Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17462 del 22/08/2011

Cassazione civile sez. I, 22/08/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 22/08/2011), n.17462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28609/2005 proposto da:

COMUNE DI SALERNO (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE TIZIANO 80, presso

l’avvocato RICCIARDI PAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato

RICCIARDI Edilberto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.E., R.G., D.B.F.

P.;

– intimati –

sul ricorso 32378/2005 proposto da:

R.G. (c.f. (OMISSIS)), R.E.

(C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA M.

PRESTINARI 15, presso l’avvocato FINELLI LUCIA, rappresentati e

difesi dagli avvocati DI PRISCO NICOLA, CAPOBIANCO LEONZIO, giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

COMUNE DI SALERNO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE TIZIANO 80, presso l’avvocato RICCIARDI

PAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato RICCIARDI EDILBERTO,

giusta procura in calce al ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

D.B.A., D.B.F.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 483/2004 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 30/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

preliminarmente, si procede alla riunione dei ricorsi;

udito, per il ricorrente principale, l’Avvocato EDILBERTO RICCIARDI

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale; rigetto

dell’incidentale;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato

LEONZIO CAPOBIANCO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale;

l’accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo per quanto di ragione; accoglimento del quinto motivo;

inammissibilità o rigetto restanti motivi del ricorso principale;

per l’inammissibilità del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 24 ottobre 2001, R.G. ed E. assumevano di essere comproprietari, rispettivamente per 2/9 e 5/9 con Ri.Gi., proprietaria per i 2/9, di lotti di terreni siti in (OMISSIS) in prossimità della località (OMISSIS), alla partita 3958 foglio 36, particelle 910, 912 ed alla partita 1895, foglio 36 nn. 913 e 914, pervenuti per successione mortis causa del padre R.F., gravati di usufrutto uxorio in favore della madre S.E., consolidatosi alla nuda proprietà al decesso della stessa il 4/6/1969.

Gli attori esponevano: che l’Istituto Autonomo Case Popolari di Salerno era stato delegato ad eseguire, in nome e per conto del Comune, il procedimento espropriativo delle aree indicate; che nell’espletamento della delega, l’Istituto aveva seguito la procedura sino al decreto sindacale n. 62319 del 7 ottobre 1982 con il quale, ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 11, erano state fissate le indennità provvisorie di espropriazione; che gli esponenti, con atto a rogito notaio Di Fluri del 10/12/1984, avevano ceduto al Comune di Salerno gli immobili sopra descritti per il prezzo complessivo di L. 1 27.027.000, ivi compresa la maggiorazione del 50% secondo le disposizioni di legge; che nell’atto, all’art. 5 era stato previsto che il prezzo era stato pagato “salvo i diritti che potranno scaturire da leggi emanande o emanate con riferimento specifico alle decisioni della Corte Costituzionale”; che tale inciso era stato aggiunto in un secondo momento, attraverso una postilla che sostituiva la precedente dicitura “salvo il conguaglio previsto dalla L. 29 luglio 1980, n. 385, e successive integrazioni”, che era tale da generare indeterminatezza dell’oggetto, atteso che il rinvio era stato annullato dalla decisione della Corte costituzionale, n. 223 del 1983, mentre il rinvio ad emanande o emanate leggi, con riferimento alle pronunce del Giudice delle Leggi, consentiva una certa determinazione, grazie alla L. 8 agosto 1992, n. 359, che all’art. 5 aveva previsto un criterio certo relativamente all’indennità di esproprio di suoli non agricoli; che anche tale normativa aveva subito la dichiarazione di parziale incostituzionalità, con la sentenza n. 283 del 16 giugno 93; che successivamente, era intervenuto il Legislatore con la L. n. 539 del 1995 e successivamente con il D.P.R. n. 327 del 2001; di avere più volte sollecitato il Comune di Salerno a pagare il conguaglio sin dal 1994, con una prima lettera del 14 settembre 1994, così interrompendo la prescrizione decennale, a cui aveva fatto seguito la risposta del Comune ed infine con altre missive, del novembre “V94 e dell’ottobre 95.

Gli esponenti facevano pertanto valere il diritto alla determinazione del conguaglio sul prezzo pagato in conformità delle disposizioni di legge in materia con riferimento alle decisioni della Corte costituzionale, oltre al risarcimento del danno, gli interessi e la rivalutazione, ovvero in via subordinata, la declaratoria di nullità dell’atto indicato per indeterminatezza dell’oggetto, con la determinazione dell’indennità espropriativa; deducevano di avere precedentemente agito in tal senso in giudizio nei confronti del Comune di Salerno avanti al Tribunale, ma che, a seguito della sentenza delle S.U. 7191 del 1997, il giudizio era stato cancellato dal ruolo, in quanto pendente avanti al giudice incompetente, per cui gli attori avevano provveduto ad introdurre il giudizio avanti alla corte d’appello. Il Comune di Salerno si costituiva e contestava la fondatezza della domanda. Veniva disposta ed espletata C.T.U..

La Corte d’appello, con sentenza depositata in data 30 settembre 2004, ha condannato il Comune di Salerno a pagare in favore degli attori la somma di Euro 108.605,71 oltre interessi legali e maggior danno da svalutazione monetaria, nella misura in cui il tasso di svalutazione monetaria, calcolato secondo gli indici Istat, aveva superato quello legale, dal 10 febbraio 1984 sino al soddisfo e la somma di Euro 33.185,08, oltre interessi legali dalla scadenza dei singoli ratei annuali e maggior danno da svalutazione monetaria come sopra indicato, dal 10 febbraio 1984 sino al soddisfo; ha condannato infine il Comune alla rifusione alla controparte delle spese di lite, comprese le spese della C.T.U..

La Corte del merito è pervenuta alla decisione sulla base delle seguenti argomentazioni: il C.T.U., le cui conclusioni sono condivise dalla Corte, ha valutato che l’area ablata è di mq. 2600 e per tale misura è qualificabile, con valore unitario di mercato alla data del rogito notarile di cessione volontaria in Euro 47,14 al mq., per cui il valore complessivo è pari ad Euro 122.564,00; la superficie de qua nel PEEP – Q2 e Q4, approvato con delibera del Consiglio comunale n. 131 del 26/9/1942, risulta destinata alla realizzazione di strada pubblica e di attrezzature sanitarie e va valutata pertanto come suolo edificabile; quanto all’accertamento del valore dell’immobile indicato nell’ultima dichiarazione lei, essendo la procedura ablativa anteriore al 31 dicembre 92, non poteva applicarsi il D.L. n. 504 del 1992, art. 16; quanto alla determinazione del valore venale di mercato, il C.T.U. ha tenuto conto delle destinazioni urbanistiche della zona ove ricade l’area, a prescindere dalla destinazione funzionale di previsione(nell’ambito della zona edificatoria) che per lo stesso suolo ha previsto il relatore del Piano; il Consulente d’ufficio ha adottato il criterio della stima analitica e della stima deduttiva riferite alla data del decreto di esproprio, assunta coincidente con il 10/12/1984, pervenendo alla determinazione del valore di mercato, unitario e complessivo, mediando i valori ottenuti con i due criteri indicati.

La Corte d’appello ha precisato che, ai fini dei conteggi dell’eventuale differenza, occorreva fare riferimento alla data del 10 dicembre 1984, quale data della cessione volontaria, e che nel caso non era operante la riduzione del 40%, tenuto conto della non congruità della somma liquidata in favore degli istanti con il rogito di cessione.

La Corte del merito pertanto è pervenuta alla determinazione della somma complessiva di L. 237.316.996, da cui ha detratto la somma di L. 27.027.000, da cui la differenza di L. 210.289.996, pari ad Euro 108.605,71, oltre interessi legali dal 10/12/1984 sino al soddisfo;

quanto all’occupazione legittima, durata nel complesso sei anni, un mese e dieci giorni, ha calcolato il corrispettivo nella misura dell’interesse annuo al saggio legale del 5%, oltre interessi legali dalla scadenza dei ratei annuali al soddisfo.

Ha poi riconosciuto il maggior danno da svalutazione monetaria, nella misura in cui il tasso annuale di svalutazione monetaria calcolato secondo gli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati aveva superato il tasso legale.

La Corte d’appello ha respinto l’eccezione di prescrizione, sollevata dal Comune, ritenendo validamente interrotta la prescrizione con la raccomandata A.R. del 19 novembre 1994, applicabile anche per l’integrazione del prezzo della cessione volontaria; ha respinto la seconda eccezione del Comune, che sosteneva che l’atto di trasferimento per cessione volontaria stipulato il 10/12/1984, dopo un anno dalla sentenza della Corte costituzionale sulla L. n. 385 del 1980, non consentiva al privato di invocare successivamente alla cessione il diritto all’integrazione del prezzo, rilevando che come chiaramente si legge nella postilla n. 1 del rogito notarile, le parti non avevano fatto alcun riferimento alla L. n. 385 del 1980, per cui mancava il presupposto fatto valere dal Comune con l’eccezione in oggetto.

La Corte del merito ha respinto anche la terza eccezione del Comune, secondo cui i cespiti avevano natura agricola, con conseguente inapplicabilità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, attesa la specifica confutazione nella relazione del C.T.U. e ha richiamato per l’integrazione del prezzo di cessione volontaria la pronuncia del Supremo collegio n. 2496 del 1998; ha ritenuto inammissibile la questione relativa alla declaratoria di nullità del contratto di cessione ed al risarcimento del danno; quanto alla decorrenza degli effetti del decreto di occupazione, ha richiamato quanto affermato dalla Corte Cost. nella sentenza 470 del 1990 e ha respinto la pretesa del Comune di escludere dai conteggi l’indennità di occupazione, atteso il contenuto della raccomandata A.R. del 10/11/1994; ha ritenuto tutte le ulteriori deduzioni difensive del Comune esposte in comparsa conclusionale ed in memoria di replica inammissibili.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione il Comune di Salerno affidato a sette motivi. Si difendono con controricorso R.G. ed E., proponendo ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Il Comune ha provveduto ad integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi di Ri.Gi..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo del ricorso, il Comune denuncia violazione e falsa del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, come introdotto dalla Legge di Conversione n. 359 del 1992 e successive modifiche; omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Secondo il ricorrente, la Corte d’appello, in palese contraddizione con le affermazioni fatte, ha concluso che dalla somma di L. 237.316.996 andavano detratte L. 27.027.000, con un residuo di L. 210.289.996 oltre interessi legali dal 10 dicembre 1984; l’errore commesso è macroscopico, giacchè la Corte ha confuso il valore complessivo dell’area calcolata dal C.T.U. in Euro 122.564,00 (L. 237.316.996) con quello dell’indennità di espropriazione pure calcolata dal C.T.U. secondo l’art. 5 bis nel valore complessivo di Euro 61.542,00 (L. 119.161.928,30).

1.2.- Con il secondo motivo, il Comune denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, come introdotto dalla Legge di Conversione n. 359 del 1992 e successive modifiche, L. n. 1150 del 1942, artt. 7 e 40; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia.

La sentenza gravata ha affermato che la superficie nel PEEP – Q2 e Q4, approvato con delibera del Consiglio comunale 131 del 1972 risultava destinata alla realizzazione di strada pubblica e di attrezzature sanitarie, senza approfondire se l’affermata edificabilità fosse legale e realizzabile, omettendo di considerare che ben prima dell’approvazione del P.E.E.P. era in vigore il P.R.G. del Comune di Salerno.

La porzione dell’area destinata a strada, secondo già le previsioni del P.R.G. del 1966, non era legalmente edificabile se non nei limiti fissati nello strumento urbanistico e quindi, a tutto concedere, non era possibile effettuare una valutazione unitaria del valore di mercato dei 2600 mq ablati, per la somma di Euro 47,14 al mq.

La Corte del merito ha quindi omesso di accertare quali fossero le possibilità edificatorie del suolo ceduto alla luce del vincolo a strada apposto dallo strumento urbanistico e omesso di motivare le ragioni per le quali le aree con tale destinazione avevano un valore di mercato pari a quello dei suoli edificabili legalmente e potenzialmente per la realizzazione di “attrezzature sanitarie”;

l’asserzione che l’area va valutata come suolo edificabile costituisce motivazione solo apparente.

1.3.- Con il terzo motivo, il Comune denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, L. n. 2359 del 1865, art. 39, artt. 1224, 1282 c.c., e principi generali in tema determinazione del valore venale degli immobili soggetti ad espropriazione e di liquidazione delle relative indennità; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Il criterio di calcolo seguito dal C.T.U. è errato, giacchè non è corretto l’accertamento del valore del fondo attraverso la comparazione con il prezzo di immobili omogenei oggetto di trasferimento, in un periodo diverso dalla data di esproprio, riportando poi il dato monetario a ritroso fino alla data di esproprio con uso delle tabelle Istat che riflettono la variazione dei prezzi, ma non tengono conto delle quotazioni di mercato degli immobili.

La sentenza ha condannato il Comune al pagamento non solo della somma errata, ma anche degli interessi e del maggior danno in misura pari alla svalutazione; nel caso di specie, il credito azionato è divenuto liquidabile a tutto concedere solo con la pubblicazione della L. n. 359 del 1992, mentre la Corte territoriale ha fatto proprie le erronee determinazioni del valore venale mediante l’ inammissibile applicazione a ritroso degli indici Istat ed ha fissato la decorrenza degli interessi e della rivalutazione dalla stipula del rogito piuttosto che dall’agosto 1992.

1.4.- Con il quarto motivo, il Comune si duole della violazione e falsa applicazione del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, introdotto dalla Legge di Conversione n. 359 del 1992, art. unico; dell’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Le censure sopra formulate si riflettono sull’ ulteriore assunto della Corte territoriale, relativo alla congruità della somma liquidata con il rogito di cessione.

1.5.- Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

La Corte territoriale ha condannato il Comune anche al pagamento della somma di 33.185,08 Euro oltre interessi legali e maggior danno, per una presunta indennità in relazione ad un asserito periodo di occupazione legittima; tale tipo di indennizzo non era stato chiesto degli attori ed aveva oltretutto causa petendi diversa da quella indicata in atto di citazione.

La sentenza è viziata da ultra petizione.

1.6.- Con il sesto motivo, il Comune denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, L. n. 865 del 1971, art. 20, L. n. 2359 del 1865, art. 72, artt. 1224, 1282 e 2697;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Nel caso di specie, come risulta dall’art. 4 del rogito notarile, le parti convenivano espressamente che l’ente acquirente veniva immesso dalla data dell’atto nel materiale e legale possesso degli immobili e tale circostanza di fatto è confermata dal C.T.U..

La Corte del merito ha affermato che l’occupazione legittima, risalendo la cessione volontaria al 10/12/1984 ed il decreto di occupazione al 31/10/1978, era durata sei anni, un mese e dieci giorni, in palese errore con la circostanza, risultante per tabulas e confermata dal C.T.U., che l’immissione in possesso è avvenuta solo il 10 dicembre 1984.

Anche in relazione al capo di condanna al pagamento della somma liquidata quale indennità di occupazione la Corte salernitana ha commesso l’errore denunciato nel terzo motivo, maggiorando la somma degli interessi e della rivalutazione monetaria.

1.7.- Il settimo motivo è relativo al capo di pronuncia sulle spese, che,secondo il ricorrente, non potrà che essere travolto dall’accoglimento dei motivi fatti valere.

2.1.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale, R. G. ed E. deducono che la Corte del merito, nel riconoscere il maggior danno, è incorsa in evidente errore, laddove ha ritenuto di limitare il maggior danno alle sole somme superiori agli interessi legali; la sentenza gravata è contraddittoria, priva di motivazione e viziata per violazione art. 1224 c.c..

3.1.- Va in limine rilevato che, costituitisi R.G. ed E., denunciando l’avvenuto decesso di Ri.Gi., a cui sono succeduti i figli D.B.B., F. P. ed D.B.A., il Comune, nelle more del giudizio, ha provveduto all’integrazione del contraddittorio nei confronti di detti eredi.

3.2.- Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.

Ed invero, a seguito della sentenza resa dalla Corte Costituzionale, n. 348 del 24/10/2007, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2, venuto meno “il criterio riduttivo di indennizzo di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, torna nuovamente applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che è l’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento, e per di più non stabilito per singole e specifiche fattispecie espropriative, ma destinato a funzionare in linea generale in ogni ipotesi o tipo di espropriazione salvo che un’apposita norma provvedesse diversamente.

E che quindi nel caso concreto si presenta idoneo ad essere applicato, riespandendo la sua efficacia per colmare il vuoto prodotto nell’ordinamento dall’espunzione del criterio dichiarato incostituzionale (Cass. 9321/2008; 9245/2008; 8384/2008; 7258/2008;

26275/2007): anche per la sua corrispondenza con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea, nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU” (così Cass. 14939/2010, tra le ultime).

Nè infine è applicabile lo jus superveniens costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, in base ai quali “Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del venticinque per cento”, in ogni caso ratione temporis, dato che la norma di diritto intertemporale di cui al comma 90 prevede una limitata, retroattività della nuova disciplina, con riferimento solo “ai procedimenti espropriativi” e non anche ai giudizi in corso (Cass. sez. un. 5269/2008, nonchè 11498/2008); sia per il fatto che l’espropriazione in oggetto non rientra in quest’ultima categoria individuata da quest’ultima normativa, bensì nella prima generale ipotesi per la quale anch’essa dispone ” che l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene” (così Cass. 14939 del 2010).

Vale solo la pena di ricordare che dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione in oggetto del Giudice delle Leggi, non è più applicabile l’art. 5 bis, con l’unico limite delle situazioni consolidate, per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, per avvenuta formazione del giudicato, o per essersi verificate preclusioni o decadenze previste dalla legge (in tal senso, tra le ultime, Cass. 10958/2010, Cass. 27264/2008, Cass. 963/2007).

Da quanto sopra esposto, consegue la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente alla censura in oggetto.

3.3.- Il secondo motivo del ricorso principale è fondato.

Alla stregua del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 3, convertito con modificazioni nella L. n. 359 del 1992, la Corte del merito avrebbe dovuto accertare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.

La Corte del merito, sul punto, preso atto che la superficie di cui si tratta, nel P.E.E.P. – Q 2 e Q4 approvato con Delib. C.C. 26 settembre 1972, n. 131, risultava destinata alla realizzazione di strada pubblica e di attrezzature sanitarie, ha concluso per l’edificabilità, e, aderendo alla valutazione del C.T.U., per la valutazione unitaria dei 2600 mq. ablati, di Euro 47,14 al mq.

Il C.T.U., dal certificato di destinazione urbanistica e dallo stralcio in copia della zonizzazione di cui al P.R.G. vigente alla data del dicembre 1984, ha concluso nel senso della vigenza del P.R.G. in oggetto e che la superficie oggetto della cessione, quale destinazione urbanistica, ricadeva in parte in zona destinata a “strada” di P.R.G. e in parte in zona “tipologia 24: zona per edifici di uso pubblico” e che nel P.E.E.P. le stesse particelle risultavano destinate alla realizzazione di “strada pubblica” e di “attrezzature sanitarie (AS)”.

Orbene, l’area in oggetto destinata a strada doveva ritenersi edificabile nei limiti fissati dallo strumento urbanistico, mentre la Corte del merito non ha accertato quali fossero le possibilità edificatorie della superficie ceduta alla luce del vincolo apposto dallo strumento urbanistico, ed ha di conseguenza omesso di motivare, se non in modo del tutto apparente (nonchè in violazione della normativa) la ragione per cui ha considerato la superficie con destinazione a strada di uguale valore di mercato dei suoli legalmente e potenzialmente edificatori aventi destinazione di “attrezzature sanitarie”.

3.4.- Anche il terzo motivo è fondato.

E’ costante l’orientamento secondo cui “posto che il mercato immobiliare risente di variabili macroeconomiche diverse dalla fluttuazione della moneta nel tempo, anche se a questa parzialmente legate, e di condizioni microeconomiche dettate dallo sviluppo edilizio di una determinata zona, che sono completamente avulse dal valore della moneta, è inammissibile l’accertamento del valore del fondo espropriato attraverso la comparazione con il prezzo di immobili omogenei, oggetto del trasferimento,in un periodo diverso dalla data di esproprio, riportando poi il dato monetario a ritroso sino alla data dell’esproprio, con l’uso delle tabelle Istat, le quali riflettono l’andamento dei prezzi al consumo, ma non tengono conto delle quotazioni di mercato sugli immobili, per cui l’andamento immobiliare richiede un’indagine specifica del settore”: così in massima, Cass. 14031/00 e le successive 8706/06 e 24857/06.

Alla luce di detto principio, deve ritenersi sussistente il vizio di violazione di legge fatto valere, avendo il C.T.U. determinato il prezzo di mercato alla data della Consulenza, per poi a ritroso, applicando le tabelle Istat, ricostruire detto valore alla data della cessione del 1984.

E’ fondata anche l’ulteriore censura dedotta nel motivo, in relazione alla decorrenza degli interessi e del maggior danno, in quanto il credito azionato, ovvero conguaglio sul prezzo di cessione in forza della L. 8 agosto 1992, n. 359, è divenuto liquido a far data dalla pubblicazione della legge medesima.

3.5.- Il quarto motivo è inammissibile, a ragione della declaratoria di incostituzionalità del disposto normativo invocato, ad opera della sentenza 348/2007.

3.6.- Il quinto motivo è infondato.

La sentenza impugnata non è affetta dal vizio di ultrapetizione, dovendo ritenersi ricompresa nella domanda, intesa ad ottenere l’adempimento della clausola di cui all’art. 5 del contratto di cessione, anche l’indennità di occupazione, nè sussistono elementi tali da indurre a ritenere la domanda circoscritta alla sola indennità di espropriazione.

3.7.- Il sesto motivo è inammissibile in relazione alla prima censura,e fondato nei limiti di seguito indicati, quanto alla seconda censura.

In relazione alla circostanza, posta a base della prima censura, secondo cui l’immissione in possesso dell’espropriante sarebbe avvenuta solo in data 10 dicembre 1984, come evincibile alla stregua dell’art. 4 del contratto di cessione, e dei rilievi del C.T.U., va rilevato che la parte non ha indicato quando ed in quale atto avrebbe fatto valere detto rilievo, e quindi il ricorso è inammissibile per novità della questione, risultando per contro dalla sentenza impugnata diversa l’eccezione sul punto sollevata dal Comune: la Corte del merito, a riguardo, ha infatti richiamato la sentenza della Corte costituzionale, n. 470 del 1990, che ha dichiarato illegittimo per violazione dell’art. 24 Cost., la L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 4, come modificato dalla L. n. 10 del 1977, art. 14, nella parte in cui, in mancanza della determinazione, ad opera dalla Commissione prevista dall’art. 16, dell’indennità di occupazione o della sua comunicazione agli interessati, non consentiva agli stessi di agire in giudizio, per ottenere la liquidazione, a decorrere dall’occupazione del bene che ne è oggetto, non essendovi ragione di differire tale decorrenza, sino alla scadenza del termine quinquennale di legittima occupazione.

Ove comunque si potesse superare tale rilievo, andrebbe evidenziata l’infondatezza della censura, risultando non decisivo il richiamo alle conclusioni del C.T.U. sul punto, da cui non si trae in ogni caso la conferma dell’assunto dell’immissione in possesso solo alla data del dicembre 1984, a fronte del decreto di occupazione notificato ai proprietari ed eseguito, nè il richiamo all’art. 4 del contratto di cessione che, a fronte di quanto sopra rilevato, riveste natura di clausola a valenza tuzioristica.

Fondata invece, per quanto sopra già detto sub 3.4., la censura sulla decorrenza degli accessori, che va fissata a far data dall’agosto 1992.

3.8.- La statuizione sulle spese resa dalla Corte salernitana rimane travolta dalla cassazione della sentenza impugnata.

4.1.- Il motivo di ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.

Il motivo infatti risulta articolato in modo discorsivo, e non coglie la ratio decidendi assunta dalla Corte del merito sul punto.

5.1.- Conclusivamente, la sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione alle censure accolte e la causa va rinviata ex art. 384 c.p.c., comma 2, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione, che provvederà ad applicare i principi di diritto sopra esposti, ed alla quale si rinvia anche in relazione alle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2011

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