Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17475 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 28/05/2021, dep. 17/06/2021), n.17475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2782/2014 R.G. proposto da:

M.L., rappresentato e difeso, come da procura speciale a

margine del ricorso, dagli avv.ti Scagliarini Gianni e Imbardelli

Fabrizio, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in

Roma, via di Porta Pinciana, n. 4;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 38/18/13 della Commissione Tributaria

regionale dell’Emilia Romagna depositata in data 19 giugno 2013;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 maggio 2021

dal Consigliere Condello Pasqualina Anna Piera;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore generale, Dott. Cardino Alberto, che ha concluso

chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.G., notaio, impugnò dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bologna la cartella esattoriale emessa, a seguito di controllo formale della dichiarazione dei redditi, per il recupero a tassazione, in relazione all’anno d’imposta 2005, di somme scomputate a titolo di ritenute d’acconto su redditi di lavoro autonomo per le quali i sostituti d’imposta avevano omesso di trasmettergli le certificazioni attestanti il versamento delle ritenute stesse.

I giudici di primo grado respinsero il ricorso, osservando che il contribuente non aveva dimostrato con idonea documentazione di avere subito le ritenute, non ritenendo a tal fine sufficiente la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà dallo stesso prodotta.

2. Proposta impugnazione, il contribuente chiese, in via istruttoria, alla Commissione tributaria regionale di ordinare all’Agenzia delle entrate la produzione in cancelleria dei documenti consegnati nella fase precedente al giudizio. I giudici di appello, disposto, con ordinanza, il deposito, da parte dell’Agenzia delle entrate, della documentazione che il contribuente affermava di avere consegnato all’Ufficio finanziario in data 13 gennaio 2009 a dimostrazione delle ritenute d’acconto subite, rigettarono l’impugnazione.

Motivarono che il Moruzzi aveva asserito di avere depositato due casse di documenti, mentre l’Ufficio aveva presentato presso la Cancelleria, in data 18 settembre 2012, n. 21 documenti insufficienti ed inadeguati; osservarono, altresì, che il contribuente, che pure avrebbe potuto, nel suo interesse, rimediare alla eventuale carenza della produzione documentale dell’Ufficio finanziario, non aveva fornito la documentazione attestante, importo per importo, di avere subito le ritenute (copia delle fatture e prova del pstlwpsiiittione 17/06/2021 al netto della ritenuta).

3. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione contro la decisione d’appello, affidato a due motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso.

In prossimità dell’udienza pubblica il contribuente ha provveduto al deposito telematico di memoria ex art. 378 c.p.c., non avendo avanzato istanza di discussione orale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – rubricato: “violazione e/o falsa applicazione di norme di legge singolarmente ed in combinato disposto fra loro, ed in particolare del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 4 (vertente sulle modalità di dichiarazione e certificazioni dei sostituti d’imposta), del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-ter (vertente sul controllo della dichiarazione dei redditi del contribuente), in rapporto al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 22 (scomputo delle ritenute d’acconto subite) ed al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, che stabilisce il divieto di doppia imposizione, nonchè – in punto istruttorio/documentale – della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 4, (Statuto del contribuente), statuente il divieto di richiedere al contribuente documenti già in possesso di essa Amministrazione finanziaria” – il contribuente lamenta che la C.T.R. avrebbe respinto l’appello sulla base della circolare dell’Agenzia delle entrate n. 68 del 19 marzo 2009, secondo la quale unico mezzo utile al fine del corretto scomputo per il professionista delle ritenute subite dalla propria dichiarazione Irpef doveva ritenersi l’esibizione all’Amministrazione finanziaria della dichiarazione “cartacea”, sottoscritta dal sostituto d’imposta, di avvenuto pagamento; in tal modo dando prevalenza alla circolare piuttosto che alle norme.

Assume, altresì, che l’Amministrazione finanziaria, non potendo pretendere dal contribuente, a norma dell’art. 6 Statuto del contribuente, comma 4, documenti ed informazioni già in suo possesso, avrebbe dovuto preliminarmente procedere all’esame dei modelli 770 dei sostituti d’imposta per verificare se negli stessi risultasse l’indicazione delle ritenute operate, piuttosto che imporgli un onere probatorio documentale molto oneroso, considerato, peraltro, che la certificazione di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 4 non dimostrava il pagamento delle ritenute e non costituiva condicio sine qua non per lo scomputo delle medesime. Precisa, peraltro, che in sede di chiarimenti, aveva depositato tutte le fatture del periodo di riferimento, i registri degli acquisti e delle spese, nonchè dichiarazione giurata sostitutiva di atto notorio con la quale aveva attestato la fedeltà, buona tenuta e corrispondenza al vero di quei dati contabili.

Soggiunge che il mancato analitico controllo dell’Amministrazione finanziaria viola anche il divieto di doppia imposizione, poichè il mancato riconoscimento delle ritenute operate, ma non certificate, comporta un duplice prelievo, prima in capo al sostituto e dopo in capo al sostituito.

Ribadisce che, per il professionista, l’unico modo possibile di provare lo scorporo è l’esibizione delle copie di tutte le fatture, nonchè dei libri contabili obbligatori nei quali vengono annotate le operazioni derivanti dalle fatture, sulla cui base viene poi predisposta la dichiarazione dei redditi; osserva come l’art. 22 T.U.I.R. consenta lo scomputo delle ritenute operate dal sostituto, a prescindere dal fatto che esse siano state effettivamente versate, e che questa Corte, con la sentenza n. 3725 del 1979 ha stabilito come il mancato rilascio dell’attestazione dell’avvenuta ritenuta non possa comportare l’obbligo di pagare nuovamente l’imposta, non essendovi solidarietà del debito.

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Pur avendo fornito in sede di chiarimenti copiosa documentazione (fatture emesse nell’anno 2005, libri contabili da cui risultava il netto percepito, nonchè dichiarazione giurata che la documentazione si riferiva a fatture regolarmente contabilizzate), l’Agenzia delle entrate aveva inspiegabilmente smarrito detti documenti decisivi ai fini della causa. Sia in primo che in secondo grado aveva formulato istanza istruttoria affinchè l’Agenzia delle entrate reperisse e depositasse la documentazione già versata in sede di chiarimenti, ma l’Ufficio finanziario non aveva ottemperato all’ordine disposto dal giudice, violando la disposizione di legge che vietava al Fisco di richiedere al contribuente documenti già in suo possesso.

Deduce, inoltre, che la motivazione della sentenza è scarna e non considera tutta la documentazione prodotta ai fini della dimostrazione dei corretti adempimenti nell’ambito della redazione della propria dichiarazione dei redditi per l’anno oggetto di contestazione, rilevante e decisiva, smarrita dall’Agenzia delle entrate.

3. I motivi di ricorso, che possono essere scrutinati congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

3.1. Anche prima che intervenisse il mutamento del quadro normativo per effetto del D.L. 31 maggio 1994, n. 300, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 luglio 1994, n. 473, che ha emendato il D.P.R. n. 600 del 1974, art. 3, sopprimendo l’obbligo di allegare alla dichiarazione dei redditi il certificato del sostituto d’imposta attestante le ritenute operate, con risalenti pronunce si è affermato che l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la suddetta certificazione non toglie al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (Cass., sez. 1, 4/08/1994, n. 7251); con l’ulteriore precisazione che, anche ove non abbia allegato alla dichiarazione dei redditi il certificato del sostituto d’imposta, il sostituito può comunque contestare in giudizio il recupero della detrazione, producendo al giudice tributario la documentazione relativa alle ritenute subite, stante la generale emendabilità della dichiarazione fiscale (Cass., sez. 5, 19/02/2004, n. 3304) e il contribuente non può essere assoggettato di nuovo all’imposta sol perchè chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l’attestato da esibire al fisco (Cass., sez. 5, 3/07/1979, n. 3725).

3.2. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 22, dedicato allo scomputo delle ritenute d’acconto, subordina attualmente la detrazione dall’imposta delle ritenute alla sola condizione che esse siano state “operate”, sicchè assume rilevanza il fatto oggettivo della loro applicazione, che può essere comprovato non solo con la certificazione rilasciata dal sostituto di imposta, ma anche con altri mezzi di prova equipollenti.

In questo senso si è espressa anche l’Agenzia delle entrate con la Circ. 19 marzo 2009, n. 68/E, con la quale ha riconosciuto che, laddove il contribuente non abbia ricevuto, nei termini di legge, dal sostituto d’imposta la certificazione delle ritenute effettivamente subite, sia comunque legittimato allo scomputo delle stesse, “a condizione che sia in grado di documentare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente dalle banche o altri intermediari finanziari, idonea a comprovare l’importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura”.

3.3. Quanto detto comporta, come ha avuto modo di evidenziare questa Corte (Cass., sez. 5, 7/06/2017, n. 14138), che “la norma sul controllo formale delle dichiarazioni usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate deve essere integrata secondo i principi generali della prova. In altri termini, quando stabilisce che gli uffici “possono” escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d’imposta, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-ter deve essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) “possono” apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso equipollenti”.

3.4. La Commissione tributaria regionale, secondo quanto emerge dalla motivazione della decisione impugnata, non ha escluso la possibilità, per il contribuente, di avvalersi di una prova equipollente al fine di dimostrare le ritenute subite, ma piuttosto, ritenendo di dover verificare la validità ai fini probatori della documentazione che il contribuente asserisce di avere consegnato in sede di chiarimenti all’Agenzia delle entrate, ha ordinato a quest’ultima, nel corso del giudizio, l’esibizione di tale documentazione, rilevando all’esito della produzione che la stessa non fosse adeguata e sufficiente a comprovare gli importi dei compensi effettivamente percepiti, al netto delle ritenute, mancando copia delle fatture recanti la indicazione specifica delle ritenute applicate.

Sono, dunque, infondate le censure rivolte alla sentenza impugnata con le quali ci si duole che il giudice di appello abbia ritenuto prevalente la circolare n. 68/E sopra richiamata sulle norme di legge, come pure le prospettate violazioni del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 4, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-ter, non essendosi i giudici di appello discostati dai principi sopra richiamati.

3.5. La decisione assunta dalla C.T.R. con la sentenza in questa sede impugnata neanche si pone in contrasto con la pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte n. 10378 del 12 aprile 2019 -richiamata dal contribuente nella memoria ex art. 378 c.p.c. – che ha enunciato il principio secondo cui “nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dal D.P.r. n. 602 del 1973, art. 35 è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute”.

Infatti, le Sezioni Unite, con la sentenza da ultimo citata, osservando che la tesi della solidarietà è stata tradizionalmente fondata sul presupposto che l’obbligazione del versamento fosse unica, sia per il sostituto, sia per il sostituito e che, alla stessa, fosse perciò in origine tenuto in via solidale anche il sostituito, in applicazione dell’art. 1294 c.c., ha ritenuto di non condividere tale orientamento, sottolineando che la speciale fattispecie di solidarietà del sostituito per l’obbligazione di versamento dell’acconto d’imposta, in caso di inadempimento del sostituto, sia espressamente condizionata (anche dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 35) alla circostanza che non siano state operate le ritenute.

Ciò significa che, sebbene sia esclusa la solidarietà passiva tra sostituto e sostituito per l’obbligazione di versamento dell’acconto d’imposta, in caso di inadempimento del sostituto, tale esclusione opera a condizione che le ritenute siano state operate, circostanza questa che i giudici regionali hanno ritenuto, nel caso in esame, non dimostrata.

3.6. Quanto, poi, alla dedotta violazione, da parte dell’Agenzia delle entrate, del divieto di richiedere al contribuente documenti già in suo possesso, anche prescindendo dai profili di inammissibilità della doglianza, fatti valere in controricorso dall’Agenzia delle entrate, la quale ha eccepito la novità della censura, deve osservarsi che non può desumersi dalla lettera datata 13 gennaio 2009 – riportata nel ricorso per cassazione in omaggio al principio di autosufficienza – l’avvenuta consegna, da parte del contribuente all’Ufficio finanziario, di tutte le fatture relative al periodo oggetto di contestazione, ritenute dal giudice d’appello necessarie per comprovare gli importi effettivamente percepiti al netto della ritenuta, sicchè diviene irrilevante ogni considerazione in merito ad una eventuale inottemperanza dell’Ufficio all’ordine di esibizione impartito dal giudice d’appello ed ai conseguenti effetti, ai fini probatori, da essa derivanti.

Neppure è ravvisabile violazione del divieto di doppia imposizione (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67), che postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto (Cass., sez. 5, 25/05/2016, n. 10793), poichè nel caso di specie non si chiede al sostituito il pagamento di un’imposta già effettuato dal sostituto e, quindi, si esula dall’ipotesi di imposta applicata due volte.

4. Parimenti insussistente è il denunciato vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dedotto con il secondo mezzo di ricorso.

4.1. Nell’illustrazione del motivo il ricorrente ha ribadito di avere prodotto la documentazione necessaria e sufficiente al fine di dimostrare tutti gli adempimenti richiesti ai fini della redazione della propria dichiarazione dei redditi e di non avere allegato documentazione bancaria, stante l’impossibilità di dimostrare con tale documentazione il versamento dell’importo delle singole fatture, al netto delle ritenute subite, dato che ogni studio notarile percepisce mediamente una decina di incassi giornalieri, costituiti anche da fatture di minimo importo, ed eseguono un unico versamento giornaliero, nel quale sono ricompresi non solo i pagamenti effettuati con assegni, ma anche quelli in contanti, con indicazione della sola cifra totale, senza possibilità di individuare a quali fatture il versamento (giornaliero) si riferisca; con la conseguenza che la documentazione bancaria non è idonea a fornire la prova richiesta dall’Agenzia delle entrate.

4.2. Con la censura così formulata il ricorrente si limita, in realtà, a denunciare l’insufficienza della motivazione e l’impossibilità di comprovare mediante la documentazione bancaria le ritenute subite, ma non imputa alla Commissione tributaria regionale di avere trascurato l’esame di un fatto storico che, se adeguatamente valutato, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione; in sostanza, a fronte della ricostruzione fattuale operata dai giudici di appello, le critiche rivolte tendono ad una inammissibile richiesta di una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie, preclusa al giudice di legittimità.

Infatti, la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata (Cass., sez. U., 7/04/2014, n. 8053; Cass., sez. U., 18/04/2018, n. 9558; Cass., sez. U., 31/12/2018, n. 33679) nell’affermare che: a) il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; b) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; c) neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; cosicchè nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, e che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.

Pertanto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Non è allora sindacabile in questa sede il giudizio espresso dai giudici di merito in ordine agli elementi probatori acquisiti, considerato, peraltro, che il ricorrente nemmeno spiega se e in quale modo abbia rappresentato al giudice di appello l’esistenza di specifici “fatti”, pacifici o documentati, ne ricostruisce nel ricorso le singole operazioni asseritamente mal valutate dalla Commissione regionale, allegando i relativi riscontri documentali, sicchè la doglianza così come formulata difetta di autosufficienza.

5. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 (quattromila/cento) per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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