Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17477 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. II, 20/08/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 20/08/2020), n.17477

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1155/2016 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CUNFIDA 20,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO OLIVETI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MAURA PESSOT;

– ricorrente –

contro

TARZO SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2727/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 9 dicembre 2014 la Corte d’appello di Venezia, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da P.M. nei confronti della Tarzo s.r.l., avente ad oggetto l’accertamento della legittimità del recesso operato dal primo dal contratto preliminare del 30 giugno 2006 e la condanna della seconda al pagamento della somma di 70.000 Euro, quale residuo ancora dovuto rispetto all’importo corrispondente al doppio della caparra.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che l’esame del contenuto del contratto, alla luce dell’allegato decreto giudiziale di trasferimento che ne costituiva parte integrante, dimostrava l’infondatezza del rilievo del primo giudice, secondo il quale la società promittente venditrice aveva omesso di informare il promissario acquirente dell’esistenza di trascrizioni e iscrizioni diverse da quella espressamente menzionata nell’atto; b) che, con riguardo alla domanda di nullità trascritta il 14 marzo 1994, era stato documentato che i soci della Tarzo s.r.l. aveva acquistato i crediti facenti capo ai soggetti che avevano trascritto la domanda e che detta operazione si era conclusa prima che scadesse il termine per la conclusione del contratto definitivo, prorogato con postilla sottoscritta dal P. e accompagnata dal versamento di un acconto sul prezzo; c) che tale condotta rivelava la conoscenza, da parte del P., di trattative per l’acquisto dei crediti e, quindi, la consapevole fornitura della provvista occorrente per il perfezionamento dell’operazione; d) che, in ogni caso, risultava dallo scambio di corrispondenza fra le parti che la Tarzo s.r.l. aveva aderito alla proposta di risoluzione consensuale del contratto inoltrata dal legale del P. con nota datata 8 giugno 2007 e aveva restituito sia la caparra ricevuta che l’acconto versato in esecuzione del contratto preliminare; e) che l’avvenuto scioglimento del rapporto precludeva alla parte non inadempiente di recedere, ferma restando la facoltà di chiedere il risarcimento del maggior danno.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione a P. affidato a due motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riguardo al momento nel quale il promissario acquirente era venuto a conoscenza delle trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli.

Si rileva: a) che il decreto di trasferimento menzionava solo due delle trascrizioni – iscrizioni esistenti e non conteneva alcun riferimento alla domanda giudiziale di nullità trascritta il 14 marzo 1994 e alla domanda giudiziale di revoca trascritta il 15 dicembre 1990; b) che la postilla menzionata dalla Corte territoriale era stata sottoscritta in data 8 novembre 1996, sei mesi dopo la conclusione del contratto preliminare, talchè essa confermava una conoscenza delle iscrizioni – trascrizioni successiva a tale momento; c) che il versamento dell’ulteriore acconto aveva lo scopo di consentire alla promittente venditrice di liberare gli immobili da macchinari e animali.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 1385 c.c., rilevando che “dall’esame della corrispondenza intercorsa tra le parti non emerge che le stesse abbiano risolto consensualmente il contratto preliminare: P.M. ha dichiarato infatti che avrebbe accettato la restituzione di quanto versato, a titolo di acconto, con riserva di agire in giudizio per ottenere il doppio della caparra versata ai sensi dell’art. 1385 c.c.”.

3. Deve procedersi, in ossequio al principio fondato sulla necessità di ricercare e indicare la “ragione più liquida” (Cass., Sez. Un., 18 novembre 2015, n. 23542; Cass., Sez. Un., 8 maggio 2014, n. 9936), all’esame del secondo motivo di ricorso, che investe una delle due distinte ed autonome rationes decidendi che sorreggono la conclusione della Corte territoriale.

Il ricorrente critica l’interpretazione della corrispondenza intercorsa con la controparte, alla stregua della quale la Corte territoriale ha ritenuto sciolto il contratto per mutuo dissenso.

E, tuttavia, si limita a prospettare in termini assertivi una diversa lettura dei documenti, senza riprodurne il contenuto e senza indicare quali criteri ermeneutici la Corte d’appello avrebbe violato.

Ora, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (v., ad es., Cass. 15 novembre 2017, n. 27136).

Va, pertanto, escluso che possa essere rimesso in discussione l’accertamento dell’intervenuto scioglimento del contratto, in data antecedente all’esercizio del diritto di recesso dal quale conseguirebbe la pretesa avente ad oggetto la condanna al pagamento del doppio delle somme versate a titolo di caparra.

Ora, l’orientamento espresso da questa Corte e richiamato dal ricorrente, secondo il quale, nell’ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte adempiente che abbia agito per la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, in secondo grado, in sostituzione di dette pretese, può chiedere il recesso dal contratto e la ritenzione della caparra, riposa sulle seguenti considerazioni: a) dette domande hanno minore ampiezza rispetto a quelle originariamente proposte; b) soprattutto esse possono essere proposte anche nel caso in cui si sia già verificata la risoluzione del contratto per una delle cause previste dalla legge (artt. 1454,1455,1457 c.c.), dato che rientra nell’autonomia privata la facoltà di rinunciare agli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento (Cass. 25 ottobre 2010, n. 21838; Cass. 6 giugno 2017, n. 14014). Ma quest’ultima ipotesi non ricorre nel caso di specie, in quanto la rinuncia unilaterale agli effetti della risoluzione è legittima, se quest’ultima è prodotta dall’esercizio dei diritti riconosciuti alla parte non inadempiente, non se, come nella specie, le parti hanno consensualmente risolto il contratto, ponendo in essere un contrarius actus.

4. Per effetto del rigetto del secondo motivo, il primo diviene inammissibile per carenza di interesse.

Invero, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fondi su distinte ed autonome rationes decidendi, ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (v., ad es., Cass. 24 maggio 2006, n. 12372).

5. In conseguenza, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese, dal momento che la società intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

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