Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17469 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. II, 20/08/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 20/08/2020), n.17469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4811/2019 proposto da:

P.C., SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA

PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se

medesimo;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 933/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 20/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Procura Generale di Ancona ha proposto ricorso per cassazione contro decreto del Presidente della Corte d’appello di Ancona, che ha accolto l’opposizione proposta dall’avv. A.A., il quale si era vista respingere la propria richiesta di liquidazione del compenso per l’attività svolta in favore di soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato in un processo penale, essendo decorsi oltre tre anni dalla data di conclusione del procedimento.

Il Presidente ha riformato il provvedimento in base al rilievo che il meccanismo previsto per la liquidazione è contrassegnato da formalità tali da rendere inapplicabile la disciplina della prescrizione presuntiva, la cui ratio si fonda su considerazioni improponibili nel rapporto fra lo Stato e il difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio.

Il ricorso è proposto sulla base di un solo motivo, cui l’avv. A. ha resistito con controricorso.

L’unico motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 2656 c.c., n. 2. Si sostiene che il credito del difensore di parte ammessa al gratuito patrocinio non è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, ma a quella breve di tre anni.

La causa, avviata per la trattazione camerale in sesta civile, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza del 16 maggio 2019.

Il motivo è infondato.

Le prescrizioni presuntive, che trovano fondamento e ragione solo in quei rapporti che si svolgono senza formalità, in relazione ai quali il pagamento suole avvenire senza dilazione nè rilascio di quietanza scritta, non operano quando il contratto sia stato stipulato per iscritto e quando le parti abbiano pattuito il differimento dell’obbligo di pagamento del dovuto (Cass. n. 8200/2006; n. 10379/2018).

Ora se questa è la ragione che giustifica la prescrizione presuntiva è chiaro che essa non è applicabile per definizione al credito del difensore di parte ammessa al gratuito patrocinio, tenuto conto che la liquidazione implica apposita richiesta scritta del difensore al giudice competente, che a sua volta provvede sulla liquidazione con decreto.

E’ quindi inconcepibile che ci sia un pagamento cui non faccia riscontro un documento scritto, il che paralizza in radice l’applicabilità della prescrizione presuntiva nella materia in esame, come recentemente stabilito da questa stessa sezione in materia di pagamento per compensi professionali di avvocato per attività svolta in difesa di collaboratore di giustizia (Cass. n. 30539/2017).

In quella occasione la Corte fece applicazione del principio, pertinente pure alla materia in esame, secondo cui “esula dalla previsione della norma di cui all’art. 2956 c.c., n. 2, il credito verso un Comune nascente da contratto scritto, atteso che detto ente, a norma del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, artt. 324 e 325, può effettuare pagamenti soltanto mediante mandati, tramite il proprio tesoriere, che esige quietanza per ogni pagamento (Cass. n. 1304/2005).

In conclusione il ricorso è rigettato.

In quanto alle spese di lite si ricorda che l’ufficio del Pubblico Ministero, in questa materia (D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84,170), è titolare del potere di impugnazione avverso il decreto di liquidazione, (Cass. n. 8616/2002; n. 5314/2018), ma vale pur sempre il principio che l’ufficio, in quanto titolare di poteri esclusivamente processuali, diversi da quello svolti dalle parti ed esercitati per dovere d’ufficio nell’interesse pubblico, non può essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonostante la soccombenza (Cass. n. 19711/2015n. 20652/2011).

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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