Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17475 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. II, 20/08/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 20/08/2020), n.17475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2538/2016 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE

7032, presso lo studio dell’avvocato DIMITRI GOGGIAMANI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA GIUSEPPE DAQUA, ALDO

ASSISI;

– ricorrente –

contro

A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONTE ROSSO

5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CASTAGNA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELA MARIA DE RENZO;

B.A., rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO RUSSO;

– controricorrenti –

e contro

C.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 693/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 23/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 15 marzo 2010 il Tribunale di Catanzaro, nella dichiarata contumacia di P.F.: a) ha dichiarato risolto il contratto concluso in data 22 gennaio 1987 tra A.D. e B.A., da un lato, e il P., T.G. e C.L., dall’altro; b) ha condannato questi ultimi, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei primi due, della penale contrattualmente concordata, a causa dell’inadempimento dell’obbligo assunto dal P., dal T. e dal C., di completare, entro il 22 gennaio 1988, sei appartamenti con relative mansarde rimasti in proprietà dei primi, nonostante la diffida ad adempiere trasmessa con raccomandata del 2 febbraio 1990; c) ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dal T., al fine di ottenere la condanna dell’ A. e della B. al risarcimento dei danni sofferti per avere da loro acquistato edifici realizzati senza il rispetto delle regole dell’arte.

2. Con sentenza depositata il 23 maggio 2015, la Corte d’appello di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto dai T. e l’appello proposto dal C..

Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che la doglianza del T., quanto al mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione, era infondata, dal momento che lo stesso, nella comparsa di costituzione e risposta depositata il 13 maggio 1998, aveva eccepito la prescrizione dell’azione di simulazione e non quella dell’azione di risoluzione, oggetto dell’atto di appello e inammissibile per novità; b) che neppure erano fondate le critiche relative al rigetto

dell’eccezione di inadempimento, giacchè, alla stregua dell’accertamento tecnico preventivo espletato in differente procedimento, nella primavera del 1991, ossia in epoca più vicina alla data in cui i convenuti in primo grado avrebbero dovuto completare la rifinitura degli appartamenti rimasti all’ A. e alla B. (22 gennaio 1988), era emerso che il fabbricato presentava lesioni di dissesto, più o meno accentuate nella parte centrale, che potevano suscitare allarme, ma che non impedivano il completamento delle unità abitative, in quanto non erano strutturali, non interessavano travi e pilastri, non si accompagnavano al cedimento o avvallamento di solai; c) che il consulente tecnico, intervenuto successivamente, in un contesto nel quale si doveva tener conto di uno stato di abbandono ultraventennale del fabbricato, pur accertando la presenza di lesioni, non era stato in grado di pervenire ad una conclusione sicura, quanto ai profili eziologici, poichè risultavano assenti le relazioni geologica e geotecnica e non erano reperibili i calcoli statici delle strutture; d) che, in definitiva, doveva ritenersi esattamente adempiuta la prestazione dell’ A. e della B.; e) che non vi era prova di una tempestiva denuncia dei vizi da parte degli acquirenti; f) che, a fronte degli immobili loro venduti dall’ A. e dalla B., gli acquirenti compratori, avevano omesso il pagamento integrale del prezzo, avevano realizzato un profitto, provvedendo ad alienare parte degli immobili acquistati e avevano omesso di realizzare i lavori pattuiti con riguardo agli immobili rimasti in proprietà dei venditori; g) che l’entità della penale, derivante da importi crescenti nel tempo, non era dipesa da uno squilibrio iniziale o sopravvenuto, ma dal mero decorso del tempo nell’inazione.

3. Avverso tale sentenza il T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi che investono i cinque capi della sentenza individuati dal ricorrente. Sono stati depositati distinti controricorsi nell’interesse dell’ A. e della B.. Nell’interesse del medesimo A. è stata depositata memoria, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi (per comodità, la numerazione seguirà i criteri di elencazione del ricorrente), prospettati congiuntamente dallo stesso ricorrente, si lamenta, rispettivamente: a) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., comma 2, in relazione agli art. 1325,1346 e 1343 c.c.; nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “inesistenza/omissione della motivazione sotto il profilo della inconciliabilità irriducibile tra affermazioni contenute nella stessa sentenza, della obiettiva incomprensibilità e del mancato esame di fatti decisivi oggetto di acquisizione giudiziale e di controversia tra le parti”; b) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 c.c., comma 1 e art. 1422 c.c., in relazione alla omessa applicazione dell’art. 1418 c.c..

Si osserva che: a) alla Corte distrettuale erano stati sottoposti puntuali motivi d’appello in ordine alla nullità dell’atto di cessione di cui al rogito notarile del 22 gennaio 1987 e alla collegata scrittura dissimulatoria; b) che dagli atti risultava, con oggettiva e incontestabile certezza, che gli appartamenti oggetto della compravendita erano stati edificati “in violazione essenziale del presupposto concessorio”, poichè al suo rilascio non era seguita l’acquisizione, sia pur postuma, del nulla osta del Genio civile per l’edificazione nelle zone sismiche, nè era stata attestata l’abitabilità; b) che comunque l’edificazione era avvenuta “contra legem, per come rilevato nella disposta CTU in I grado”, recepita dal giudice d’appello; c) che, infatti, il consulente aveva sottolineato l’assenza di ogni documentazione, inutilmente richiesta alla controparte, e, in particolare, delle relazioni geologica e geotecnica nonchè dei calcoli delle strutture che “non risultano, infatti, redatti (e, pertanto, depositati come previsto dalla Legge”; d) che il medesimo consulente aveva osservato come l’ipotesi più attendibile era che si fossero verificati cedimenti differenziali del terreno di posa per inidoneità delle strutture di fondazione realizzate in assenza di uno studio preliminare del terreno; e) che la conclusione era sorretta a livello indiziario dalla relazione redatta in sede di accertamento tecnico preventivo; f) che anche la relazione del consulente tecnico di parte confermava tali dati; g) che il giudice d’appello aveva avuto contezza del fatto che il direttore dei lavori, con apposita dichiarazione autocertificata del 5 marzo 2007, aveva attestato che per la tipologia dell’edificato C non era stato elaborato e presentato presso gli uffici competenti nessun adeguamento statico; h) che la scrittura privata del 22 gennaio 2007 era affetta sia da nullità propria, “in quanto elusiva ed evasiva di norme fiscali e di illecita attribuzione, di fatto e occulta, di beni societari a terzi, con falsificazione dei bilanci societari”, sia da nullità derivata dalla nullità del contratto base, ossia dell’atto pubblico di pari data, a rogito del notar L., con il quale la s.n.c. Villaggio Uria di A.D. e B.A. aveva venduto gli immobili al P., al T. e al C..

Le censure prospettate sono, nel loro complesso, infondate.

Va premesso che proprio i brani dell’atto di appello riportati dal ricorrente dimostrano che, contrariamente a quanto asserito in ricorso, il tema della nullità dell’atto pubblico e della contestuale scrittura privata del 22 gennaio 1987 non è stato posto ai giudici di secondo grado.

Sia il richiamo al difetto di qualità, sia il riferimento alle condizioni generali del complesso della costruzione, con conseguente impossibilità di eseguire la prestazione, la cui inattuazione era stata lamentata dalle controparti, concernono, infatti, questioni legate all’adempimento dell’impegno negoziale e neppure indirettamente investono profili di invalidità.

Solo per completezza, va aggiunto – visto che neppure il ricorrente deduce il profilo e anzi ne fa oggetto del sesto e del settimo motivo che distinta, sul piano logico – giuridico, rispetto ai temi sopra indicati, è la invocata “nullità e/o inefficacia della clausola penale sul punto dell’eccesiva onerosità e dell’illegittimità conseguente”, che appare tra le conclusioni in appello del T..

Ora, la nullità del contratto posto a base della pretesa fatta valere in giudizio è rilevabile, ai sensi dell’art. 1421 c.c., anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, fermo restando, tuttavia, che siffatto principio incontra, in sede di legittimità, il limite del divieto degli accertamenti di fatto, sicchè nel giudizio di cassazione la nullità è rilevabile solo se siano acquisiti agli atti tutti gli elementi dai quali possa desumersene l’esistenza (v., di recente, Cass. 29 luglio 2019, n. 20438; nella stessa prospettiva, v. anche, con specifico riferimento anche alla connessa questione del diritto di difesa della controparte, rispetto alle maturate preclusioni processuali, Cass. 9 agosto 2019, n. 21243; Cass. 19 febbraio 2020, n. 4175).

In tale cornice di riferimento, si osserva che il ricorrente, innanzi tutto, svolge rilievi su questioni che – a prescindere dalla ricorrenza in dei presupposti concreti – non integrano sempre e necessariamente ipotesi di nullità del contratto.

Secondo il fermo orientamento di questa Corte, infatti, va esclusa la nullità del contratto di compravendita di un immobile privo di autorizzazione all’abitabilità, ove tale carenza, pur attenendo alle qualità essenziali del bene, non impedisca concretamente ed in assoluto il godimento dello stesso (Cass. 29 novembre 2007, n. 24957).

Lo stesso è a dirsi per gli evocati profili di evasione fiscale che discenderebbero dalla simulazione del prezzo, giacchè le pattuizioni contenute in un contratto che siano dirette ad eludere, in tutto o in parte, la normativa fiscale, non implicano di per sè la nullità del contratto stesso, trovando nel sistema tributario le relative sanzioni. (Cass. 28 febbraio 2007, n. 4785).

Ma, soprattutto, sono i presupposti fattuali di tutte le cause di invalidità indicate (dall’assenza delle relazioni necessarie e dei calcoli statici, alla generale violazione della normativa antisismica, all’assenza di licenza di abitabilità di immobili di fatto inabitabili, per giungere alla sottrazione di risorse al fisco e alla società venditrice, con attribuzione a terzi) a non emergere con certezza dagli atti, se si considera: a) che, dalla stessa esposizione del ricorso, l’assenza della documentazione edilizia e urbanistica non è presentata come oggetto di accertamento del consulente presso gli uffici competenti, ma come la conseguenza tratta dal primo della mancata produzione ad opera della parte; b) che la non abitabilità di fatto degli immobili presuppone la dimostrazione che, all’epoca della consegna, gli stessi non possedessero i necessari requisiti per renderli idonei al godimento, laddove ben diverso è stato l’accertamento operato dai giudici di merito, come si è visto supra; c) che anche i profili concernenti le sottrazioni delle risorse alla società in disparte la questione della loro asserita invalidità – muovono da una apodittica (e, infatti, non resa esplicita) ricostruzione delle finalità della regolamentazione pattizia dei versamenti. previsti a carico degli acquirenti.

2. Con il terzo e il quarto motivo, prospettati congiuntamente dallo stesso ricorrente, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 1669 c.c. o, in subordine, dell’art. 2043 c.c.; b) dell’art. 1453 o dell’art. 1463 c.c..

Si rileva: a) che la Corte territoriale, senza porre in discussione il lamentato stato di ammaloramento progressivo della stabilità degli immobili e l’impossibilità di eseguire opere di completamento, aveva superato le doglianze dell’atto di appello, con riferimento allo stato degli stessi alla data di scadenza dell’obbligazione (22 gennaio 1988); b) che, in definitiva, dalla comparata valutazione del comportamento contrattuale delle parti doveva derivare l’accoglimento della domanda ripristinatoria dei danni subiti dagli acquirenti nonchè della domanda risarcitoria.

Sebbene prospettate in termini di violazione di legge, le doglianze aspirano a rimettere in discussione – inammissibilmente in questa sede – gli accertamenti, sopra ricordati, operati dalla Corte territoriale, quanto all’adempimento puntuale, da parte delle controparti, e all’inesistenza di una tempestiva denuncia dei vizi da parte degli acquirenti.

Al riguardo, posto che la sentenza impugnata è stata depositata in data 23 maggio 2015, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge di Conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

3. Con il quinto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 155 c.p.c., sottolineando la tempestività dell’eccezione di prescrizione sollevata, dal momento che, rispetto alla udienza di prima comparizione indicata in citazione (2 giugno 2008), doveva essere considerata tempestiva la costituzione del 13 maggio 2008.

La doglianza è inammissibile, poichè non si confronta con la ratio decidendi, che ha riguardo non alla tempestività della costituzione in primo grado ma, al fatto che in quella sede, era stata sollevata l’eccezione di prescrizione non dell’azione di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno (quale invece inammissibilmente formulata in appello), ma della diversa azione di simulazione relativa.

4. Con il sesto motivo e il settimo motivo, prospettati congiuntamente dallo stesso ricorrente, si lamenta: a) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 – 1382 e 1384 c.c.; b) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, assenza e, in parte, incongruità della motivazione. Rileva il ricorrente: a) che nell’atto di appello era stata dedotta l’estraneità della clausola penale all’obbligazione di completare i sei appartamenti non oggetto del contratto di vendita; b) che era stata rilevata la nullità o l’inefficacia della stessa ed era stata richiesta la riduzione dell’importo previsto.

Le doglianze relative alla nullità della clausola per invalidità derivata dalla nullità dell’atto pubblico e della scrittura privata del 22 gennaio 1987 restano travolte dalle considerazioni sviluppate supra sub 1, quanto ai primi due motivi di impugnazione.

Con riguardo alla lamentata omessa pronuncia concernente il punto dell’estraneità della clausola rispetto all’obbligazione di completamento degli appartamenti dei quali si discute, si osserva che la questione non emerge dalle conclusioni dell’appellante riportate dalla sentenza impugnata e ad essa del tutto genericamente il ricorrente fa riferimento nel ricorso.

E’ il controricorrente A. a riportare il brano dell’appello del T. nel quale si legge che “tra l’altro dalla lettura attenta della scrittura privata inter partes sembrano essere tenuti fuori dalla prevista penale” i “sei appartamenti incriminati”.

Ma siffatta formulazione che, si ripete, non trova ricadute nelle conclusioni riportate, non esprime alcuna specifica critica alla decisione di primo grado, ossia non costituisce, all’evidenza, motivo di appello. Le critiche che investono la denegata riduzione dell’importo previsto a titolo di penale sono inammissibili per l’assoluta genericità di formulazione, a fronte dell’accertamento motivato della Corte distrettuale.

Al riguardo, va ribadito che l’apprezzamento della eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, e della misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità se non negli aspetti relativi alla motivazione (Cass. l ottobre 2018, n. 23750).

5. In conseguenza, il ricorso va rigettato.

In relazione a siffatte conseguenze, va considerato quanto segue a proposito della rilevata assenza dell’avviso di ricevimento con riguardo alla notifica del ricorso al C. e dello stesso tentativo di notifica al P..

Al riguardo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quando sia chiesta la risoluzione per inadempimento di un contratto con pluralità di parti, sorge la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i contraenti, tutte le volte che, venendo in rilievo, come nella specie, un accordo unico plurisoggettivo e non un insieme di distinti ed autonomi accordi – il rapporto dedotto in giudizio, per la sua unicità, non può essere risolto nei confronti di alcuni e rimanere vincolante ed efficace per gli altri (v., Cass. 16 febbraio 2005, n. 3105; v. anche i principi affermati da Cass. 6 agosto 1997, n. 7283; Cass. 10 gennaio 2003, n. 203).

Certamente va escluso che la questione possa essere risolta per l’esito positivo della notifica del controricorso, dal momento che, come osservato da Cass. 1 ottobre 2009, n. 21073, nel processo di cassazione, l’integrazione del contraddittorio deve avvenire, come si deduce anche dall’art. 371-bis c.p.c., mediante notifica di un atto che abbia il medesimo contenuto di quello che avrebbe dovuto essere notificato in origine, ossia del ricorso, mentre non è sufficiente la notifica di un atto che si riproduca il solo controricorso.

Tuttavia, è altresì, vero che nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia prima facie infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (v., ad es., Cass. 10 maggio 208, n. 11287).

6. Per effetto del rigetto del ricorso, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.500.00, per A.D., e in Euro 6.500,00 per B.A., per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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