguito nella tassazione di edifici ed aree;

che con il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della impugnata sentenza per omesso esame della censura concernente la illegittimità della tariffa, giacchè la categoria 04, assai eterogenea, non è applicabile all’immobile assoggettato a tributo, in quanto adibito a magazzino di stoccaggio di merci confezionate inidoneo a produrre rifiuti di sorta;

che con il quinto motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della impugnata sentenza per omesso esame della censura di illegittimità della tariffa per genericità della stessa, giacchè la categoria applicata non contempla i magazzini di stoccaggio, i quali non possono essere parificati a realtà produttive non omogenee onde evitare una tassazione, altrimenti, abnorme;

che con il sesto motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della impugnata sentenza per omesso esame della censura di illegittimità della tariffa TARSU perchè non commisurata al costo effettivo del servizio;

che va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della procura alle liti apposta a margine, perchè illeggibile e priva di un valido riferimento al presente giudizio, in quanto il rilascio della procura al difensore a margine o in calce al ricorso per cassazione, dato il collegamento con l’atto cui inerisce e con il quale forma sostanzialmente corpo unico, soddisfa il requisito della specificità del mandato anche in mancanza di espresso riferimento al giudizio di legittimità, peraltro, chiaramente ricavabile, nella fattispecie qui esaminata, dall’intestazione dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità (“Per la Lacchi s.p.a….. in persona del legale rapp.te pro tempore, Ing. L.G., rapp.ta e difesa, giusta delega a margine al presente atto, dall’Avv. Anna Maria Bruni… “), sicchè appare superabile anche il prospettato carattere non leggibile della sottoscrizione apposta in calce alla procura in quanto ciò non incide sull’ammissibilità del ricorso posto che il nome completo del legale rappresentante della parte ricorrente risulta specificato nella medesima intestazione dell’atto, circostanza che esclude che tale firma possa essere attribuita a persona non identificabile;

che la censura contenuta nel primo motivo di ricorso va disattesa sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte secondo cui ” In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), l’imposta è dovuta, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe indicate dal comma 2 della norma e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66, non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti.” (Cass. n. 18054/2016);

che, ancora, con riguardo al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, in virtù del quale “nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali” è stato osservato che “l’impresa contribuente ha l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che, pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto dell’occupazione di aree nel territorio comunale, il principio secondo cui spetta all’amministrazione l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia citato D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, che integra un’eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale”. (Cass. n. 16235/2015; 775/2011);

che, pertanto, pur se spetta all’Amministrazione di fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, tale onere non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, costituendo l’esenzione, anche parziale, un’eccezione alla regola generale del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale, sicchè la decisione impugnata si colloca pienamente nel solco della ricordata giurisprudenza, avendo la CTR indicato le ragioni per cui, sulla base degli elementi di prova in atti, ed in difetto della denuncia D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70, la quale contiene gli elementi soggettivi ed oggettivi che la norma citata impone al contribuente di dichiarare, ha ritenuto che l’attività d’impresa, riferibile alla società contribuente, non fosse limitata alle operazioni di mero stoccaggio delle merci e ricomprendesse invece “l’eventuale confezionamento, etichettatura ed imballaggio” della stessa, “attività questa assoggettabile a tassazione”;

che, nel giudizio di legittimità, il ricorrente, qualora lamenti una omessa od insufficiente motivazione da parte del giudice di merito, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione, ha l’onere di indicare le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità e adeguatezza, ovvero di indicare quale circostanza processuale (factum probans) il giudice di merito abbia trascurato, ovvero ancora per quale motivo logico-giuridico la ricostruzione del fatto ignoto (factum probandum) data dal giudice di merito sia carente perchè, ove il ricorrente si limiti a fornire – come nel caso di specie – una diversa ricostruzione dei fatti, contrastante con quella accertata nella sentenza impugnata, la censura si risolve inammissibilmente nella richiesta di un riesame del merito;

che il motivo di ricorso difetta, infine, di autosufficienza, in quanto la società ricorrente si è limitata a richiamare una perizia giurata, in tesi, non apprezzata dal giudice di merito, documento rispetto al quale non è però dato valutare concretamente il contenuto e quindi l’incidenza causale sulla decisione;

che va disattesa, per analoghe ragioni, la censura contenuta nel secondo motivo d’impugnazione, in quanto il ricorso per cassazione che critichi la sentenza tributaria per incongruità del giudizio espresso sulla motivazione dell’avviso di accertamento deve riportare l’avviso stesso, al fine di consentirne la verifica in base al ricorso medesimo, altrimenti è inammissibile per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c. (Cass. n. 15867/2004; n. 8312/2013, Rv. 625996;n. 9536/2013);

che, invero, la contribuente nulla spiega in proposito, mentre la CTR, dopo aver descritto le caratteristiche dell’attività esercitata dalla contribuente nelle aree soggette ad imposizione tributaria e riportato la categoria di appartenenza dell’attività medesima, ha osservato che l’accertamento del Comune è “sufficientemente motivato e ben formulato quanto ad individuazione della tariffa applicabile”, conclusioni che appaiono in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, è legittimo l’atto impositivo contenente la motivazione sui presupposti di fatto ed i criteri di calcolo del tributo applicato, in quanto elementi sufficienti al contribuente per individuare eventuali errori dell’Amministrazione, così delimitando l’ambito delle ragioni deducibili nell’eventuale fase contenziosa e consentendo allo stesso di valutare l’opportunità dell’impugnazione;

che le censure contenute nei motivi di ricorso dal terzo al sesto, scrutinabili congiuntamente, sono inammissibili per quanto di seguito precisato;

che la ricorrente si duole del mancato esercizio, da parte della CTR, del potere, riconosciuto alle commissioni tributarie dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi – la delibera comunale di approvazione delle tariffe della TARSU “presupposta” all’atto impositivo – potere di certo non inibito dalla circostanza che spetta al giudice amministrativo la cognizione, in sede di legittimità, delle delibere tariffarie, atteso che esso sussiste anche qualora l’atto amministrativo disapplicato sia divenuto inoppugnabile, per l’inutile decorso dei termini di impugnazione davanti al giudice amministrativo, risultando precluso soltanto quando la legittimità dell’atto amministrativo sia stata affermata dal giudice amministrativo, nel contraddittorio delle parti e con autorità di giudicato (Cass. S.U. n. 6265/2006);

che ciò non di meno le censure della contribuente, incentrate sulla dedotta illegittimità della citata Delibera C.C. n. 6 del 17-18/1/2000, vanno disattese poichè la disapplicazione può conseguire solamente alla dimostrazione di vizi di legittimità (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) dell’atto “presupposto” che, nel caso di specie, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili;

che, trovando applicazione tale principio, la contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell’adottare la delibera qui contestata, sotto il profilo della coerenza con le disposizioni normative in relazione alle categorie e sottocategorie omogenee di locali ed aree tassabili individuate dell’ente impositore, della correttezza della scelta della tariffa più o meno onerosa da applicare, in ragione della quantità di rifiuti prodotta e dei costi del servizio pubblico di raccolta e smaltimento, risulta formulata in maniera non autosufficiente, e ciò impedisce in radice di pervenire alla domandata dichiarazione (incidentale) d’illegittimità della delibera de qua;

che i motivi d’impugnazione si appalesano generici in quanto, pur non essendo sfuggita alla parte ricorrente la centralità del problema dei limiti della potestà regolamentare spettante all’ente locale, avuto riguardo alla disciplina della Tassa sui rifiuti solidi urbani (TARSU) prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993 (cfr. art. 58: “Per il servizio relativo allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa nell’ambito del centro abitato, delle frazioni, dei nuclei abitati ed eventualmente esteso alle zone del territorio comunale con insediamenti sparsi, i comuni debbono istituire una tassa annuale, da disciplinare con apposito regolamento ed applicare in base a tariffa con l’osservanza delle prescrizioni e dei criteri di cui alle norme seguenti.”), e la conseguente necessità, derivante proprio dalle sollevate censure, di esaminare il Regolamento comunale, tuttavia, le norme regolamentari invocate non sono trascritte o allegate;

che questa Corte ha avuto modo di precisare che, con riguardo alle norme giuridiche secondarie, non opera il principio iura novit curia, “non rientrando, pertanto, la conoscenza dei regolamenti comunali tra i doveri del giudice che, solo ove disponga di poteri istruttori, può acquisirne diretta conoscenza, indipendentemente dall’attività svolta dalle parti” (Cass. n. 12786/2006, in fattispecie relativa al Regolamento del Comune di Forlì, approvato con delibera consiliare in data 30 giugno 1994, n. 248, per l’applicazione della TARSU), principio determinante l’inammissibilità della censura, mentre l’individuazione del concreto uso delle aree, ai fini di stabilire la categoria della tassa ad esse applicabile, involge, come appare evidente, un tipico accertamento di fatto la cui valutazione è istituzionalmente riservata al giudice del merito, censurabile solo per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio che, per quanto detto, qui non ricorre;

che, infine, non è superfluo ricordare che questa Corte ha precisato, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, che “non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65” (Cass. n. 7044/2014; n. 22804/2006);

che il ricorso, in conclusione, va respinto, con ogni conseguenza in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2017

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